DANTE ALIGHIERI E FEDERICO II: UN INCONTRO SOLO LETTERARIO
Se Dante redivivo potesse calcare la terra di Puglia e dare libera ala ad un suo immaginario, ma sentito desiderio, forse dimentico di ogni coerenza di dottrina e di fede cavalcherebbe accanto all’imperatore Federico II e a suo figlio Manfredi. Avrebbero per compagno il fido falcone e nel suo volo maestoso indovinerebbero l’elevarsi dell’anima alle più sublimi aspirazioni e al pensiero più ardito. Dante conoscerebbe da vicino qualche baldanzoso giovincello da chiamare, secondo apuli dialetti (con i quali, secondo lui, i nativi turpiter barbarizant, fanno uso di sconci barbarismi), quatraro così come nel suo De vulgari eloquentia e saprebbe che oltre ad indicare un bambino, l’uomo piccolo come un quadro, potrebbe derivare la sua origine dall’indicazione del primo quarto della vita, il più giovane.
In realtà, è avvenuto che l’incontro ideale con Federico e il suo sfortunato figlio attraversasse molteplici punti delle sue opere (quella già ricordata insieme col Convivio e naturalmente con la Divina Commedia) variando da testo a testo l’atteggiamento nei confronti dell’imperatore. Un contributo efficace su queste ed altre questioni ha portato l’italianista Francesco Giuliani col suo ultimo saggio Dante e gli «illustri eroi». Federico II, Manfredi e Fiorentino, sviluppando in sei capitoli il rapporto che il sommo poeta ebbe col personaggio più famoso e controverso del Medioevo.
Se nel De vulgari eloquentia Dante esalta Federico anche per aver promosso l’affermazione della prima vera scuola poetica in Italia elevando il siciliano a lingua illustre, nel suo capolavoro affronta il nome e la memoria dello Stupor mundi in apparentemente contraddittorie puntate sparse per tutto il poema. In particolare ritrova il nostro in veste di eretico condannato alla pena eterna (tra coloro «che l’anima col corpo morta fanno») nel decimo canto dell’Inferno, indirettamente nel tredicesimo canto della stessa cantica per via di Pier delle Vigne, nel terzo canto del Purgatorio quando esalta la figura del graziato Manfredi, e infine nel terzo canto del Paradiso nell’incontro con Costanza d’Altavilla madre di Federico.
Giuliani mostra bellamente, servendosi di ben aggiornati e robusti supporti tra cui un’utilissima Enciclopedia Federiciana disponibile in rete, come nel corso del tempo muti la raffigurazione che Dante ci dà di Federico man mano che cambiano le condizioni esistenziali e storiche che accompagnano l’elaborazione delle opere in prosa e del poema. Se nel Convivio e nel De Vulgari Eloquentia domina l’astro della filosofia e della ragione a giustificare l’operato dell’imperatore svevo, nella Divina Commedia è la fede salvifica, ma anche inflessibilmente seduta nel tribunale della coscienza a dominare e a giudicare secondo rigidi princìpi morali chi come lui venne incolpato dal trecentesco cronista Giovanni Villani di essere persona dissoluta ed «epicuria».
L’ultimo capitolo del libro è dedicato al supposto presagio dell’astrologo Michele Scotto a proposito del luogo di morte di Federico. Chi oggi intravede a malapena su un lieve rialzo a 9 chilometri a sud di Torremaggiore in Capitanata le misere rovine di Fiorentino o Castelfiorentino (quest’ultimo secondo un’errata denominazione rilevata dallo storico benedettino Tommaso Leccisotti), sappia che si tratta dell’ultima tappa terrena di Federico, che sembra evitasse Firenze per la profezia. Senza volerlo e per destino cinico e baro, diede l’ultimo respiro in una contrada dell’amata Puglia, dimenticando di aver preso dimora comunque sub flore, ma non della più nota città di Dante.
SERGIO D'AMARO
• Dante e gli “illustri eroi’’. Federico II, Manfredi e Fiorentino di Francesco
Giuliani (Edizioni del Rosone, pp. 104, euro 12)
La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 17 aprile 2016, p. 25