GARGANO, 1900: ECCO IL GRAN TOUR
Un romagnolo nel Gargano. Ai primi del Novecento persino nella pronuncia era sconosciuto ai molti italiani che lo chiamavano Gàrgano: per andare da Apricena a Vieste bisognava salire su una diligenza e lasciarsi trasportare per ben dodici ore. Lo scrittore forlivese Antonio Beltramelli (nato nel 1879 e scomparso nel 1930, a soli 51 anni) percorse capillarmente lo sperone della penisola utilizzando tra l'altro uno sciarabbà, un rudimentale veicolo a due ruote trainato da un mulo e dedicò a questa zona pagine che mescolano poesia e descrizioni efficaci. Raccontò i due volti del Gargano, da una parte la natura ammaliante, dall’altra un’arretratezza dura a morire.
Merito di Francesco Giuliani aver riproposto nella collana Testimonianze delle Edizioni del Rosone di Foggia Il Gargano, uno dei libri di viaggio di Beltramelli (con cinquanta foto d’epoca, molte scattate dallo stesso autore). Il testo era apparso per la prima volta nel 1907, nella collana Italia artistica, diretta da Corrado Ricci per l'Istituto italiano d'Arti grafiche di Bergamo ed era stato preceduto da altri scritti, Terre sperdute, pubblicati sul periodico milanese Varietas, qui riproposti in appendice.
Quello di Beltramelli, spiega Giuliani, è un viaggio all'indietro, condotto con abilità ed equilibrio, mostrandosi sempre vicino alla gente che incontra. Il Gargano ha bisogno di strade, infrastrutture, pulizia, ma vanta grandi doti di umanità e lo scrittore si sofferma sui pescatori, i poveri che abitano nelle caverne. Descrive, parole di Giuliani, «una San Giovanni Rotondo appartata e silenziosa, terra di pastori, nella quale non è ancora sorto l'astro di Padre Pio». Il convento dei cappuccini è all’epoca abbandonato, ridotto a ricovero per i mendicanti: «aspettano laggiù - scrive Beltramelli - l'ora fatale, rassegnati e sereni, l'ora che verrà con l'alta ombra dei cipressi a cercare l'anima errabonda. E pregano di minuto in minuto, d'attimo in attimo; dal convento al cimitero è breve il tragitto».
Ignazio Minerva
IL GARGANO
di Antonio Beltramelli
a cura di Francesco Giuliani, Edizioni del Rosone, 2006,
pp. 173, euro 15
(La Repubblica, ed. Bari, 30 maggio 2006, p. XIV)
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Riproposto per i tipi del Rosone di Foggia il «reportage» dello scrittore romagnolo datato 1907
Da Apricena a Vieste, un viaggio di dodici ore
Torna dopo quasi cent'anni l'avventuroso, selvaggio, splendido Gargano di Beltramelli
Sono passati ormai quasi cent'anni dalla pubblicazione della monografia dello scrittore romagnolo Antonio Beltramelli, Il Gargano. Essa uscì per i tipi dell'Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo nella collana «Italia Artistica» voluta dallo storico dell'arte Corrado Ricci, che affidò a firme famose come Borgese e De Roberto altri titoli che incontrarono il favore del pubblico. Beltramelli era uno scrittore fecondo di romanzi (non più riproponibili per la verità) e collaborò attivamente a parecchi giornali, tra cui il «Corriere della Sera». Sulla rivista «Varietas» aveva già fatto uscire qualche anteprima del suo reportage del viaggio avventuroso sul Gargano, fatto nel 1905 e pubblicato in volume nel 1907.
