SERRICCHIO IN VIAGGIO CON SAN TOMMASO

 

Nella collana "Testimonianze", edita dalle Edizioni del Rosone, è di recente apparso il volume di Cristanziano Serricchio "Ho viaggiato con l'apostolo Tommaso", a cura di Benito Mundi e con l'introduzione di Francesco Guliani. Ecco il testo integrale dell'introduzione.

 

        Cristanziano Serricchio è da molti anni un protagonista della letteratura italiana. Un cammino lungo e fecondo, il suo, che ha preso le mosse nell’immediato secondo dopoguerra, con le liriche di Nubilo et sereno, del 1950, per poi attraversare quella lunga e sconvolgente fase storica che ci separa dall’oggi. Di lui hanno scritto tanti nomi illustri, a partire dall’amatissimo Mario Luzi, esaltando la necessità della sua arte, la limpida coerenza di una pagina che non può che essere così, che non si piega a nessun condizionamento, se non a quello della voce interiore. Una volta quella voce si chiamava ispirazione; potremmo definirla anche amore, passione, sentimento: il concetto non cambia. 

         Di recente sono apparsi vari suoi lavori, come la bella silloge poetica Una terra, una vita, e altri testi sono in avanzata fase di lavorazione, a quanto ci risulta. E’ il segno di una vena che continua a fluire, oltre che di una logica e sacrosanta necessità di sistemare meglio il già edito, nella certezza che dei libri di Serricchio, già inclusi in numerose antologie e oggetto di testi di laurea in vari atenei italiani, si continuerà a parlare ancora a lungo. Ed è giusto che sia così. 

          La produzione di questo garganico di Monte Sant’Angelo, classe 1922, da molti anni trasferitosi a Manfredonia, a pochi chilometri di distanza, docente e poi preside, spazia dalla poesia al racconto, dal romanzo al saggio storico, senza sforzo. E di questa sua versatilità si trova un chiaro riflesso in quest’ultimo volume, dal titolo felice e invitante, Ho viaggiato con l’apostolo Tommaso. Si può viaggiare con un santo vissuto duemila anni fa? A quanto pare sì, e non solo in senso figurato, ma anche concreto.

           I due lati della medaglia si fondono prendendo spunto da uno scherzo del destino, un’occasione più unica che rara, che ha anche una data ben precisa e dei riferimenti geografici. Nel 2002 una delegazione del Comune di Ortona, in Abruzzo, dove sono conservate le reliquie dell’apostolo, si è davvero recata a Chio, in Grecia, per una provvisoria esposizione dei resti mortali di Tommaso. E’ stato un atto di parziale riparazione, visto che le ossa sono state asportate nel 1258 proprio da quell’isola dell’Egeo, ad opera del navigante ortonese Leone Acciaiuoli, impegnato in una delle tante guerre che hanno insanguinato la storia dell’uomo. Le ossa sono così finite nella basilica di San Tommaso, in terra d’Abruzzo, dove sono oggetto ancor oggi di viva venerazione.

           In questa vicenda si inserisce narrativamente Serricchio, facendo del santo il protagonista dell’opera, simbolo pregnante e sempre vivo di un’umanità che conosce la tentazione del dubbio, che non ignora i momenti di disperazione e di ansia, specie di fronte alle difficoltà dell’esistenza. Del resto, come non guardare con simpatia e curiosità alle vicende di un uomo strappato al suo umile destino di pescatore per una missione straordinaria, per un’esperienza assolutamente privilegiata? E come non ritrovarsi nel suo dubbio, di fronte alla resurrezione del Cristo? Lui non c’era, al ritorno del Maestro risorto, e la sua reazione è stata umana, profondamente umana.

           Tommaso-Didimo entra in contatto con il narratore per caso, grazie ad uno scambio di cabine, a bordo di una nave. Il monsignore con cui Serricchio viaggia ha con sé le preziose reliquie, che deve riportare ad Ortona, e la mente dello scrittore vola, copre lo spazio di molti secoli e di molte terre, per ricostruire le avventure dell’apostolo e dei suoi resti mortali.

           Ritroviamo, così, alcuni dei temi fondamentali della produzione del Nostro, a partire dall’attenzione al mutare delle cose, al continuo e irrefrenabile trasformarsi della realtà terrena, sotto la sferza del Tempo. C’è, poi, la passione dello studioso di storia, sia che si tratti di vicende locali che di avvenimenti che rientrano nella cosiddetta macrostoria. Ma per Serricchio non c’è alcuna differenza, com’è giusto che sia: si tratta sempre di riportare alla luce qualche verità umana, qualche vicenda che ha ancora molto da insegnarci, e poco conta che la storia sia la materia più utile e insieme inutile che esista. L’anelito verso la verità deve prevalere, specie quando si tratta di una Storia e di una Verità da scrivere con la maiuscola, come in questo caso.

          Tommaso-Didimo rinvia a Cristo e le sue vicende al cammino della rivelazione cristiana, che continua ancora, senza soluzione di continuità.

           Serricchio rivela una volta di più, in questo suo particolarissimo resoconto di viaggio, la sua fede, la sua visione spirituale dell’esistenza, che si fa strada al di là della dolente malinconia dei giorni, del venir meno delle persone care, dei momenti di sconforto, della clessidra che sembra sempre più povera di granelli di sabbia. E’ una fede che nell’epilogo celebra la sua vittoria.


