III- NEL LABORATORIO DELLO SCRITTORE
Se Casiglio, a giusta ragione, rifiutò sempre ogni lettura gretta o addirittura pettegola del suo libro, questo non ci esime dal rispondere ad alcuni notevoli quesiti: com'è nata l'idea di scrivere Il conservatore e quali sono stati gli spunti e i modelli fondamentali? E quel famoso concittadino che insegnò presso Ludovico il Moro esiste o è un essere immaginario?
Nel primo capitolo abbiamo già ricordato la data di composizione del romanzo, dal 1966 al 1968, e l'età non più giovanissima dello scrittore, nato nel 1921.
Tutto intriso degli umori della sua terra, ma con gli occhi ben aperti sul mondo, Casiglio non doveva fare molta strada per conoscere e frequentare una persona straordinaria come Angelo Fraccacreta, uno tra i firmatari del manifesto crociano e studioso il cui ricordo non si è spento né tra i cultori delle scienze economiche, visto che le sue pagine continuano ad essere ristampate, né tra tutti quelli che lo hanno conosciuto, oggi non più giovanissimi, ma fervidi testimoni di una eccezionale personalità. Il suo impegno nelle Università di Bari e di Napoli non è caduto nell'oblio, anche se la storia ha proseguito per la sua strada.
Intorno al concittadino Angelo Fracccacreta nasce l'idea del professor Gaetano Specchia, anch'egli economista e uomo di profondo valore, docente universitario e membro di una benestante famiglia meridionale.
Si possono cogliere, seguendo il confronto, numerose altre analogie, ricordando l'elezione a consigliere provinciale del Fraccacreta, negli anni giovanili, carica dalla quale si dimise prima della scadenza naturale, l'atteggiamento improntato ad una resistenza passiva, negli anni del fascismo, trascorsi insegnando a Bari, fino alla delusione che i suoi sostenitori ebbero nel 1948, quando la Democrazia Cristiana gli negò la candidatura al Senato.
Gaetano Specchia è Angelo Fraccacreta, allora? In verità, il rapporto tra le due figure è più complesso e proprio quest'ultima vicenda politica ci offre un esempio interessante. Ne Il conservatore si legge che il professore muore poco prima di venire a conoscenza del rifiuto da parte del partito cattolico, che si muove d'intesa con la Chiesa locale.
In realtà, Fraccacreta scompare tre anni dopo, nel 1951, e nessun suo concittadino, tanto più farmacista, viene candidato al Senato nelle cruciali elezioni segnate dalla grande paura. Allo stesso modo, non è mai vissuto il beato Ignazio Lasala, di cui si parla nell'ultimo capitolo (pag. 234), mentre un dotto erudito e stampatore, passato attraverso la corte di Ludovico il Moro, quello sì, è realmente esistito e si chiamava Alessandro Minuziano.
Intorno a Gaetano Specchia, insomma, ruotano liberamente degli elementi reali e inventati, che non cancellano il personaggio di partenza e il senso generale della sua vita, ma rendono impossibile anche una mera sovrapposizione tra i due.
Casiglio vigila sulla sua materia e interviene in vario modo, esercitando tutti i suoi diritti di scrittore. Include, all'inizio del capitolo La guerra parallela, le parole di un articolo realmente scritto dal Fraccacreta, mentre poco dopo fa morire a Specchia un figlio, a differenza del vero docente, che fu duramente colpito dalla scomparsa di una figlia.
Quando poi riferisce degli studi di Gaetano, ecco che il Nostro chiama in causa i propri ricordi personali, pur con la necessaria retrodatazione. Fraccacreta, infatti, studiò a Napoli, mentre a Roma, come sappiamo, frequentò l'Ateneo proprio lo scrittore, che, quindi, come in certe novelle, trae dalla sua memoria gli stimoli per alcune descrizioni, diventando una sorta di alter ego del personaggio. Non è l'unico caso.
