Nel suo ultimo volume, Francesco Giuliani percorre con sapienza critica le tappe della vita dello storico dell’arte, narratore e poeta, oltre che incisore e disegnatore sannicandrese, la collaborazione con periodici e riviste nazionali e pugliesi. L’antologia di novelle ci dà uno spaccato della sua visione della vita dolorosa; la sua è una poesia della solitudine, della precarietà dell’uomo di oggi.

 

ALFREDO PETRUCCI

LA SOLITUDINE, LE INQUIETUDINI, LE ANGOSCE

 

Nel marzo del 2008 ha visto la luce la monografia del critico letterario Francesco Giuliani Alfredo Petrucci. Le lettere, il Gargano e lo scrittore, per la collana “Testimonianze” delle Edizioni del Rosone “Franco Marasca”, diretta da Benito Mundi che è l’autore dell’introduzione dell’opera.

Il saggio colma un vuoto nella recente storiografia su Petrucci; negli anni scorsi si annoverano il Convegno a Sannicandro Garganico nel 1988, in occasione del centenario della nascita, e la mostra documentaria allestita nell’Istituto Tecnico “Mauro Del Giudice” di Rodi Garganico nel 1995, a cura del compianto Filippo Fiorentino.

Il Giuliani percorre con sapienza critica le tappe della vita del Petrucci, la sua collaborazione con periodici e riviste nazionali e pugliesi (“Il Messaggero”, “Nuova Antologia”, “Enciclopedia Italiana”, ”Japigia”, “La Capitanata”, “Il Foglietto”, “Il Gargano” …), il suo epistolario con i più bei nomi della cultura nazionale e pugliese (Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Giulio Carlo Argan, Diego Valeri, Aldo Vallone, Giuseppe Cassieri, Michele Vocino, Giuseppe Tusiani, Cristanziano Serricchio): è la testimonianza più chiara del contributo e della sicura ed attiva partecipazione del Petrucci alla vita culturale italiana.

Il grande critico d’arte, l’incisore e il disegnatore, il Conservatore onorario del Gabinetto Nazionale delle Stampe, non lesinava di aprire la sua casa di Roma in via Luciano Manara 32 ad amici e conterranei, a chiunque avesse bisogno del suo aiuto. Particolare attenzione il Giuliani dedica ai rapporti epistolari con Pasquale Soccio, il grande scrittore di San Marco in Lamis. Si sofferma tra l’altro sulla interruzione dei contatti epistolari tra il 1941 e il 1961, interruzione di cui il Soccio si assumerà la responsabilità, forse dovuta al sorgere dei primi problemi di salute ed ai suoi impegni scolastici, essendo nel frattempo divenuto preside del Liceo-Ginnasio “Bonghi” di Lucera.

Con La povera vita (1914), raccolta di 14 novelle, fa la sua comparsa nella letteratura in prosa il Gargano, quello autentico e vivo, non quello folcloristico e naturalistico, il Gargano della gente e dei suoi personaggi che all’asprezza della vita contrappongono la forza e tenacia, ma anche la rassegnazione e l’abnegazione. Giustamente il Giuliani rileva in quest’opera la lezione del Verga, come invece echi pirandelliani richiama la raccolta di 12 novelle Due scarpette di panno rosso (1942): in essa la descrizione della realtà appare deformata, con elementi tragici ed onirici, dolorosi ed inquieti. La novella eponima, per esempio, parla di Bettina che, mentre si dondola su un’altalena, nel tentativo di afferrare una stella cadente, perde l’equilibrio, cade e muore.

Nella raccolta di 24 novelle Romanzo di una primavera (1945) prevalgono i temi autobiografici; il che non significa che tout court le vicende della vita dell’autore siano trasferite nell’opera d’arte, in quanto ogni autore modifica le situazioni, sfuma i dettagli, mescola i diversi ingredienti narrativi. E sono spesso ricordi tristi, quelli del poeta. Nella novella I poveri occhi, Petrucci parla di una ragazza di nome Nina dagli occhi «larghi azzurri e profondi» di cui si innamora il giovane protagonista, certamente ricambiato; ma ella stava sempre affacciata alla finestra, mai si mostrava al balcone. La sera di Giovedì Santo, però, il giovane la vede nella Chiesa Madre, pregante con gli occhi bassi. Accortasi della presenza del giovane, Nina evita di alzarsi ma poi «…sollecitata dalla zia e dalle sorelle, si alzò, e allora vidi una cosa che mi ghiacciò il sangue: quella testa meravigliosa, quel fiore incarnatino ed azzurro in campo d’oro, era sorretto da un piccolo corpo rachitico, abortito probabilmente all’età di dieci od undici anni… si scoperse tutta e andando via seguitò a fissarmi, come per dirmi: “Hai visto? Ebbene, ora hai capito”».

 

I 14 racconti e fiabe d’ogni colore di Arcobaleno (1955) esaltano il tema del lavoro e dell’operosità, il rispetto del dovere e l’osservanza delle proprie responsabilità sociali.

