TRADOTTO DA COSMA SIANI E MARIANTONIETTA DI SABATO
UN DRAMMA DI JIM LONGHI, DUE DITA D'ORGOGLIO
Cosma Siani e Mariantonietta Di Sabato hanno da poco aggiunto un altro importante tassello al loro lavoro critico intorno allo scrittore Jim Longhi, curando la traduzione del dramma Due dita d’orgoglio (Edizioni Lampyris, Castelluccio dei Sauri, 2016, pp. 237). Procede nel migliore dei modi, dunque, l’impegno dei due studiosi, che ha già portato alla pubblicazione di una monografia, Jim Longhi. Un italoamericano tra Woody Guthrie e Arthur Miller, nel 2012, per i tipi della stessa casa editrice, e della traduzione di un romanzo, Woody, Cisco & Me. Tre uomini in mare, nel 2013 (Clichy, Firenze).
Il quadro dell'operosità letteraria di Longhi diventa sempre più ricco e affascinante, per la gioia dei semplici lettori, ma anche degli appassionati della letteratura dell'emigrazione, attenti a cogliere i molteplici e variegati fili che legano l'Italia al Nuovo Mondo, croce e delizia per milioni di disperati in cerca di un posto al sole.
Vincent Jim Longhi nato a New York nel 1916, dunque negli States, e lì si è spento, nel 2006, a 90 anni, ma era figlio di due emigrati della Capitanata, visto che il padre, Giuseppe, era di Lucera, mentre la madre, Rosa Zitani, di Carpino. I due, emigrati in America separatamente, si conobbero e sposarono nel Nuovo Mondo, lasciando in eredità al figlio una grande attenzione per l’Italia, dove si recò più volte. Avvocato, politico, uomo impegnato nel sociale, a sostegno delle rivendicazioni dei più deboli, Longhi ha avuto un’esistenza molto avvincente.
Proprio la monografia del 2012, del resto, funge da ideale introduzione al nuovo lavoro, ricordando tra l’altro il ruolo svolto da Longhi nella nascita del bel racconto del suo amico Arthur Miller intitolato Monte Sant’Angelo, una pagina da leggere e rileggere. Jim era alla ricerca delle sue radici garganiche e Miller lo accompagna, trovando, per l’appunto, uno spunto per la sua vena creativa. All’Italia, poi, è legato anche il romanzo del 2013, che ha riscosso delle notevoli attenzioni critiche. Siamo ai tempi della seconda guerra mondiale, e i suoi due compagni d’avventura sono due noti cantanti, Cisco Houston e Woody Guthrie, che convincono Longhi ad arruolarsi in marina.
Ora è la volta di uno dei cinque drammi teatrali, Due dita d’orgoglio, che Siani e Di Sabato hanno tradotto a quattro mani, affiancando il testo originale alla loro versione italiana (la prefazione, “Dov’è Pete Panto?”: Two Fingers of Pride di Jim Longhi, è a firma di Elisabetta Marino, docente all’Università di Tor Vergata). Un modo, questo, per permettere al lettore di verificare la qualità del lavoro dei due, ma che permette anche di soddisfare alcune curiosità. Ad esempio, in alcuni casi la nonna del protagonista Pete si esprime in vernacolo, e questo è già nel testo originale, riprodotto senza cambiamenti nella traduzione.
Cosma Siani, noto anglista, e in questi panni tra l’altro studioso principe
dell’opera di Joseph Tusiani, al quale ha dedicato molte pubblicazioni, e
Mariantonietta Di Sabato, docente d’inglese con spiccate attenzioni verso la
letteratura, anche vernacolare, hanno offerto una traduzione scorrevole e
fedele, senza inutili fronzoli, ma perfettamente rispondente alle necessità,
aiutando con la loro perizia il lettore ad appassionarsi alla vicenda esemplare
di Pete Mello, scaricatore di porto a Brooklyn. È lui l’eroe della storia,
l’uomo che sfida il potere del male. Longhi, che ben conosceva questo mondo, si
è ispirato alla storia di Peter Panto, uno scaricatore di porto di origini
siciliane ucciso nel 1939 perché ostacolava la gestione mafiosa del porto di
Brooklyn. Longhi non nasconde affatto questo legame, già a partire dal nome, e
la circostanza giova alla resa artistica, allontanando il sospetto della
retorica e dell’enfasi. Si capisce, insomma, che dietro la ribellione del
personaggio c’è una scelta reale, un sacrificio in carne ed ossa, che rende
ancora più profondo il senso della ribellione esaltata nell’opera di Longhi. Il
titolo originale di questo dramma è Two
Fingers of Pride, riproposto fedelmente nel testo italiano. Il riferimento è
ai due dollari di tangente che i portuali dovevano pagare per essere assunti a
giornata, in modo gratuito e senza regole. Con due dita veniva anche indicato,
da parte dei collaboratori del boss don Filippo, chi aveva il privilegio di
lavorare. Ma ci sono anche altre forme di taglieggiamenti, di cui si parla
nell’opera, che attestano la situazione di grave ingiustizia in cui vivevano
migliaia di lavoratori nel Nuovo Mondo.
