AVEVA 83 ANNI
LA SCOMPARSA DI EMANUELE ITALIA
Si è spento lo scorso 20 luglio 2010, ad 83 anni, Emanuele Italia, autorevole figura di intellettuale della nostra terra. Lo ricordiamo con l'articolo, apparso sui "Quaderni dell'Orsa", che gli abbiamo dedicato in occasione del suo ottantesimo compleanno.
I- NEL NORD DELLA
PUGLIA
Inizia così la sua lunga parentesi nella città dei campanili, dove continua a
vivere e a riscuotere la stima di molti intenditori, a partire dagli ex alunni
del Magistrale “Pestalozzi”, che lo hanno avuto come severo ma giusto docente.
Non sono mancate, del resto, le attestazioni di valore da parte di critici di
rango nazionale.
Ma prima del 1956 c’è un’altra data memorabile, ed è il 1927, anno della sua
nascita. Italia, in altri termini, è giunto al giro di boa degli 80 anni, e
questo ci spinge a dedicargli le pagine che seguono, nelle quali ricapitoleremo
il suo cammino di scrittore.
Nato a Camerino, nelle Marche, da Nicolò, professore di Scienze, e Eldenia
Mugnoz, laureata in Farmacia, vive un’infanzia non molto felice, grazie anche ai
frequenti spostamenti ai quali è soggetto il padre, sospettato nel Ventennio di
origini ebree. Dopo Camerino, Cividale del Friuli, Milano, Adria, Serra de’
Conti e Senigallia, approda a Brescia, dove si diploma al Liceo classico. Si
iscrive poi all’Università di Pavia, conseguendo la laurea in Filosofia, con una
tesi su Kant.
Dopo un
triennio di insegnamento a Zavattarello, in provincia di Pavia, arriva il grande
salto nel Meridione, in quella città del Tavoliere che doveva rappresentare
l’ennesima tappa del suo vagabondare di professore, ma che resterà il suo
approdo definitivo. Come non pensare, a tal proposito, a
Il deserto dei
Tartari di Buzzati? La realtà supera, come
sempre, la finzione letteraria.
Italia non è più andato via da San Severo, dov’è rimasto anche dopo il pensionamento, ma resta da vedere se sia mai giunto qui da noi. Egli, infatti, è sempre rimasto un personaggio atipico, con i suoi orari così poco meridionali, con le sue abitudini silenziose e riservate, con il suo fondo di riflessioni cupe.
Di questo suo modo di essere sono una spia infallibile i suoi libri, che
privilegiano i temi esistenziali ed universali. La sua produzione è un lungo,
ostinato ed insistito corteggiamento del Nulla, un dialogo negato, ma nonostante
tutto reiterato e protratto. Italia, insomma, batte alle porte del Nulla, sin
dal suo primo verso, e continua a farlo, rinfacciandogli la nostra condizione
umana, lamentando il nostro dolore, confessando il desiderio e insieme il timore
di morire.
La risposta non arriverà mai, e lui lo sa bene, ma il suo pessimismo non è mai
tanto cupo da togliergli la forza, da fargli cadere le mani di fronte al foglio
bianco. Di conseguenza, i suoi libri continuano a scandire il tempo, da oltre
vent’anni, dando vita ad una produzione di alto livello, che merita una notevole
considerazione.
Italia ha pubblicato
poesie, racconti, atti unici teatrali, senza concedere mai nulla al romanzo,
ritenuto un genere tipico di altre epoche e di altre certezze, che si
contrappone nettamente alla sua arte, amante delle illuminazioni e delle
concentrazioni narrative.
II- LE DUE PRIME
RACCOLTE
La sua prima raccolta, Sarà di soli
un’esplosione, edita nel 1985 dalla Bastogi di Foggia, contiene versi e
racconti. I modelli che Italia sente più vicini sono, nell’ambito letterario,
Leopardi, specie quello delle Operette
morali, e Montale, in particolare quello degli
Ossi di seppia, ai quali vanno
affiancati i filosofi Kierkegaard e Schopenhauer.
La scrittura nasce come bisogno di testimonianza, come speranza, subito accompagnata dalla disillusione, di lasciare un segno di sé, nella fatale corsa verso il nulla degli uomini.
I suoi versi liberi, che hanno assimilato la lezione dei maestri del Novecento, sono di solito di breve respiro, con immagini dense e concentrate, alle quali si aggiungono talvolta allusioni e citazioni dotte. Si tratta, nel complesso, di una poesia non facile, ma che non si rifugia nell’oscurità, né tanto meno mira a nascondere contenuti altrimenti banali.
