I FRANCOBOLLI DI DIDIMO
Intorno a quell’armadietto i volumi si accumulavano alla rinfusa, quasi a sollecitare una drastica e coraggiosa risoluzione. Del resto, era l’unico spazio rimasto libero ed avrebbe fatto proprio comodo.
Nella libreria c’erano ripiani in precedenza occupati da dischi, album fotografici e soprammobili d’ogni genere. Un po’ alla volta ogni oggetto aveva preso una direzione diversa, dalle altre stanze della casa al ripostiglio, fino al garage, negando ogni valore alle esigenze dell’eleganza, all’idea che uno studio non può essere solo una rimessa per fogli rilegati. Un’idea che riteneva tipicamente femminile, che trovava naturale allignasse nella mente della moglie, ma che altrettanto naturalmente e sordamente rifiutava, utilizzando l’antica tattica del boicottaggio.
Alla fine era rimasto solo quell’armadietto. Non che non ci avesse pensato: cinque minuti e anche quei vecchi album pieni di rettangoli dentellati avrebbero trovato un’altra collocazione. Aveva escogitato tante soluzioni alternative, persino ingegnose, provocando spostamenti a catena, ma alla fine si fermava sempre davanti ad un pretesto. Il più comodo? I francobolli sono delicati e per di più hanno un valore economico, dunque non si possono certo gettare in un angolo qualsiasi; e poi, magari ritorna la passione…
Le parole sono sempre delle etichette infedeli, e lui questo lo sapeva bene, con quella schiera di vocabolari e di manuali che circondavano la sua poltrona, da tenere a portata di mano, per vincere anche la pigrizia, come amava ripetere. Passione? Di più: una mania, un pensiero dominante, che lo aveva legato a quei pezzetti di carta gommata, che per lui non avevano avuto segreti.
Attendeva con ansia, ogni anno, la pubblicazione del catalogo. D’estate, la prima copia che giungeva nella sua città era la sua, e diventava il suo inseparabile breviario. Il libraio non faceva in tempo ad esporlo in vetrina, che lui era già lì, pronto ad acquistarlo, a strappare l’involucro cellofanato e a sprofondarsi nella lettura.
Difficile sfidarlo su quel terreno, e qualcuno ci aveva rimesso la posta della scommessa (in francobolli, ovviamente). Verificava subito gli aumenti, compilava astruse liste di esemplari da acquistare, basandosi sul suo compleanno e sulle prossime festività.
Ancora un poco, rifletteva ad alta voce, e avrebbe messo le mani su un’altra annata della Repubblica, il periodo preferito, ma anche il più facilmente accessibile per le tasche di uno studente. Gli esemplari del Regno avevano delle strane scritte latine, ma quei volti di sovrani, sempre uguali, lo annoiavano; in ogni caso, erano troppo cari e in giro non se ne trovavano.
I francobolli usati lo affascinavano anche per le mille storie che riusciva a cavarne, per quel sapore di inchiostro che lui solo sapeva fiutare, a distanza di decenni. Un indizio: l’occhio decifrava il nome di un paese, tradito dal bollo, lo individuava sulla cartina, e di lì la fantasia ricostruiva il cammino percorso da quella vecchia lettera, dalla quale aveva staccato con cura il francobollo. Tutte le strade portavano alla sua città, anzi al suo album, per l’ultima sosta.
Troppo banale collezionare dei francobolli nuovi! Venduti e finiti subito nelle pagine di un raccoglitore; erano dei bambini inesperti e viziati, la cui gomma ingialliva nell’inerzia, in una precoce vecchiaia, senza aver conosciuto l’ebrezza del viaggio. In quanto possibilità mancate, non avevano nulla da raccontare e il loro silenzio gli era insopportabile.
Non che amasse indifferentemente tutti i francobolli usati, questo proprio no; ma di ognuno sapeva l’anno di emissione, il valore, la tiratura e i soggetti. Ad esempio, detestava quei miseri pezzi di carta della turrita, così comuni e così brutti. Davvero una serie ordinaria, non c’è che dire! La sua preferita era l’Italia al lavoro, con quei nomi a volte misteriosi (cos’era la sciabica?), ma sempre suggestivi. Pensava alla Sardegna invasa dalle greggi e alla Valle d’Aosta risonante come un’enorme fucina.