Un'edizione moderna di quel libro viene ora proposta dalle edizioni «Il Rosone» di Foggia, curata da Francesco Giuliani, che vi premette anche un saggio, nella collana «Testimonianze» diretta da Benito Mundi. All'inizio del '900 il Gargano era ancora fuori del civile percorso di strade degne di questo nome. Per andarci e inoltrarsi tra paesi e selve fino a sboccare al mare occorreva coraggio e fortuna, in sella a «sciarabbà» e diligenze scassatissime su ancora più impervie mulattiere e sentieri. Beltramelli, che aveva coraggio e curiosità sufficienti, insieme a una bella penna affilatasi sui morbidi torni dannunziani, affrontò cavallerescamente quella sfida e annotò e descrisse con vivida vena narrativa la realtà multiforme del promontorio e delle sue genti.
Arrivando dall'infuocato Tavoliere, Beltramelli s'immerge così in una sorprendente dimensione naturale e antropologica. I luoghi sono di una bellezza selvaggia e primitivi appaiono ancora alcuni tratti della cultura e dei costumi degli abitanti. Ogni paese ha le sue caratteristiche: San Marco in Lamis l'usanza di disonorare le donne togliendo loro il fazzoletto, San Giovanni Rotondo la vanità delle sue donne ingioiellate fino all'inverosimile, San Nicandro la curiosa animosità politica, Carpino la sua sporcizia, Rodi il dinamismo commerciale e la lindura delle sue strade. Le pagine più memorabili sono dedicate a Monte S. Angelo, alla Foresta Umbra e alle lagune di Varano e di Lesina. Da una parte campeggia lo splendore storico-architettonico del paese consacrato all'Arcangelo, con la sua posizione geografica dominante sul golfo di Manfredonia e sull'intera pianura dauna; dall'altra, la sensibilità del viaggiatore si appunta sull'estrema miseria e insalubrità in cui versano i capannicoli dei laghi costieri.
Qui è il dominio della malaria, dell'abbandono, della derelizione. Quanto diverso il paesaggio della Foresta Umbra coi suoi cerri, carpini e faggi secolari, con la sua possente natura che annichilisce ogni senso e ogni immaginazione!Alla vigilia dell'avvento della «corriera postale» e del trasporto meccanizzato il Gargano è ancora immerso nel medioevo, isola a se stesso, struggentemente bello ma maledetto. A San Giovanni Rotondo mancano più di dieci anni all'arrivo di Padre Pio e Vieste è ancora ritenuta una località inaccessibile, con oltre dodici ore che la separano da Apricena. Cristo sembra davvero fermo ben al di qua del confine di Eboli. Beltramelli ci offre, quindi, il documento vibrante di un viaggio agli inferi, quasi un'anticipazione di quello fissato da Carlo Levi per i suoi paesi lucani.
Sergio D'Amaro
«Il Gargano» di A. Beltramelli, a cura e con un saggio di F. Giuliani, Edizioni Il Rosone, pp. 173, euro 15,00.
(La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 4 Giugno 2006, pag. 23)
Agostino Ramelli, Leggìo a ruota per più libri,
presso Biblioteca Riccardiana, Firenze
UN CLASSICO DELLA NOSTRA TERRA
“IL GARGANO” DI BELTRAMELLI, UN LIBRO COMMOVENTE
Il Gargano di Antonio Beltramelli (1879-1930), ora edito a cura di Francesco Giuliani, introduzione di Benito Mundi (Foggia, Edizioni del Rosone, 2006), è un libro commovente. Giornalista infaticabile, curioso, ma anche umile, discreto, nel 1905 Beltramelli intraprende un viaggio nel Gargano. Allora il promontorio è una regione quasi affatto priva di strade e di alberghi, malarica, devastata da un’economia povera, senza sviluppo e prospettive (disoccupazione, emigrazione, denutrizione dei bambini ecc.), una regione insomma che affonda da secoli in una dolorosa ‘sotto-storia’ (per dirla con Pasolini) che stride con la belle époque del primo Novecento. Ma sotto l’antica miseria del Gargano trapela, agli occhi di Beltramelli, anche una fede e una vitalità silenziosa, di cui Francesco Giuliani sottolinea, nella sua bella introduzione, sfumature e ambivalenze. Beltramelli si accompagna fiducioso alle guide locali (sia esso