Nel 1932 il Petrucci pubblicò un saggio, Il Gargano, in occasione dell’inaugurazione della Ferrovia. Accolta con entusiasmo da tutti i garganici, essa appariva il modo per uscire da un atavico isolamento, dovuto a motivi geografi ci e morfologici. Inoltre offriva la possibilità di commercializzare i prodotti di cui il Promontorio era ricco. Spicca nel saggio di Petrucci una considerazione, già evidenziata da A. Beltramelli nel suo Gargano (1907), sul forte contrasto tra le potenzialità economiche del Promontorio e la grande povertà delle sue genti.

Nel romanzo La luce che non si spegne (1921), il Petrucci afferma che la morte uccide con le malattie e le disgrazie, ed adesso lo ha fatto con la guerra; ma, fin quando vi saranno un uomo ed una donna, la vita continuerà. Da un punto di vista letterario il romanzo, afferma Giuliani, non è tra i suoi scritti più riusciti, in quanto la parte realistica non è ben fusa con quella simbolica, e la personificazione della Vita e della Morte appare spesso fuori luogo.

Su un altro livello il romanzo Le parole per tutte le ore (1930): esso segna la riscoperta dei libri della giovinezza, che fanno ritrovare al protagonista Luciano Del Monte la consapevolezza di sé e la propria autenticità, e che costituiscono «le parole per tutte le ore». Quando Luciano ritorna a Roma a lavorare nella grande biblioteca, pensa alla sua collega Cristina con la quale si sente pronto ad intraprendere un percorso di vita in comune; ma ahimè Cristina morirà di lì a poco.

Delle opere in versi Giuliani ricorda La radice e la fronda (1930), ricca di rimembranze pascoliane per il tono fanciullesco di approccio alla realtà, con l’invito al figlio (la fronda) a spiccare in alto il volo, senza dimenticare la radice, i genitori e la famiglia, custodi dei valori tradizionali.

Esitazione della sera (1951) è una raccolta di versi che sottolinea come, all’avvicinarsi della sera-morte, il poeta non può che trovare consolazione nella poesia e nell’armonia del verso, nel canto dei proprio cari e della terra natale.

Tra le opere postume, Giuliani ricorda Epigrammi della montagna (1973) e Dietro l’opaca siepe (1979) con introduzione di Cristanziano Serricchio, e Pernix Apulia, con introduzione di Pasquale Soccio.

Gli Epigrammi della montagna sono un’opera in dialetto, nella quale Petrucci si propone non di ricostruire la società garganica, ma di darci dei flash, di cogliere degli attimi di questo mondo pastorale ed agricolo, nel quale sempre trova rifugio il suo animo dolente.

La monografia di Giuliani termina poi con una antologia di novelle tratte dalle varie raccolte. Esse ci danno uno spaccato della visione della vita del Nostro, certamente una visione dolorosa, a mio avviso, piena di inquietudini ed angosce esistenziali. La poesia di Petrucci è una poesia della solitudine, dell’impegno isolato, della precarietà dell’uomo d’oggi. Egli ricorre ad un linguaggio simbolico e ricco di allegorie, meglio rispondente alla sua capacità di penetrare il reale e trasmetterlo ai lettori. La precisione linguistica, i dati-eventi come coagulo simbolico evocatore di emozioni poetiche, concorrono con altri “correlativi oggettivi” alla simbolizzazione

dell’esperienza umana e della cronaca contemporanea.

La presenza del pittore e dell’incisore è evidente nella descrizione dei paesaggi, che si richiama a quella corrente pittorica del vedutismo napoletano dell’Ottocento, portato nella città partenopea probabilmente dal pittore olandese Wan Wittel. Emblema di queste descrizioni, ritengo, la novella Esperienza antelucana della raccolta Romanzo d’una primavera: «Anche la piazza lì sotto, vista attraverso il riquadro del balcone, sembrava un dipinto monocromo, con le sue case immobili, le porte e le persiane ferme nel punto in cui le aveva sorprese l’artista… Intanto il quadro, di monocromo che era, andava arricchendosi di tutte le sue tinte: merletti bianchi e gialli incominciavano ad apparire dietro i vetri delle finestre, le terrazze mettevano in mostra i fiori, le donne si facevano sui marciapiedi ad esporre graticci di fichi secchi e piatti di conserva di pomodoro».

La ricca bibliografia finale testimonia la serietà e la profondità dell’impegno di Giuliani, uno studioso non avvezzo all’improvvisazione, attento e preciso, dal periodare incisivo e fluido. In lui si sposa la spontaneità del discorso, che sembra sgorgare naturale dalla sua penna, con la scientificità e il rigore dell’analisi critica. È un pregio di pochi studiosi, perché traspare l’amore per la cultura e la letteratura, sgombro da qualsiasi retorica e cesellatura della parola.

ANTONIO DE GRANDIS

 

[Francesco Giuliani, Alfredo Petrucci. Le lettere, il Gargano e lo scrittore, Edizioni del Rosone «Franco Marasca», Foggia 2008, euro 15,00 i.i.]

 

L’articolo è apparso sul periodico “Il Gargano Nuovo”, n.9, settembre 2008, p. 6

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