Un francobollo per ogni regione, e su quello della sua terra spiccava una bella figura femminile, intenta a vendemmiare, a suggello delle radici contadine del suo mondo, con Castel del Monte sullo sfondo.
L'Italia al lavoro
I conti però non tornavano: i valori erano diciannove, mentre a scuola gli avevano detto che le regioni erano venti. Ci mise un po’ di tempo a scoprire l’arcano, quando s’accorse che tutti i molisani e tutti gli abruzzesi erano specialisti nel tombolo.
Non aveva mai capito perché l’Italia al lavoro fosse stata sostituita, e comunque quei francobolli restavano in assoluto tra i suoi preferiti. Niente a che fare con il Gronchi rosa: troppo famoso, con quel plateale errore geografico, da studenti distratti, e al di là delle sue possibilità. Si accontentò dei tre esemplari corretti, e non pensò più né a Gronchi né al Sud America.
Il pezzo più bello? La Repubblica romana: su questo non ammetteva discussioni. Un secolo prima, nel 1849, la villa ritratta in primo piano era stata al centro di un episodio del Risorgimento, studiato già alle elementari, e quel rettangolo commemorativo, dal valore facciale di ben cento lire, era diventato una chimera, anzi, un punto d’orgoglio, tanto forte, che qualche anno dopo, quando l’amore era ormai finito, aveva trovato ancora la forza per entrare a colpo sicuro in una filatelia di una lontana città, e lo aveva acquistato. Una Repubblica romana perfetta, con tutti i dentelli uguali, come ogni esemplare che si rispetti, con la villa del Vascello mai così bella, ora che aveva occupato il suo posto nell’album a taschine, apparentemente tranquilla, malgrado l’inferno che doveva averne sconvolta l’esistenza, ai tempi di Mazzini e Garibaldi.
Forse era questa l’unica scossa possibile per un ritorno di fiamma, aveva pensato, tentando la tattica degli estremi rimedi; ma non era servito a nulla.
Ignorava come fosse nata questa mania; forse l’aveva contagiato un amico. Ma quale? Ricordava, però, la sua affannosa ricerca di lettere e cartoline, la sua gioia, quando trovava un francobollo commemorativo, al posto delle solite teste turrite. Ce n’erano di bellissimi, con paesaggi incantevoli, e trovava ingiusto che avessero un valore facciale simile a quello di una stupida testa coronata.
Pian piano i suoi album si erano riempiti e c’era sempre qualche parente o qualche amico che si mostrava generoso. Riuscì persino a trovare alcuni francobolli degli antichi stati italiani, ai quali assegnò un posto d’onore in un raccoglitore rosso fiammante. Non valevano molto; in compenso avevano più di un secolo di vita.
Lasciava il segno, come Zorro: bastava trovare una lettera con un taglio rettangolare di forbici, in corrispondenza dell’affrancatura, per riconoscere le tracce del suo passaggio. Se si trattava di ricordi di famiglia, conservati in qualche remoto cassetto, si sorbiva la sua dose di rimproveri con serafica tranquillità. Non era pentito, anzi, lo avrebbe rifatto alla prima occasione; ma su questo i suoi parenti non avevano dubbi.
Era avido come Paperone e le persone più invidiate erano proprio quelle che possedevano delle ricche collezioni, che insisteva per vedere, sperando in qualche doppione. Lo aiutava anche la sua mancanza di vizi (o forse l’unilateralità del suo vizio), che aumentava il denaro a disposizione per gli acquisti filatelici.
Insomma, nel suo paese di cuccagna i francobolli cadevano dagli alberi e si trovavano per terra. In questo desiderio di volere sempre nuovi esemplari sarebbe stato un perfetto modello per le osservazioni di Schopenhauer sull’inganno della Volontà.
Non per niente il suo viaggio più bello era stato a San Marino, in occasione di un importante anniversario filatelico. In fila, per acquistare un foglietto, tra centinaia di appassionati come lui, si era sentito felice, quasi convinto che potesse esistere un mondo dominato dalla sua stessa passione. Alla sua età, d’altra parte, era facile lasciare il male, i problemi e la noia fuori dalla porta, e così aveva trascorso tre giorni a guardare francobolli, a parlare di francobolli, ad acquistare francobolli. La sagoma del Titano, poi, immortalata su tanti esemplari, gli sembrava familiare, quasi come la sua assolata pianura.