           Didimo è “uno di noi, sconvolti da incredulità e scetticismo”, afferma Serricchio, che chiude con queste parole: “Contemplando il suo scheletro nell’urna rivedo l’apostolo nella lunga veste talare, sulla nave, accanto al reverendo monsignore, nella stessa cabina, fra me e Leone, in un viaggio che dura da due millenni e durerà sacro e indimenticabile sino alla fine dei secoli.

            Il tempo non esiste. Il pensiero e la fede annullano le distanze. Ci unisce la vita nel mistero della luce che l’anima”.  

            E’ un pensiero limpido e coinvolgente, di quelli che frenano l’angoscia e che comunque danno ragione dell’intera opera, in un compendio al quale segue solo lo spazio bianco della pagina.

            Ho viaggiato con l’apostolo Tommaso è un’opera accattivante, leggendo la quale non si può non pensare al romanzo L’Islam e la Croce, che tante soddisfazioni ha dato a Serricchio, nel quale si raccontano le vicende della celebre manfredoniana Giacometta, rapita nel Seicento dalla sua città natale per ritrovarsi al centro del potere, a Costantinopoli.

            Da Manfredonia ad Ortona il cammino è in fondo breve. Qui è diretto un personaggio riuscitissimo come Leone Acciaiuoli, che domina letterariamente nella prima parte, con la sua umanità, il suo odio per la violenza, il suo sguardo dolente, i suoi ricordi, come si legge in questo passo: “Dalla prua Leone Acciaiuoli fissava un punto lontano. La vita non gli era stata amica. Una tempesta aveva sbattuto il padre col suo trabaccolo a sfracellarsi contro lo scoglio di Pomo, verso l’altra sponda adriatica, al largo di Spalato. Aveva appena dieci anni. Orfano, dovette affrontare duri mestieri: scaricatore di porto, calafato, mozzo, pescatore, per non vedere la madre piegarsi giorno dopo giorno sulla pietra a lavare panni, e riparare vele e reti a ridosso della barca, fino ad ammalarsi e diventare cieca. Ma la sera e le feste, quando non si lavorava, era felice di accompagnarla in chiesa dandole il braccio”.

            Per lui Serricchio ha molta comprensione e considerazione. Anche lo scrittore garganico, del resto, come afferma esplicitamente nel libro, ha conosciuto gli orrori della guerra, il suono delle sirene, il rombo degli aerei, lo schianto dei bombardamenti, l’orrore delle stragi e delle distruzioni. Il vero problema, però, è che gli uomini “dimenticano presto”, aggiunge con amarezza Serricchio, e la letteratura serve anche a questo, a sottolineare un amaro dato di fatto.

            L’intenso ritratto di Leone, che si staglia sullo sfondo delle guerre fraticide tra veneziani e genovesi, lascia poi spazio al santo del dubbio, all’uomo che si è ritrovato a girare per il mondo, finendo in India, dove i suoi giorni si sono chiusi tragicamente, da perfetto martire cristiano. Lo scrittore segue con dovizia di particolari il suo itinerario, mostrando il suo scrupolo di storico e di attento studioso, da sempre interessato ai testi sacri, ai vangeli apocrifi, all’agiografia cristiana. E’ un terreno nel quale il Nostro si muove con sicurezza, come si nota.

           Pagina dopo pagina, troviamo nell’opera vari personaggi, tra cui persino i tre re Magi, ormai invecchiati, ma sempre fedeli testimoni di un evento prodigioso e irripetibile. Né manca un ricordo di Marco Polo e del suo Milione.

           La narrazione, ricca di particolari, diventa maliosa, grazie anche ad una lingua diretta e nel contempo sempre elegante e originale.

           Dalle rive del lago di Genezaret all’India, da Edessa, dove si trovavano le reliquie prima di approdare a Chio, all’isola dell’Egeo, fino all’abruzzese Ortona, il viaggio nel tempo e nello spazio è lungo, ma sempre avvincente e, soprattutto, attuale. Il tempo, lo sappiamo già, non esiste. Il messaggio di Cristo è ancora valido per gli uomini di oggi, e sono altrettanto presenti i dubbi di Tommaso e di quanti, pur non avendo toccato con mano le ferite di Cristo, si sono sforzati di credere.

           In verità, a pensarci bene, neanche il quadro della storia umana cambia, con le sue violenze e le sue malvagità, i suoi stupri e le sue ingiustizie, che salgono non di rado in primo piano nell’opera, ma il finale del libro lascia in bocca un senso di dolcezza, come un sorso di latte, una delicata pralina di cioccolato, un profumo di fiori, che spinge a sperare e a rivolgere, perché no, uno sguardo verso l’alto.

           Un’ultima considerazione va fatta per la dedica del volume, indirizzata alla memoria di Pasquale Soccio, un altro grande intellettuale pugliese, nato nel cuore del Gargano e scomparso nel 2001, che ha avuto con Serricchio degli stretti rapporti. E’ un omaggio sentito, che assume anche una valenza più ampia, volendo sottolineare l’importanza di un’arte che nasce dal mondo in cui si vive, si nutre dei suoi più profondi succhi, per poi parlare a tutti gli uomini, senza confini e distinzioni.

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