Questo significa che non bisogna dimenticare, oltre al rapporto Fraccacreta-Specchia, quello tra Casiglio e Specchia. Lo scrittore nel corso del romanzo trasferisce una parte del suo mondo sulla sua creatura artistica, utilizza le proprie conoscenze e le proprie opinioni per disegnare lo sfondo storico e, soprattutto, per rendere la profonda interiorità di Gaetano, quell'incessante flusso mentale che lo porta a meditare su quello che accade e lo circonda, andando ben oltre l'inganno delle apparenze.
Il Gaetano che pensa e agisce nel suo tempo è un po' Fraccacreta, un po' Fraccacreta visto da Casiglio, un po' Casiglio tout court, in un continuo variare.
In questo troviamo la conferma della verità di una sua risposta, data nel corso di un intervista, in cui affermava che "c'ero anch'io, nel romanzo, ma spaccato a metà, mezzo in un personaggio minore su cui ironizzavo e mezzo in alcune esperienze del protagonista"2.
La sfasatura storica esistente tra lo scrittore e il suo personaggio gli assicurava, inoltre, anche una ulteriore libertà, a patto, ovviamente, di evitare anacronismi.
La generazione di Specchia precede quella dell'uomo Casiglio, ma c'è una fase del romanzo in cui i tempi finiscono per coincidere; non quelli tra i due appena citati, cosa evidentemente impossibile, ma tra l'autore e i topi di campagna, i giovani che appaiono risolutamente sulla scena alla fine del Ventennio e di cui si parla soprattutto nei due capitoli conclusivi, movimentati, speranzosi e persino caotici, i De Seriis e i Terrasso, insomma.
Dopo il 25 luglio, mentre Gaetano si avvia al suo tramonto umano, questi borghesi di provincia, forti dei loro verdi anni, salutano i tempi nuovi, cercando la loro strada. Essi non dimenticano il loro maestro, anche quando, trasportati dall'euforia del momento, le loro posizioni non coincidono, come nel caso di De Seriis; alla lunga, però, riconosceranno la validità delle posizioni di Specchia, assistendo alla ridda di equivoci, conversioni e cambiamenti insoddisfacenti.
Alla fine del romanzo, così, ci troviamo di fronte ad un ideale passaggio di consegne, che fissa l'inizio di un altro capitolo storico, questa volta escluso dall'opera in questione.
Forti di queste premesse, non è difficile identificare in De Seriis il personaggio minore al quale si alludeva nell'intervista, che se è tale rispetto a Gaetano, ha però un suo considerevole ruolo, accanto ad un altro testimone, don Alfonsino Faralla, il sacerdote che cerca inutilmente di favorire la candidatura di Gaetano, muovendosi negli ambienti ecclesiastici contigui a quelli del partito cattolico. Su entrambi ritorneremo in un paragrafo successivo.
Il rapporto dell'autore con il suo protagonista, e in generale con la sua materia, è, come si vede, abbastanza complesso; una combinazione di elementi che agli occhi di Casiglio apparve riuscita sin dal primo momento, con un giudizio riconfermato più volte, a distanza di anni.
Nel 1990, pertanto, completato il suo percorso di scrittore, poteva risponderci senza alcuna esitazione, al termine di una intervista: "'Il conservatore' è stato una pietra di scandalo, il mio libro più caro"3. Un giudizio che sottoscriviamo in pieno.
IV- L'UNITA' DEL ROMANZO
Il conservatore è un romanzo molto unitario, accentrato com'è intorno al suo protagonista, seguito con attenzione dall'età di cinque anni fino alla sua scomparsa. E' la storia di una vita emblematica e provocatoria, che si distende attraverso le varie fasi naturali, dall'infanzia all'adolescenza, dalla giovinezza alla maturità, fino al suo epilogo, che non arriva, però, in un'età avanzata.
