"VOCI DEL TEMPO": LA PUGLIA DEI POETI DIALETTALI

 

              

               Da vari anni, ormai, c’è una viva attenzione intorno alla poesia dialettale, vista non più come una produzione di rango inferiore, ma come una valida alternativa ai testi in lingua italiana. In questa scia si pone senz’altro l’antologia “Voci del tempo: la Puglia dei poeti dialettali”, a cura di Sergio D’Amaro e con note linguistiche di Francesco Granatiero (Gelsorosso, Bari, pp. 107, euro 20, con incluso CD).

           E’ un’antologia “molto esemplare”, come nota D’Amaro, dal momento che contiene solo 6 autori, uno per ognuna delle province pugliesi, compresa la neonata BAT. Una scelta originale, non c’è dubbio, che viene spiegata nelle pagine iniziali dal curatore, prendendo le mosse dalla reviviscenza dialettale in atto nella nostra regione all’incirca da un quarantennio. La poesia dialettale, anzi, neodialettale, si è liberata dal bozzetto, dall’idillio e dalla caricatura per diventare matura, portatrice delle stesse istanze e delle stesse incertezze della lirica nazionale.
            Questa scelta trova in Puglia degli interpreti privilegiati, ossia i 6 scrittori selezionati, Pietro Gatti, che si esprime nel dialetto di Ceglie Messapico, nel Brindisino, Nicola Giuseppe De Donno, salentino di Maglie, Claudio De Cuia, di Taranto, Grazia Stella Elia, di Trinitapoli, Lino Angiuli, di Valenzano, nel Barese, e Francesco Granatiero, di Mattinata.

            A tutti D’Amaro dedica delle note introduttive e biografiche, affiancate dalle accurate schede linguistiche di Granatiero, che indossa, dunque, le duplici vesti di studioso e di autore antologizzato. Il garganico Granatiero, infatti, è un nome molto considerato nell’ambito della lirica vernacolare, in grado di usare con grande efficacia il suo dialetto garganico, assurto a lingua e fonte di verità, strumento di ricerca di un’identità difficile eppure necessaria.

            Significative sono anche le poesie di Grazia Stella Elia, che usa il vernacolo casalino, ossia di Trinitapoli, per esprimere una comunanza con la sua terra che è profonda e totale. “Credo che poca differenza passa/ tra me e gli ulivi”, canta in dialetto, toccando temi che compaiono pure nelle sue liriche in italiano.

            Anche nelle poesie dialettali di Lino Angiuli è facile cogliere consonanze con la produzione in italiano, a conferma del fatto che la preferenza accordata al dialetto non sempre è esclusiva, ma offre uno strumento particolare e insieme importante per esprimere la propria creatività. Di qui anche i giochi verbali di Angiuli, le acrobazie lessicali che lo rendono un osservatore privilegiato e acuto di un Sud che cambia in modo troppo vorticoso, in cerca di un equilibrio tra spinte contrapposte.
            Di tutte le liriche antologizzate sono fornite in calce nella pagina le traduzioni, necessarie per tutti, anche per i pugliesi; da ascoltare senz’altro è poi il compact-disc incluso, nel quale gli stessi poeti o alcuni attori leggono le liriche in vernacolo. Un’ottima idea, questa, che suggella una preziosa antologia, alla quale auguriamo il successo che merita.

 

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