DUE IMPORTANTI LIBRI SULLA NOSTRA TERRA
IL TAVOLIERE E IL GARGANO ALL’INIZIO DEL NOVECENTO
BELTRAMELLI E CAGGESE
Agli inizi del Novecento inizia la pubblicazione delle monografie illustrate di “Italia artistica”, con la direzione di Corrado Ricci (1858-1934), un ravennate, grande esperto di arte, che dirigerà degli importanti musei, raggiungendo i massimi gradi nell’ambito della dirigenza statale. Si tratta di testi, stampati nel prestigioso Istituto italiano d’arti grafiche di Bergamo, che portano la firma di personaggi come Federico De Roberto, Enrico Corradini e Giuseppe Antonio Borghese, per citarne qualcuno.
La collana viene aperta proprio da un volume di Ricci, incentrato sulla sua città natale, e prosegue con volumi dedicati a città e zone della nazione, affiancando alle pagine scritte un ampio corredo iconografico.
Nell’ambito di questa collana vengono ospitati due volumi relativi alla nostra provincia: si tratta di “Il Gargano”, apparso nel 1907, a firma di Antonio Beltramelli, e “Foggia e la Capitanata”, del 1910, scritto da Romolo Caggese. Il primo è uno scrittore che all’epoca godeva di una grande notorietà. Nato a Forlì nel 1879 e scomparso a Roma nel 1930, collaborava ad importanti testate giornalistiche e pubblicava libri di novelle e romanzi, ottenendo un vivo successo. Nazionalista, fu anche autore di una monografia apologetica su Mussolini, che lo volle nell’Accademia d’Italia.
Caggese, il cui nome si incontra spesso nella toponomastica della Daunia, era nato ad Ascoli Satriano nel 1882, aveva studiato a Foggia, poi, nel 1900, si trasferisce a Firenze, dove matura i suoi interessi nell’ambito della storia medievale, avviandosi alla carriera universitaria. Di formazione positivista e di idee socialiste, dal 1925 aderisce al Fascismo, spegnendosi a Milano nel 1938.
I libri dei due autori sono molto diversi tra di loro, sia per quanto riguarda il valore letterario che per la capacità di rappresentare una realtà geografica ed umana dall’interno. In entrambi i casi, Beltramelli appare decisamente superiore, riuscendo a scrivere un testo che è insieme realistico ma anche denso di lirismo, portato a rappresentare la realtà del mondo garganico, ma anche in grado di far risaltare l’umanità e la dignità dei suoi abitanti. Caggese, invece, che pure era un pugliese, ponendo l’accento soprattutto sulle ingiustizie sociali e sulla degradazione dell’ambiente geografico ed umano di Foggia e del Tavoliere, rappresenterà il tutto con toni duri ed aspri, risentiti, che non rendono giustizia alla materia trattata. Ne viene fuori un libro poco equilibrato, degno di un analista che applica rigidamente le sue ferree categorie ideologiche, di stampo positivistico, e politiche.
QUANDO PADRE PIO NON C’ERA
Ma conosciamo un po’ più da vicino i due lavori. Antonio Beltramelli compie il suo viaggio sul Gargano intorno al 1905, quando pubblica un articolo intitolato “Terre sperdute”, apparso su di una rivista milanese, “Varietas”. Poi è la volta del libro “Il Gargano”, ventinovesimo della serie “Italia artistica”.
Lo scrittore romagnolo percorre in lungo e in largo lo sperone della penisola, che non aveva mai conosciuto prima, mostrando una grande curiosità, che lo porta a salire sulle scomodissime diligenze, a muoversi in condizioni di fortuna, a sfidare le difficoltà di una terra priva di ferrovie, di strade decenti, di alberghi degni di questo nome, sconosciuta alla maggior parte degli italiani. Beltramelli non nasconde tutti i problemi che gli si presentano, ma nello stesso tempo rende con grande abilità la bellezza di questa terra, componendo delle pagine incantevoli, come quelle dedicate a Vieste, “la sperduta”, e a San Giovanni Rotondo, dove si imbatte nel convento che di lì a pochi anni ospiterà Padre Pio.