un monello o un professionista) e non ignora quel che è stato già detto e scritto sul Gargano, cercando una mediazione fra diversi punti di vista. Il paesaggio è un’avventura, e il viaggio un modo di leggere la vita degli uomini che, insieme agli animali (fra questi un’attenzione particolare va al maiale, caro ai bambini) e alle piante (individuate con una acromonia nomenclatoria, come avrebbe desiderato il conterraneo Pascoli), abitano questo paesaggio. Non a caso il libro si apre con una straordinaria descrizione del Tavoliere, colto al volo da un veicolo in corsa (come in una scena di Ombre rosse: piena canicola, tutti dormono nella “corriera”, ma il nostro viaggiatore registra attentamente sul quaderno le sue impressioni del paesaggio). Le descrizioni se a volte peccano, è perché ostentano un’ambizione sontuosa di ricercatezza, alla D’Annunzio per intenderci (che agli inizi del Novecento era un modello di stile giornalistico...), e comunque non rinunciano a risolvere scene e vedute in un enigmatico ardore di colpe ereditarie, folli presenze, leggende ancora fresche: così, intorno a Foggia, “Pochi alberi tisici sorgono qua e là sopra le sue case basse, simili a torri monche e il sole l’abbraccia, l’inonda, la stringe tutta nella sua raggiera di fuoco…” A trasformare questo libro di viaggio, pubblicato ormai un secolo fa (1907), in un libro ancora in viaggio verso il presente, così diverso e spesso indifferente, è proprio la meditazione sul tempo trascorso in quelle mute esistenze mai esaltate dalla storia, o in quei paesaggi, per tanti secoli, neanche sfiorati dall’arte e dalla poesia.
Sono molte le pagine a proposito, di grande suggestione narrativa, che mi piacerebbe ricordare. Senz’altro colpirà l’attenzione del lettore quella in cui Beltramelli descrive la sua visita al Convento dei Cappuccini di San Giovanni Rotondo, prima dell’arrivo di Padre Pio: “Il convento – scrive Beltramelli – sorge in un breve pianoro prossimo alla cresta dei monti; è tutto cinto di cipresso e di roveti. Il piazzale è deserto. Sotto due querce s’innalza, sopra una base a tre gradi, un’antica croce tutta nera nell’ombra; accesa a pena, lungo la sagoma, dalle lontane luminosità del mare. È un grande silenzio, una pace che invade e suade il cuore a raccoglimento; vicino e lontano, tutto è deserto intorno, tutto riposa quasi converso alla mistica calma di questo eremitaggio. Due cavalli brucano al limite del piazzale, sotto le querce; paiono grandi, scolpiti sui cieli. […] Tutto è lindo e bianco; non v’è traccia del tempo; un pallido candore è su queste vecchie mura” (pag. 74). Il viaggiatore picchia “sommessamente” all’uscio del convento, ma nessuno risponde; gli “pare di avvertire lo strisciar lieve di un passo, ma è un inganno dei sensi troppo intenti all’intesa forse, poiché la porta non si dischiude”; quindi due “voci lontane, che risuonano come sotto un’ampia volta di tempio, due voci gravi che non mutano tono e si diffondono in tutto il silenzio e ne traggono echi, vibrazioni; è tutta una solitudine remota che si risveglia a quel suono”. Poi le voci “sfioriscono”, il cielo impallidisce verso la sera, gli alberi sono più neri; il viaggiatore conclude: “Vorrei riposare in questa solitudine non so quanto tempo mai, senza pensare più, senza udire più se non qualche voce buona di vecchio, qualche voce che suada al riposo. Vi sono luoghi ed ore nei quali di raccoglie l’infinita nostalgia che è nell’anima nostra turbolenta; luoghi ed ore che aprono grandi porte su l’improvviso silenzio dell’anima nostra e ci fanno dubitare” (pag. 74). Così Beltramelli si diffonde a parlare, con involontari presagi del futuro imminente, di una terra che allora sopravvive alla sua memoria di viaggiatore, e ancora torna a vivere in quella dei suoi lettori odierni, risvegliando sempre un vivo e, almeno per quanto mi riguarda, laicissimo senso di affetto mistico e contemplativo.