A conti fatti, ha poco più di sessant'anni, è da qualche tempo nella fase discendente della sua esistenza, ma avrebbe potuto ancora dare molto ai suoi concittadini e ai suoi connazionali, se il destino e le trame umane lo avessero permesso.
Angelo Fraccacreta nacque nel 1882 e morì nel 1951, a 69 anni; Specchia, come già sappiamo, vive qualche anno di meno. Questa indicazione, unita agli scarsi dati ricavabili dall'opera e ricordando, comunque, la libertà dello scrittore nell'uso delle sue fonti e del suo materiale, ci fa datare l'inizio dell'azione tra il 1885 e il 1890, per poi assistere al veloce ingresso nel nuovo secolo, che vede Specchia frequentare l'università, sposarsi e pubblicare i lavori d'esordio.
Con il decimo capitolo, Extra moenia, e a circa un terzo del romanzo, ci imbattiamo nella prima guerra mondiale, filtrata attraverso le reazioni degli uomini rimasti lontano dal fronte. A metà lavoro, nei capitoli Le rivoluzioni d'Italia e soprattutto Il tempo delle ambiguità, Specchia si confronta con il regime fascista e con il secondo conflitto mondiale, con delle profonde osservazioni psicologiche; in seguito, notiamo un rallentamento del flusso degli anni, ma non degli eventi, che anzi si rincorrono a ritmo elevato.
In questo modo i quattro capitoli conclusivi, che si distendono nell'arco di un solo lustro, occupano l'ultimo terzo del libro, ma i motivi posti alla base di questa differenza sono facilmente intuibili, visto che in questa fase si prepara l'Italia contemporanea, nella quale ha vissuto lo scrittore e vivono i destinatari del testo. Del resto, da un punto di vista artistico, non c'è alcuna soluzione di continuità, anche se avrebbe potuto sfrondare il testo da qualche pagina, per evitare, talvolta, di distogliere troppo l'attenzione da Gaetano.
Vale la pena di notare che le 244 pagine de Il conservatore sono divise in 19 capitoli, che si susseguono, però, senza numero progressivo, contrassegnati solo dai titoli, alcuni molto significativi.
Quanto ai luoghi, predomina indubbiamente il paese nativo del protagonista, ma c'è spazio anche per le città, come la capitale d'Italia, nel capitolo Di un sepolcro imbiancato, di un pranzo andato a male, e la Bari descritta ne I mandarini, come al solito mai nominata esplicitamente, dove Specchia insegna.
Una fase di poco superiore al mezzo secolo, insomma, in cui la storia viene ripercorsa dall'interno, dalla parte delle cose e della sostanza, con la mente rivolta ai veri cambiamenti.
Va detto, però, che se l'opera segue il filo del protagonista, essa è comunque ricchissima di personaggi di ogni genere, di paese come di città, osservati e messi a nudo da Gaetano, sin dai suoi primi anni, quando si sofferma sulle cameriere di casa, sul vignaiolo e sul carrettiere.
In seguito, il suo sguardo penetrante si poserà sui "mietitori sdraiati in mucchio sui gradini delle chiese, confusione di carne nera e di grossa cotonata blu, con le falci ravvolte in cenci per non tagliarsi" (pag. 130), o sui borghesi seduti davanti al circolo, con "quei discorsi, così simili tra loro, impastati di furberia e moralismo, di pettegolezzo e di interesse unilaterale; quei pensieri monotoni e triti, dietro i quali scoprivi subito il calcoletto" (pag. 111).
In molte pagine, inoltre, non sono risparmiati gli esponenti dei partiti dell'Italia liberale, fascista e democratica, né i soliti baroni universitari, con la loro prosopopea e i loro espedienti, i vari Barattoni o, peggio, Ermanno Marra-Sezzè, "con nome e cognomi armoniosi e sonori" (pag. 173), un uomo che, potendo, avrebbe seguito il suo funerale, per controllare che tutto fosse degno del ferale evento.