Nei primi anni del Novecento il vecchio convento di Santa Maria delle Grazie è vuoto, ridotto a ricovero per i mendicanti, e la penna di Beltramelli si esalta nella descrizione delle suggestioni che derivano dall’ora, dal silenzio, dalle memorie dei frati. E’ un passo appartenente al primo capitolo, “Alle falde del Gargano”, che per noi assume un valore ancora più straordinario, pensando agli eventi che si stavano preparando in quel lembo di terra garganica.
Beltramelli nei sette capitoli in cui divide il libro sa descrivere, commuoversi, sdegnarsi, sa far sentire il suo palpito di uomo che scopre altri uomini che lo guardano incuriositi, diffidenti, ma in fondo gentili e disponibili. Da San Marco in Lamis a Lesina, da Monte Sant’Angelo a Rodi, lo scrittore si sofferma su tutte le città e su tutti i luoghi, lasciandoci un’opera che ha avuto anche qualche ristampa recente e che non è difficile trovare nelle biblioteche pubbliche, con il suo perfetto incontro tra scritti e fotografie, buona parte delle quali scattate proprio da Beltramelli, diventate ormai preziosi documenti di un’epoca lontanissima dalla nostra, pur essendo lontana solo un secolo.
Romolo Caggese
UN PUGLIESE POCO BENEVOLO CON LA SUA TERRA
Ben diverso, come già detto, il volume di Caggese, apparso nel 1910, ma frutto di un viaggio avvenuto nello stesso periodo di Beltramelli, come riporta lo storico in apertura di volume: “Il 13 agosto 1905, alle 13,30, partii da Foggia per Ascoli Satriano, mia patria, proveniente da Firenze, dopo diciotto ore di treno”. La materia è organizzata in 5 capitoli, con 150 foto.
Caggese subordina nettamente il piacere del ritorno a casa e della descrizione alla denuncia di una realtà moralmente abbrutita, nella quale si svolge una sorda e costante lotta tra possidenti e poveri diavoli, che non alimenta speranze ed illusioni. Ovunque si trovano le tracce dell’ignoranza, della sopraffazione, dell’oscurantismo ideologico e religioso. Per certi versi, ci sembra un meridionale emigrato al nord e trasformatosi in acceso leghista, insofferente di fronte ai posti visitati, che lascia con un respiro di sollievo.
Certi giudizi
appaiono decisamente superficiali, e lo stesso si può dire di certe scelte, che
vanno a tutto danno del disegno complessivo del libro. Ad esempio, Caggese
dedica numerose pagine a Cerignola, mentre liquida la trattazione di San Severo
in pochissime righe, pur essendo evidente che le due città, per abitanti, per
economia, per posizione geografica, sono molto simili. Per la precisione, questo
è il brano riservato alla città dell'Alto Tavoliere: “S. Severo, invece, è
distesa nel piano, come una baccante invasa dal furore dionisiaco. E’ bianca di
polvere, di lastricato, di case, di stabilimenti vinicoli, sì che il suo S.
Nicola con la scura facciata rozza ed il campanile abortito sembra un rudere
sperduto fra i segni più nuovi dei tempi nuovi; ed il suo S. Severino par si
debba molto meravigliare di trovarsi ancora in piedi, dopo che gli hanno
distrutto, quasi, il bel rosone bizantino su la porta principale ed il florido
arco che la incorona. Solo la chiesa delle Celestine, barocca e grossolana,
sembra contenta della sua ‘pulizia’ in confronto del suo campanile più antico,
più scuro, più corretto di linea e di sviluppo, e perciò meno stimato e meno
ammirato”.
Tutto qui: poche parole prive di adesione umana e di curiosità, con in più
l’errore relativo alle Celestine, che prendono il posto dei Celestini, un errore
ripetuto anche nella didascalia di una foto.
Caggese ha quasi fretta di andare oltre, di concludere, prima di riprendere il treno che lo porterà nell’amata Firenze, il suo itinerario dauno, nel quale ci sono davvero poche gemme e poche occasioni per dare alla pagina un andamento più disteso e cordiale. Il libro “Foggia e la Capitanata” uscirà 5 anni dopo, rimpolpando la serie dell’”Italia artistica”, che in verità possiede numerosi volumi di qualità, a cominciare proprio dal prezioso lavoro di Antonio Beltramelli. Evidentemente il romagnolo sentiva la Puglia più vicina del pugliese emigrato. Sono cose che capitavano allora e capitano ancor oggi. Nulla di nuovo sotto il sole.