Salvatore Ritrovato
Un viaggiatore curioso alla scoperta del Promontorio, in "Il Provinciale", Foggia, luglio-agosto 2006, p. 15.
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UN VOLUME DI BELTRAMELLI CURATO DA FRANCESCO GIULIANI
1907: UN GRANDE VIAGGIATORE NELLO SPERDUTO GARGANO
UN MONDO SCONOSCIUTO
Un altro importante volume, “Il Gargano” di Antonio Beltramelli, è entrato a far parte della collana “Testimonianze”, la serie di opere letterarie che Benito Mundi dirige e che si avvale, per la veste tipografica, della cura puntuale delle Edizioni del Rosone “Franco Marasca” di Foggia.
L’idea di riproporre al grande pubblico un libro classico, quasi centenario (la prima edizione risale al 1907), ormai introvabile e ridotto dall’impietosità del tempo a puro cimelio da bibliofilo, è di Francesco Giuliani, il quale fa precedere il testo del Beltramelli, offerto in versione integrale, da un suo minuzioso saggio che, previa disiecta membra, ripercorre vita ed opere del giornalista scrittore romagnolo, incanalando subito dopo il lettore in un’epoca ed una “società primitiva”, quella garganica, nelle quali la rassegnazione (la sacralità della rassegnazione, per dirla con il Croce) spesso mitigava l’urto delle passioni e faceva, se non più felice, almeno più dignitosa la vita.
Così, dalle notazioni critiche di Giuliani, che anche in questo ultimo lavoro mostra di saper signoreggiare a tutto campo la pagina, affiora la figura di un letterato fin de siècle, influenzato dai modelli dannunziani e da certo scompigliato mai sopito romanticismo. Ma troverà, il Forlivese, più aperti consensi nei temi irrorati di accesa disputa politica: fu, infatti, interventista e nazionalista prima, fascista poi; ed anche accademico d’Italia, e come tale firmatario del “manifesto” di Giovanni Gentile. Inserito, peraltro, nella rosa della strette amicizie del conterraneo Mussolini, pubblicò del Duce una nota biografica: L’Uomo nuovo, mandata a stampa nel 1923.
Dei suoi numerosi romanzi e racconti, dunque, solo una parte esigua riuscirà ad oltrepassare indenne i rigori della critica: continueranno a suscitare interesse, anche dopo la sua morte avvenuta nel 1930 (era nato a Forlì nel 1879), le sole opere che traevano spunto sia dalle lotte politiche paesane, sostenute da estro satirico e colore folkloristico, e sia dall’esperienza maturata nei periodi di permanenza all’estero, con pagine spesso punteggiate di commossi accenti lirici. “In generale – scrive a proposito Francesco Giuliani -, si può dire che il contatto con la realtà dei luoghi stimola positivamente Beltramelli, permettendogli di esprimere al meglio le sue doti di letterato, senza però perdere di vista la concretezza, con un ancoraggio che si rivela proficuo. Di qui, pertanto, il fascino della sua monografia garganica…”.