Longhi, dunque, nei suoi due atti teatrali, affronta un tema sociale,
pone l’accento sui lati in ombra del sogno americano, e questo è importante e
significativo. L’uomo che conosceva la longa manus della mafia costruisce un
quadro in cui ritorna l’antichissima lotta tra il bene e il male, tra i fautori
delle idee positive e gli amanti dell’ombra e della prepotenza. Intorno a loro,
poi, si muove un’umanità mediocre e pavida, che però non resta inerte di fronte
all’invito alla riscossa lanciato da Pete.
Ne deriva, insomma, un quadro realistico, la scelta di un teatro problematico,
attento alle emergenze sociali, che vede da una parte il trentenne Pete,
dall’altra don Filippo, un personaggio machiavellico, che nelle pagine finali
vuole persino giustificare la sua prepotenza come un contributo all’ordine, in
perfetto stile mafioso. Don Filippo viene costruito come emblema del male, e di
qui i suoi comportamenti che lo portano anche a teorizzare la necessità di
figure come la sua, a difendere il senso della sua vita di disonesto. Qui Longhi
esagera un po’ nel tratteggiare il fascino del malvagio, ma di certo, sull’altro
versante, l’autore non risparmia attenzione nella delineazione del personaggio
esemplare di Pete, scaricatore di porto, con la sua povertà e i suoi timori, ma
anche con la sua altissima dignità, che lo porta a non tirarsi indietro,
malgrado l’offerta finale di don Filippo, che vorrebbe assoldarlo nella sua
squadra, nelle pagine finali. L’arma è già pronta per eseguire il delitto,
attraverso il più perfido e insieme topico degli espedienti, l’aiuto di un
traditore, lo scaricatore di porto Fats; la promessa è allettante, offrendo vita
e ricchezza, ma Pete ha deciso di non piegarsi.
Di qui l’edificante finale, in cui Pete viene assunto ad eroe in pianta stabile,
a simbolo di una possibile riscossa per gli uomini di ogni epoca, ed è un
epilogo che piace, che non delude, venendo incontro all’antica fame di giustizia
degli uomini.
Si tratta, nel complesso, di un dramma ben riuscito, ricco di motivi
d’interesse, che Siani e Di Sabato hanno a giusta ragione fatto conoscere ai
lettori più curiosi e attenti. Se alcune scene possono sembrare più scontate,
molte altre appaiono, al contrario, di grande risalto. Si pensi, ad esempio,
nella terza scena del primo atto, allo scambio di battute tra Pete e Sara. I due
si amano anche se di recente hanno litigato. La donna vorrebbe staccare l’uomo
dal mondo del porto, desidera un’altra vita, più dignitosa e meno pericolosa,
così come del resto la sorella di Pete, Mary, di cui si sta celebrando il
compleanno. Sono delle aspirazioni umane e legittime, messe duramente in
evidenza. Pete non è d’accordo e ribatte a muso duro, finché i due, con un colpo
a sorpresa, si baciano, sancendo la pace; ma per il lettore le parole dette sono
pietre, e quelle utilizzate da Longhi sono dure.
Chissà se i due curatori hanno in animo di pescare ancora nella produzione dell’avvocato Longhi; di certo, questo dramma ha confermato a pieno lo spessore del personaggio, giustificando di gran lunga il lavoro di traduzione e di analisi.