RICORDANDO GIULIANA MUNDI 

 

In tanti siamo portati a pensare che l’estate sia un periodo di ferie, di riposo assoluto, valido anche per le brutte notizie, e così, quando queste ineluttabilmente arrivano, a dispetto del nostro calendario umano, si resta ancora più colpiti, come di fronte alla violazione di un tacito accordo.

Pensavamo a qualcosa del genere, quando, in uno degli ultimi giorni di agosto, siamo tornati a San Severo per dare l’ultimo saluto a Giuliana Mundi.

In realtà, non era affatto una questione di periodo, quanto di qualità umane e di età. Aveva solo 47 anni, Giuliana, ed era la classica bravissima ragazza, della quale era impossibile sentir parlare male.

Non a caso nella chiesa di San Nicola, in quella giornata implacabilmente torrida, c’erano tantissime persone, e non pochi avevano gli occhi lucidi, pensando a quanto accaduto. Era troppo piccola, la chiesa, e in molti sono rimasti fuori, ad attendere la fine della funzione, in un’atmosfera, anche qui, composta e commossa, come raramente si vede, disturbata solo da qualche politicante con il suo codazzo, che costituiva la classica eccezione che conferma la regola.

Era più portata a nascondersi che ad apparire, Giuliana. Forse per questo negli anni abbiamo avuto poche occasioni di parlare a lungo con lei. Poi, nell’aprile del 2010, era scomparso il nostro grande amico Benito, suo padre, e da allora ci era capito di incontrarla più spesso. Dopo i convenevoli, si finiva sempre con i ricordi dello scomparso. Lei si soffermava sul padre di famiglia, sempre premuroso e presente, prodigo di consigli, noi sull’amico che incontravamo ogni giorno e con il quale avevamo realizzato tante iniziative culturali.

Dopo un poco, immancabilmente, Giuliana aveva gli occhi lustri e non trovava più le parole. Un groppo in gola la costringeva a fermarsi, a congedarci; poi, a casa, non di rado trovavamo la sua mail, con la quale continuava il discorso, aggiungeva le frasi spezzate dall’emozione.

Era diventata un po’ una consuetudine ricordare Benito, anche al termine delle riunioni della sezione di San Severo della Società di Storia Patria. Lei era la segretaria della sezione, voluta fortemente dal presidente Pasquale Corsi, che aveva apprezzato la sua serietà e la sua disponibilità, e alla fine dell’incontro c’era sempre qualcosa da aggiungere.

Noi insistevamo perché organizzasse qualche incontro dedicato al padre, ma lei era restia, quasi temesse di disturbare il prossimo. Noi ricordavamo i tanti accademici che avevano già dato la loro disponibilità ad una serata in onore di Benito, da Angelo Russi a Domenico Cofano, e l’elenco sarebbe stato di certo lungo, ma non abbiamo mai insistito, attendendo il momento adatto.

Faceva evidentemente parte del suo carattere e noi pensavamo che forse per questo non aveva scelto la strada dell’insegnamento, del confronto diretto con gli studenti; ma non glielo abbiamo mai detto, proprio per il profondo rispetto che avevamo per lei.

       Aveva una brillante laurea in Lingue nel cassetto, da anni, ma era rimasta a lavorare nella biblioteca comunale, in un ruolo defilato, malgrado le sue indubbie qualità intellettuali, di cui sono prova i lavori da lei realizzati, a partire dal catalogo sugli incunaboli e sulle cinquecentine della biblioteca di San Severo, firmato insieme al padre e a Stefano Capone. Aveva lavorato anche con la prof.ssa Basile Bonsante, dell’Università di Bari, firmando l’appendice documentaria del volume sulla chiesa di San Lorenzo, firmato dalla stessa Bonsante e pubblicato nel 1998 dall’Adda di Bari. Inoltre, aveva pubblicato dei saggi per gli annuali convegni di storia sanseveresi, anche di recente.

C’era, poi, il volume “Omaggio a San Severo”, realizzato a quattro mani con il padre Benito, al quale teneva molto. Non a caso i suoi cari hanno pensato di metterne una copia nella bara, un volume rosso, vistoso e ponderoso, che spiccava accanto alle mani candide, alla corona del rosario e al volto non stravolto dalla sofferenza.

E’ avvenuto tutto in fretta. Lo stato di malessere, in primavera, gli esami che in un primo tempo non destavano preoccupazioni, a sentire alcuni medici che avrebbero bisogno di ripetere l’abbiccì, poi l’emergere di una realtà sempre più terribile. Il male del nostro tempo aveva colpito anche lei e si era già esteso al fegato, senza lasciarle alcuna speranza.

Anche se gli specialisti interpellati non avevano parlato in maniera diretta, lei aveva guardato dritto negli occhi dei camici bianchi, leggendo la verità. Le restava poco, e lo sapevamo anche noi, ma non avremmo mai immaginato che l’evento terribile giungesse così presto, addirittura prima della fine dell’estate.

Ci aveva detto del suo male in un messaggio telefonico, quando stava a Milano, dandoci appuntamento per settembre, ma non ha fatto in tempo. Le abbiamo mandato un saluto telefonico a Ferragosto, poi la fine.

Avesse potuto parlare, in quella chiesa gremita, ci avrebbe chiesto scusa per l’appuntamento mancato, come avrebbe chiesto scusa a tutti i presenti per aver interrotto le loro ferie. Era fatta così, Giuliana, e a noi non è rimasto altro che salutarla, prima del funerale, nella sala della parrocchia di San Nicola, dove il corpo ha sostato prima dell’arrivo in chiesa. In quella sala abbiamo anche apprezzato la compostezza e la dignità della famiglia, alla quale teneva tantissimo. Il marito, le due figlie, la sorella, la madre, tutti i cari che si sono stretti intorno a lei sembravano parlare all’unisono, ricordando le tante qualità di una donna discreta e intelligente, che amava passare inosservata, ma che non si risparmiava per i suoi cari e per il prossimo.

All’uscita del feretro dalla chiesa, pensavamo a due cose. La prima ci è diventata chiara, il motivo per cui Benito è scomparso improvvisamente, prima di provare il terribile dolore della perdita della figlia. L’altra, invece, è rimasta senza risposta.

 

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