GIUSEPPE CASSIERI, IL GARGANICO NON GARGANICO
La notizia della scomparsa di Giuseppe Cassieri è stata
accolta con vivo cordoglio in terra di Puglia, specie tra quanti hanno avuto
modo di confrontarsi con la sua ampia e poliedrica produzione letteraria.
Nato a Rodi Garganico nel 1926, Cassieri aveva studiato a
Lucera, presso il Liceo Bonghi, dove era stato allievo di Pasquale Soccio, al
quale resterà sempre legato. Gli studi universitari lo avevano poi portato a
Firenze, dove i suoi orizzonti culturali si erano ampliati.
Le sue prime opere sono degli anni Cinquanta e formano una
trilogia narrativa comunemente definita neorealistica, formata da “Aria cupa”,
del 1952, “Dove abita il prossimo”, del 1954, e “I delfini sulle tombe”, del
1958. In seguito erano nati lavori fondamentali, come “La cocuzza”, del 1960, e
“Il calcinaccio”, del 1962, incentrato su di una scuola privata vuota e inutile,
incapace di trasmettere alcunché di culturale.
A dispetto del passare degli anni, la sua vena continuava a
scorrere fluente, con le sue notazioni acute, il suo caustico moralismo, la sua
abilità linguistica. Anche nell’ambito saggistico Cassieri ha lasciato delle
valide testimonianze, a partire da una fortunata antologia sugli scrittori
rondisti.
Protagonista del secondo Novecento italiano, egli teneva a
presentarsi come uno scrittore nazionale, alieno da nostalgie provinciali, e
questo aspetto del suo carattere non sempre risultava piacevole, specie per noi
pugliesi. Ma era una scelta frutto proprio del periodo in cui si è affermato
sulla scena letteraria. In compenso, però, erano sempre presente sulle pagine
della pubblicistica regionale, a partire dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”, ed
alcune iniziative, come gli “Ori di Puglia”, sono legate al suo nome. Egli,
infatti, ha diretto questa collana di scritti sulla cultura pugliese, chiamando
a collaborare numerosi personaggi di rilievo.
Nell’elenco delle sue opere c’è anche un volumetto di 13
racconti, “Luna di febbraio”, edito a San Marco in Lamis, contenente i suoi
racconti di argomento garganico. Si tratta di scritti di diverso periodo, che
rivelano sempre un autore elegante e abile nel dipingere un mondo inconfondibile
come quello dello Sperone.
Nelle ultime opere, a dire il vero, la sua maniera narrativa
mostrava spesso la corda. Numerosi romanzi appaiono più il frutto di una grande
abilità letteraria che di una ispirazione in grado di aggiungere altri elementi
vitali a quanto già scritto. Il bisogno di esserci sempre, di continuare a
rimanere nel salotto buono della cultura, era alla base di certe forzature e di
certi eccessi di presenza. Ma tutto ciò non toglie nulla al senso complessivo di
una lunga consuetudine con la scrittura, che gli aveva permesso di assurgere ad
una grande notorietà, rafforzata anche dall’affermazione in alcuni premi
letterari.
Con lui scompare un personaggio che dalla natia Rodi Garganico
aveva saputo ritagliarsi uno spazio in un ambito affollato e ancora per molti
versi magmatico, come quella della letteratura italiana. Una lettura e una
rilettura delle sue opere, specie di quelle degli anni Cinquanta e Sessanta, ci
sembra il modo migliore per ricordarlo come merita.
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