Salendo ancora la scala, troviamo i massimi protagonisti dell'epoca, come quel Badoglio, che appare a Gaetano "un povero vecchio stretto da eventi oramai superiori alle sue forze, che tentava di governare una macchina senza freni" (pag. 175), e quell'incognito ministro, ossia Omodeo, che priva l'uomo dell'incarico.
L'osservazione, rivolta ad una molteplice realtà, porta con sé la demistificazione e quindi l'ironia, che nasce nel momento in cui si mette a nudo l'immancabile lato debole o ipocrita degli uomini, cogliendone, come sotto un manto, tutti i loro limiti e difetti; allora la scena si popola di creature ridicole o, peggio, penose.
Visto che il nostro mondo è ben lontano dal migliore di quelli possibili, non ci meraviglia il frequente ricorso all'ironia, attraverso il protagonista o direttamente da parte dello scrittore, che del resto ne faceva un tratto distintivo della sua persona. Un humor ricco di umori e di silenzi, in cui la verità si sedimenta, lentamente, tipico di certa intellettualità meridionale, ma anche molto manzoniano.
Casiglio non era un ottimista, ma era pure lontanissimo dall'essere un pessimista che si macerava nei suoi dubbi; aveva una sua virile concezione della vita, dei doveri e dei dolori legati ai giorni, vedeva il male operare nella storia, ma pensava che una società migliore fosse possibile e, comunque, sapeva anche sorridere delle miserie umane, come quelle del neo avvocato Santobuono, freschissimo dottore in legge, che, complici gli eventi bellici, "in una sola sessione aveva 'fatto' tredici esami e la laurea" (pag. 108), e che, purtroppo, "Cominciava già a credere- succede- di averli realmente superati con qualcosa più della presenza fisica; e la fede gli si sarebbe a mano a mano radicata" (ivi).
Agli uomini succede questo ed altro. L'ironia talvolta è evidente, esplicita, talaltra intrinsecamente legata alle parole. Nell'ultimo capitolo, il farmacista Cassarini prepara la lista per le amministrative in rigido ordine alfabetico, "perché la democrazia non ammette compromessi" (pag. 207), ma esclude l'avvocato Abbate e il sindacalista Bufone, che gli avrebbero tolto il primo posto nell'elenco.
Interi episodi sono condotti sul filo del sorriso a fior di labbra, come nel caso dell'eroica occupazione di una sede più grande da parte degli esponenti del piccolo partito di sinistra, un atto che bisognava realizzare mettendo tutti di fronte al "fatto compiuto" (pag. 200).
Il proposito viene attuato a sera inoltrata, anche se non è facile trasportare un "bandierone color pomodoro maturo" (ivi), tirato fuori da chissà quale nascondiglio, dall'asta lunghissima, che appare una sorta di attentato alla incolumità pubblica. Casiglio sigilla in questo modo l'episodio: "Così ebbe luogo, come dicono i cronisti, la memorabile presa di possesso della nuova sede" (pag. 201).
Anche nell'uso attento dell'ironia, insomma, si riflette l'habitus filosofico dello scrittore, capace di calare nella vita di tutti i giorni le dottrine dei pensatori più cari, assimilate e fatte proprie, sensibile alle sfumature e alle distinzioni. Di qui, nel romanzo, l'inserzione, senza sfoggio o stonature, di riferimenti a Cartesio, alle qualità primarie e secondarie, a Rousseau e ai suoi studiosi, per fare degli esempi, ma soprattutto, lo ripetiamo, del succo di queste letture.
La pagina resta aliena da ogni sbavatura romantica e il lettore avverte con chiarezza che il sentimento viene sempre controllato dalla ragione, filtrato attraverso di questa.
E' una dote dell'arte casigliesca che non è sfuggita a numerosi recensori, sin dalla pubblicazione del volume, e uno di essi ha ben riassunto il concetto, parlando di un "romanzo sentimentale, senza sentimentalismi"4, ma neanche cerebrale, in verità, degno, nel complesso, di un intellettuale "che nella sua remota provincia ha letto tous les livres"5, traendone profitto.
