TRA UNITA' E ANNESSIONE DEL MERIDIONE

"IL SANGUE DEL SUD" DI GIORDANO BRUNO GUERRI

          

            Il libro dello storico Giordano Bruno Guerri, “Il sangue del Sud”, si inserisce in un filone che sta diventando, finalmente, sempre più ricco e centrale nella discussione sulle problematiche, antiche e recenti, della nostra nazione. Il testo, edito dalla Mondadori (pp. 297, euro 20), ricorda nel titolo quello di Pansa, “Il sangue dei vinti”, e come quello vuole portare in primo piano delle verità scomode, a lungo represse dai vincitori, che hanno preteso di nascondere i risvolti negativi e poco nobili degli eventi.

            Il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia sta favorendo la pubblicazione di numerosi lavori di “antistoria”, rendendo, nel contempo, sempre più ridicole e goffe le risposte dei tanti storici conformisti, che vorrebbero continuare a propinarci ancora le facezie di un Risorgimento pieno di presunti eroi e uomini dalla robusta tempra morale. Pensiamo a certi articoli apparsi sul “Corriere della Sera”,  a firma, ad esempio, di Galli della Loggia, a certe goffe e spocchiose disamine firmate da personalità della cultura che invece dovrebbero capire che a quelle favolette non crede più nessuno. In un secolo e mezzo, in verità, non sono mancate delle voci critiche e intellettualmente oneste, ma finora erano state sempre soffocate dalla retorica interessata di politici, storici accademici e studiosi distratti, per così dire. La novità è che oggi finalmente l’opinione pubblica, del Nord come del Sud, sembra aver tolto i secolari paraocchi.

           

              Il successo di un libro come “Terroni” di Pino Aprile, del resto, non si potrebbe spiegare diversamente. Se la questione meridionale, dopo tanto tempo, è ancora viva, ci sarà pure un motivo! Ci hanno nascosto l’esistenza dei massacri ai danni dei meridionali, hanno giocato con le parole cambiando le carte in tavola, spostando a proprio piacimento il torto e la ragione, hanno trasformato le vittime in carnefici; ma evidentemente il momento della verità è arrivato, e ben vengano i suoi bruschi impatti, leggendo, ad esempio, la “Controstoria dell’unità d’Italia” di Gigi Di Fiore.

            Guerri è più moderato di Aprile, senza dubbio, ma il suo lavoro ha un’importanza notevole, visto che contribuisce a spezzare quella sorta di steccato che gli storici accademici hanno creato intorno alle riletture del Risorgimento e del brigantaggio, quasi a difendersi da un contagio. Ma il fatto che molti libri simili siano stati scritti negli ultimi anni da storici dilettanti o dagli interessi limitati all’ambito locale va a tutto merito di questi, che hanno avuto più coraggio dei paludati titolari di cattedre universitarie e degli autori dei libri di testo sui quali studiano ancora oggi i nostri studenti.

            Con Guerri, che nella vita fa proprio lo storico, si indebolisce anche questa ridicola (e interessata) difesa di casta intellettuale.

            In “Il sangue del Sud” l’autore passa in rassegna le vicende italiane a cavallo dell’unità nazionale, riconoscendo la validità di non poche obiezioni dei cosiddetti storici revisionisti. Il Piemonte si annette il Meridione in pochissimo tempo, ma i Borboni non erano quegli oscurantisti che la tradizione risorgimentale ci ha descritto. Il Sud era più industrializzato del Nord e i poveri non erano più numerosi che nelle altre regioni, fermo restando che la vita era davvero difficile per tutti, nell’Ottocento. Il quadro era variegato e solo dopo l’unità si arriverà a concentrare la ricchezza al Nord e la povertà al Sud. Il Regno delle Due Sicilie possedeva numerosi primati, tra cui una imponente marina, ma le vie di comunicazione via terra erano insufficienti. Insomma, Guerri cerca un equilibrio tra quanti continuano a parlare del Regno meridionale come trionfo del negativo, un inferno in attesa di essere redento dai piemontesi, e quanti hanno accentuato troppo i lati positivi, specie di recente, parlando solo di un paradiso.

            Un equilibrio, questo, che coesiste con la centrale constatazione dei limiti dell’unità nazionale, realizzata in modo sbagliato, senza risolvere i problemi della diversità dei due mondi. I piemontesi guardavano al Sud con distacco, se non con disprezzo, pensando di doverlo redimere, ma non seppero offrire altro che un brutale accentramento e una cieca violenza. Bisognava, al contrario, risolvere i problemi economici delle classe più basse, dando la terra ai contadini, ai quali invece persino i garibaldini spararono addosso, come nel famoso episodio di Bronte, in Sicilia, ripreso da Giovanni Verga; bisognava creare una classe dirigente nuova e moderna, evitando nel contempo lo sfruttamento del Sud come fosse una colonia. Nulla di tutto questo, invece, venne realizzato, e la rivolta del brigantaggio, in questo contesto, ha rappresentato la logica reazione contro l’annessione. Il carattere di guerra civile del brigantaggio fu a lungo negato, giocando con le parole. I briganti furono bollati a fosche tinte, dipinti come essere inferiori e malati, da affidare agli studi di Lombroso, ma essi erano una logica conseguenza di uno sbaglio di grande entità.

            Guerri non nasconde la violenza della repressione piemontese, che portò ad eccessi inqualificabili, come quelli di Pontelandolfo e Casalduni, nel Beneventano, paesi distrutti dalle fondamenta, tra stupri e fucilazioni sommarie. I comandanti piemontesi furono spietati, come quell’Enrico Cialdini al quale oggi, per ironia della sorte, sono dedicate tante strade nel Meridione, mentre dovrebbe essere additato al pubblico disprezzo per quello che ha fatto ai nostri avi.

            Un Risorgimento senza troppi eroi, quello descritto da Guerri, che poteva, visto che c’era, parlare anche del forte di Fenestrelle, sulle Alpi, e di altre pagine nere inutilmente censurate dagli storici conformisti.

            Gli italiani non si sono fusi, in quel lontano, 1861, ma Guerri ritiene che l’unità nazionale ha fatto ugualmente del bene anche al Sud. Potremmo dire che storicamente aggiusta il tiro, dopo aver parlato di plebisciti truccati, di massacri, di spostamenti al Nord di ingenti somme di denaro prelevate dalle casse dell’ex Regno delle Due Sicilie, di accordi tra galantuomini borghesi e classi dirigenti piemontesi, di una fiscalità ben più esosa di quella borbonica. A differenza di Aprile, che è più radicale nelle sue conclusioni, Guerri, non senza qualche forzatura, rientra un po’ nei ranghi, chiudendo con la positività del Risorgimento.        

            La rilettura di quelle vicende di 150 anni fa, argomento lo storico, è in ogni caso doverosa per far tesoro degli errori compiuti e per dare una risposta più matura alle problematiche attuali. Senza questa presa d’atto, neppure il federalismo, così tanto di moda oggi, può rappresentare una panacea. Insomma, per Guerri c’è ancora la possibilità di invertire un processo storico che non alimenta molti ottimismi, specie negli ultimi anni, con la diffusione a Nord del leghismo e a Sud di un rancore sempre più forte contro i settentrionali e i loro manutengoli meridionali.

            Il libro, nel complesso, ci sembra importante e meritevole di un’attenta lettura. Alcuni capitoli, poi, come “Si viveva così”, sulle condizioni degli italiani intorno al 1861, e “Le brigantesse” offrono degli spunti di approfondimento che non possono lasciare indifferente un lettore attento.

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