Queste liriche sono ricche di momenti pregevoli, che rendono con originalità temi antichi, come in A mia madre, dove si ritrova la problematicità dei rapporti umani, la difficoltà nel comprendersi che ha avvelenato e avvelena ogni relazione, compresa quella tra madre e figlio. Altrove, poi, spiccano delle belle descrizioni naturalistiche, sottili variazioni sui propri stati d’animo, amare disillusioni, accompagnate con naturalezza da fini allusioni letterarie.
Non mancano ricordi di città e luoghi lontani, che non offrono una via d’uscita dal male di vivere, e dunque non sono visti con struggente nostalgia o con un acuto rimpianto, ma sono comunque occasioni di poesia, richiami di un passato che il poeta porta con sé ed evoca. I luoghi più cari sono quelli di Brescia e di Pavia, presenti anche negli otto racconti, come in Un amore?, che rappresentano la naturale conclusione del suo primo volume, esprimendo la stessa concezione di fondo.
Tra tutti, segnaliamo il brevissimo ma intenso Idillio, posto proprio a conclusione del volume. E’ la descrizione della natura marchigiana, in una mattina domenicale, colta in un istante di grazia: “In molti punti la terra è arata di fresco e le zolle qua e là macchiate da mucchi di letame fanno più intenso l’argento degli ulivi. I colori - finché il sole dura - non sono colori, ma luci, bagliori, brillii, luccichii”.
E’ un momento disteso, in cui il pessimismo si placa per far emergere delle grandi doti di sensibilità e un notevole dominio della lingua, piegata a rendere ogni effetto, con una parola inconsuetamente lieve e pregnante. Forse è proprio questo, in assoluto, il suo libro più riuscito.
Due anni dopo Italia darà alle stampe la silloge Lettera di dimissioni, per i tipi della Cappelli di Bologna. Si tratta di 13 racconti in cui la visione dell’autore appare più cupa e la pagina, più costruita, rivela con nettezza il suo intento demistificatorio, il suo bisogno di sgombrare il campo dalle apparenze per cogliere la verità delle idee e dei sentimenti. Italia non si abbandona mai al gusto della pura narrazione, riportando a galla sempre i suoi interessi, che lo spingono a rendere le cose dei simboli, dei tramiti che rinviano al vuoto nel quale si muove l’uomo.
Questo gusto filosofico è tipico del Nostro. Un esempio per tutti è dato da Le oche, rappresentazione di un mondo in cui i palmipedi, diventati sempre più arroganti, regnano su di una realtà indolente; una strana pioggerellina cade ininterrottamente da ottocento giorni; il paesaggio è stravolto da immensi funghi. L’umanità, insomma, lascia intendere l’autore, è profondamente corrotta, anche se i più non sembrano accorgersene.
III- TRA POESIA E TEATRO
L’anno dopo è la volta della silloge poetica
Del vario inganno e dell’indugio
(“All’insegna del Cinghiale ferito”, Apricena), che contiene opere scritte tra
il 1985 e il 1995, riprendendo anche alcune composizioni già edite. Il libro
conferma la vitalità della sua vena, offrendo dei momenti davvero molto belli,
come in questa luminosa ed essenziale quartina intitolata,
Felicità: “Non può far finta
d’essere felice/ la bambinetta che salta la corda./ Il marciapiede è tutto sole,
è un trillo/ di gioia”.
Nel 1999, invece, Italia offre ai suoi lettori la silloge di racconti Dialoghi e diavoli, edita dalla Bastogi, che si pone nella scia di Lettera di dimissioni. Nel libro spicca, per il contenuto, il racconto Sud, in cui il Nostro, con la libertà propria dello scrittore, rievoca il suo arrivo a San Severo. Considerata la scarsità di riferimenti al mondo pugliese, lo scritto acquista un rilievo particolare.
Un’altra vistosa novità, evidenziata del resto anche nel titolo, è rappresentata dalla struttura dialogica di alcuni racconti, come Il Vecchio e il Giovane e Il Gendarme e l’Automobilista.
E’ il segno, questo, di un’attenzione verso il mondo teatrale, che troverà sfogo in due atti unici, Viaggiando unitamente separati, apparso nel 2001, e Fraterne solitudini, del 2003, entrambi pubblicati dalla casa editrice “All’insegna del Cinghiale ferito”, di Apricena.
Il primo atto
unico, articolato in nove scene, pone al centro la solitudine e
l’incomunicabilità dell’uomo, che fanno valere le loro ferree leggi in ogni
caso, anche quando si continua a vivere in famiglia. La barriera che esiste tra
l'io ed il prossimo è invalicabile, rimarca lo scrittore, persino a dispetto
dell’apparenza e delle intenzioni.
