“ECHI LETTERARI DEL NOVECENTO ITALIANO” DI VITO
PROCACCINI
IL FASCINO DELLA CIVILTA’ DEL
LIBRO
A distanza di due anni dal suo precedente volume, Vito
Procaccini ci offre un altro interessante lavoro, da poco giunto in libreria,
intitolato “Echi letterari del Novecento italiano” (Edizioni del Rosone, pp.
199, euro 15). Si tratta di un denso testo in cui spicca l’amore per il libro,
per l’antica e illustre civiltà della lettura, e di qui la felice scelta
dell’immagine di copertina, un quadro di Jean-Honorè Fragonard (1732-1806), che
riproduce una giovane donna che legge, placidamente assorta.
Procaccini è nato a Panni, un piccolo ma ridente centro del
Subappennino dauno, ai confini della Puglia, e come molti suoi conterranei si è
poi trasferito a Foggia, dove vive. Laureato in Economia e Commercio, ha
prestato la sua opera nella Pubblica amministrazione. Ma questo è solo un
aspetto della sua operosità, dal momento che il Nostro, iscritto all’Ordine dei
giornalisti, ha collaborato e collabora a numerose testate, tra cui “Il
Provinciale”, “Il Rosone” e “Voce di Popolo”.
Da questo suo impegno pubblicistico sono nate delle pagine
sicuramente acute ed originali, che hanno poi trovato, a distanza di tempo, una
sistemazione definitiva in volume. Di qui, sempre per i tipi delle Edizioni del
Rosone, il libro “Quattro passi nell’arte”, apparso nel 2007, nel quale il
Nostro ha racchiuso i suoi scritti legati alla pittura e alla scrittura,
mostrando una non comune capacità di interpretare i segreti di un quadro o di
una statua, divulgandoli grazie ad un linguaggio nello stesso tempo forbito e
chiaro.
Ora, con “Echi letterari del Novecento italiano”, il mosaico
si completa nel migliore dei modi, con una lunga incursione nel mondo librario e
teatrale del secolo da poco archiviato. I singoli contributi sono apparsi su
rivista o sono del tutto inediti, come viene specificato al termine di ogni
brano.
Nell’Introduzione, Procaccini parte da un significativo elogio
del libro, inteso come “pane dello spirito”, come fondamentale strumento di
crescita. I mass-media, a partire dalla televisione, sono spesso volgari e
vuoti, assomigliano all’“acqua dilavante di un improvviso temporale; poco dopo
torna il sole e nulla resta dell’ondata di piena, anzi troppo spesso il sole
illumina il disastro ambientale che si è consumato”. Il libro, al contrario, è
“la pioggerella fine che penetra lentamente nel terreno, ristora nel tempo
lungo, non danneggia, anzi rigenera e feconda le radici. Ne abbiamo bisogno,
perché se le radici sono ben piantate impediscono il dilavamento del terreno e
lo slittamento nella valle del conformismo e del materialismo”. La poesia della
metafora, come si nota, illumina una sacrosanta verità, che è bene ribadire di
fronte al prevalere di una conoscenza piatta ed acritica, priva di senso storico
e di strumenti di approfondimento.
Non sempre, in verità, le raccolte di articoli riescono
felici; talvolta si tratta di pagine superficiali e banali, slegate tra loro,
che risentono troppo dell’occasione in cui sono nate. Al contrario, in questo
volume siamo di fronte a dei pregevoli approfondimenti, che giustificano
senz’altro il lavoro di ricucitura generale.
A unire il tutto non c’è solo l’argomento, ossia, come già
ricordato, la perlustrazione del Novecento letterario, ma c’è anche un metodo di
indagine che parte dal riassunto, dalla trama dell’opera, per poi addentrarsi
nei meandri della composizione letteraria, seguendo dei ben individuati percorsi
di analisi.
Gli autori prescelti sono quelli più importanti del panorama
italiano, a partire da alcuni classici del calibro di d’Annunzio, Svevo,
Ungaretti e Montale, ma viene riservata la dovuta considerazione anche ad alcuni
protagonisti dell’ambito pugliese, come il sanseverese Nino Casiglio e la
subappenninica di Rocchetta Sant’Antonio Mariateresa Di Lascia. L’autore sul
quale Procaccini si sofferma maggiormente è Luigi Pirandello, al quale sono
dedicati ben otto contributi, imperniati sull’esame di alcuni drammi
fondamentali o sul confronto con un altro celebre drammaturgo, come il norvegese
Henrick Ibsen.
Lo spunto non di rado deriva dall’assidua partecipazione di
Procaccini alla vita culturale del territorio, per cui, ad esempio, lo
scrittore-giornalista non si lascia sfuggire una conferenza di Paolo De Caro su
Montale e Dante o alcuni incontri dedicati alla letteratura di confine.
Rientrano in quest’ultimo ambito gli scritti degli emigrati, di coloro, cioè,
che hanno lasciato la nostra terra per rifarsi un’esistenza nella mitica
America. E’ un filone che oggi conta vari ed apprezzati studiosi, come Cosma
Siani e Sergio D’Amaro.
Procaccini si sofferma in particolare su di un suo
concittadino, il pannese Antonio Calitri, classe 1875, una singolare figura di
scrittore che abbandona l’abito talare, indossato più per necessità che per
intima vocazione, e parte per una nuova vita oltreoceano, densa di incognite ma
anche di risultati. A lui sono stati dedicati alcuni convegni e alcune
iniziative editoriali, che hanno permesso di illuminare il senso di un’esistenza
e di una non comune vena letteraria.
Oggi che l’Italia è diventata terra di emigrazione, nota
Procaccini, questa vicenda, comune a quella di tanti altri personaggi, più o
meno noti, acquista un particolare rilievo.
Spaziando in questo modo, insomma, il Nostro ha costruito un
libro vario e interessante, che non annoia, vista l’estensione dei singoli
contributi, in cui spiccano le molteplici curiosità intellettuali dell’autore.
Si aggiungano a ciò i pregi della scrittura di Procaccini, elegante e chiara,
frutto di una ponderata riflessione e del possesso di una ragguardevole cultura
di base, dote sempre più rara nella nostra epoca.
Da segnalare anche la pertinenza della parte iconografica e,
in generale, della bella veste grafica, frutto dell’esperienza delle foggiane
Edizioni del Rosone.