I suoi periodi tendono a distendersi, ad essere articolati, per piegarsi alle esigenze del pensiero, oltre che a quelle descrittive; lo scrittore utilizza con cura i segni di interpunzione, le frequenti virgole, ma anche il punto e virgola e i due punti, lasciando trasparire il suo tirocinio umanistico, l'attenzione con la quale sceglieva i suoi termini, con competenza, potremmo dire, di filologo
Lontano dal periodare rotto, franto, ma anche dalla sciatteria di certe pagine che riecheggiano lo stile giornalistico, Casiglio conferma anche in questo il suo desiderio di scavare nella realtà, evitando, allo stesso modo, sia l'insidia di un linguaggio eccessivamente suggestivo sia di una prosaica mimesi vernacolare.
Non manca, in verità, qualche concessione linguistica all'ambiente descritto, ma si limita a dare un tocco di colore, armonizzandosi nel contesto (es. "tanto più che, tra vermi e mariuoli, mangio percoche a ogni morte di papa", dice il fittavolo Mariano, pag. 63); talvolta, quando l'espressione appare troppo forte, Casiglio sembra scusarsi, come in questo caso, relativo al protagonista Gaetano: "L'intimità calda sembrava sopraffarlo, ed egli si sentiva quasi in colpa...di aver avuto facile il cammino e, come sicuramente più d'uno dei suoi paesani doveva aver pensato e anche detto, di aver trovato 'letto pronto e zita parata'" (pag. 81).
All'opposto della scala linguistica, è il caso di evidenziare certi termini letterari, come serotino ("il crepitio della radio serotina", pag. 159) o forosetta ("una arrendevole forosetta", pag. 161), che, sparsi qua e là, conferiscono un tono più raffinato al romanzo che, tra i quattro scritti da Casiglio, è di certo quello linguisticamente più aristocratico.
Lo stesso habitus filosofico, in fondo, spiega la bellezza di alcune notazioni psicologiche e di certe conclusioni che, nella loro consequenzialità, appaiono di una semplicità disarmante. Vedremo, in seguito, l'analisi del rapporto tra Gaetano e il padre e tra i due coniugi, quando il figlio si ammala e muore, portando il gelo nei loro rapporti.
Nel capitolo Extra moenia, poi, nel quale Specchia viene tentato dalle grazie di Elisa San Martino, e quindi è sul bilico dell'adulterio, lo scrittore indugia nel descrivere gli effetti perversi e terribili della guerra, per dedurre, con evidenza, che "il gioco dell'amore resta il più innocuo" (pag. 91). Di esempi simili Il conservatore è ricchissimo.
Casiglio era un fine indagatore dell'animo umano, anche per deformazione professionale, visto il suo lavoro di docente; ma questa sua capacità introspettiva convive, all'opposto, con un singolare gusto per le enumerazioni, che proprio nel passo appena ricordato trova un esempio particolarmente significativo:
Chi trovi che Gaetano aveva scelto assai male il momento per uscire dal seminato, consideri tuttavia che nulla più del tempo di guerra induce all'avventura: tempo di amara instabilità e aleatorietà del dolore: le prime madri vestite di nero, sole col proprio dolore, onorate e schivate; i primi orfani intontiti e bruttini, costretti nel lutto, illanguiditi dalle pensioncine magre; le prime vedove, tristi, imbruttite; caute attese dei furbi che selezionano le turgide dalle inaridite; il comitato delle dame, sedute intorno al grande tavolo ovale, coi cappelli con la piuma, quasi che stessero lì lì per uscire a passeggio; maturi signori dignitosi, con baffi e pizzetto, che a sera inoltrata fucinano la vittoria alla luce dei paralumi ministeriali; scarpe di guerra, moda di guerra, figli della guerra, orrori della guerra; il gioco dell'amore resta il più innocuo.