Il
pessimismo dell’autore illumina la storia di due personaggi, Piotr e la sua
compagna Irene, con il loro carico di ricordi, di dissidi e di speranze
frustrate. Il titolo, del resto, che contiene un efficace ossimoro, è fin troppo
eloquente.
Il dramma è aperto da un
Prologo,
recitato da un folletto shakespeariano, che tra l’altro pronuncia queste parole,
rivolgendosi agli spettatori: “La noia, il mostro che consuma tutta la vita, già
incombe. Voilà, lo spettacolo inizia. Ridete, piangete e, vi assicuro, tornati
alle vostre case, sarete quelli di sempre. Un po’ più poveri per l’acquisita
conoscenza del vostro essere stati invano”.
Viaggiando unitamente separati
è l’opera di un poeta, e di qui il suo carattere eminentemente lirico.
A due anni di distanza, nel 2003, Italia pubblica
Fraterne solitudini,
che continua il discorso già iniziato, ponendosi sullo stesso piano anche per
quanto riguarda gli esiti artistici.
E’ un dramma in 4 scene, che sembra aprirsi maggiormente ad una nota di
speranza, pur nella sostanziale fedeltà alla medesima visione della realtà, che
sostanzia, nei momenti più felici, squarci di rara bellezza.
L’opera batte ancora una volta sulle tematiche esistenziali comuni all’intera
produzione del Nostro, indugiando sulla denuncia dello scacco della vita. I
protagonisti sono solo due, Eugenio e Michajl, che governano solitari la scena
dall’inizio alla fine, con una drastica riduzione; ma, come se ciò non bastasse,
essi non sono altro che i due diversi volti di una stessa personalità, per
quanto scissa ed oscillante.
Gli atti unici sono austeri e per niente disposti a strizzare l’occhio al
lettore disattento e leggero, il che a qualcuno può anche dispiacere. Essi ci
sembrano più adatti alla lettura che alla rappresentazione, ma ciò non toglie
che
Viaggiando unitamente separati sia stato
rappresentato con successo nel 2002, da una compagnia dauna.
Di certo, questi testi meritano un’attenta considerazione, con i loro simboli
pregnanti, con la loro riduzione all'essenza della trama, in una scarnificazione
nella quale si riflette la nuda realtà della vita umana, chiusa nel solo,
opprimente, orizzonte terreno.
IV- LE ULTIME RACCOLTE
Le stesse tematiche espresse nei due lavori teatrali appena considerati si
ritrovano anche nei due ultimi volumi di liriche,
…e s’addolora la
luce e
Le astuzie fatali,
editi, rispettivamente, nel 2004 e nel 2006, dalla già menzionata casa editrice
di Apricena.
La prima silloge è formata da 45 poesie, in parte inedite, in parte riprese da
libri precedenti o da riviste, ed attesta la continuità di una vena sempre
limpida, anche a dispetto degli anni e di un serio problema alla vista che
costringe Italia a rinunciare alla lettura.
L’autore utilizza sempre il verso libero, piegandolo ai suoi intenti con grande
abilità e senso della varietà. Tra le figure retoriche, segnaliamo l’uso
dell’anafora, preziosa per rendere più efficace e martellante la visione della
realtà.
Le astuzie fatali,
invece, contiene 52 liriche più o meno recenti, con due poesie molto
significative,
Puzzle impossibile e
Vento di oblio.
Il puzzle che non si ricompone, ovviamente, è quello dell’esistenza, che
continua senza senso verso il suo esito fatale: “Il tempo,/ fiume tumultuoso che
via scivola,/ continua a trascinare la mia vita/ lasciando nella memoria
corrosa/ frantumi di immagini”.
In questo cammino che si chiude su se stesso non mancano però dei momenti
positivi, che sciolgono almeno per un istante il rigore dell’anima, e riportano
ad una presenza femminile ed alla dimensione della memoria.
La donna, intesa come l’altra metà del cielo,
diventa persino protagonista di una lirica, intitolata
Rischio regina,
in cui si tesse l’elogio del “cuore profondo” femminile, “fatto per l’amore e
per la morte”.
Con quest’ultima silloge, dunque, Italia, serbandosi
fedele al suo mondo, continua nel migliore dei modi la sua avventura letteraria.
Scrivere è una sorta di missione laica, continua a
ripetere Italia, sostenendo che il mondo ha bisogno della poesia come del pane.
Come dare torto al poeta? Al prossimo libro, Emanuele.