E attraverso un accurato lavoro di ricerca, avendo per strumenti capacità di sintesi e di analisi non privi di risorse storiche e di utili confronti con la moderna letteratura, Giuliani ricostruisce e ricolloca nel tempo i diversi stadi che precedettero la pubblicazione de “Il Gargano”. E’ certo, ad esempio, che il viaggio del Forlivese per le nostre contrade debba farsi risalire all’estate del 1905, anno in cui a Cagnano Varano, come lo stesso Beltramelli testimonia, esistevano ancora residui manifesti di una campagna elettorale. I manifesti, senza dubbio, si riferivano alla tornata elettorale delle politiche del novembre 1904, quando nel collegio di Sannicandro, nel quale rientrava Cagnano, l’onorevole Domenico Zaccagnino ebbe la meglio sul deputato uscente Roberto Vollaro. Ma non solo. Nell’ottobre del 1905 su “Varietas”, rivista illustrata che si pubblica a Milano, appare “Terre sperdute”, un articolo di Antonio Beltramelli contenente in sintesi il resoconto del viaggio nella nostra terra. Il brano, che in questo volume curato da Giuliani è riportato in appendice, verrà ampliato nella pubblicazione “Il Gargano” del 1907, inserita nella collezione di monografie “Italia artistica” diretta dallo storico d’arte Corrado Ricci.
DA APRICENA A VIESTE
Acuta disamina, intanto, il nostro italianista sanseverese fa dei sette capitoli che compongono il testo del Beltramelli, riuscendo ad intrecciare egregiamente critica letteraria e autonomia di pensiero; la quale ultima mi pare tradisca, in vari luoghi, un certo suo personale coinvolgimento emotivo, specie nei punti del racconto beltramelliano da dove meglio traspare il senso di una nascosta angoscia sociale o di una mistica esaltazione dolorosa.
Sicché, guardando a questo libro, torna alla mente tutta una interminabile storia nostra: dall’eterna servitù ai recenti riscatti, dalle speranze alle sconfitte, dalle rivolte popolari all’accensione delle prime timide aurore. E non uscirebbe dalla lettura a mani vuote chi, oltre alla descrizione attenta di paesi e paesaggi, che trovano valido supporto in una vasta gamma di immagini fotografiche, cercasse opportune chiavi di comprensione di un travaglio umano che si agitava oltre le pareti di antichi vestigi di culture.
Si scopriranno così pagine di cortese, e talvolta bonaria ironia, che tuttavia fanno passare i nostri paesi garganici, nei tempi della belle époque, quali simboli rappresentativi di una terza Italia, per stare nell’ordine numerico che l’età del consumismo contemporaneo assegna ai paesi meno progrediti. Beltramelli, d’altronde, si fa informatore senza troppi pregiudizi, lui che attinge emozioni direttamente da una fonte storicamente muta, salvo la consultazione documentaria degli scritti di Michele Vocino e delle esperienze di altri viaggiatori stranieri, tra cui il tedesco Ferdinand Gregorovius e l’inglese Janet Ross.
Ma qualche cenno polemico al più persistente dei mali garganici: l’isolamento, ed alla deprecabile assenza dei provvedimenti governativi, qua e là si coglie tra le pagine del Forlivese. Quando parla di Rodi, “la città dei giardini” la quale “per la pulizia e l’ampiezza delle strade può dirsi la città più civile del Gargano”, allargando il capitolo con notizie di storia locale attinte da Michelangelo de Grazia, non trascura in chiosa di indicare nella carenza dei collegamenti stradali l’origine dei gravi disagi in cui si dibatte la produzione degli agrumi. “E’ cosa poco meno che incivile – scrive – il trascurare in tal modo le necessità di una intera popolazione”. Ed aggiunge: “Non v’è da attendersi altra via di salvezza se non dalla ferrovia. Speriamo che i maggiorenti vogliano ascoltare anche la voce remota, la voce non importuna, non tumultuosa, ma tranquilla e forte di un popolo abbandonato”.
Con l’ultima tappa di Ripalta, sul Fortore, dove, come sul Varano, la malaria è stanziale, si chiude il reportage dello scrittore giornalista romagnolo, si chiude un lungo viaggio che, partendo da Foggia, ha interessato tutti i centri abitati della Montagna del Sole; ma con il libro di Antonio Beltramelli può dirsi che si chiuda anche un’epoca: “quella dei viaggi scomodi ed avventurosi nel Gargano, che hanno il loro simbolo nell’uso della diligenza”. Così Francesco Giuliani, il quale conclude il suo documentatissimo saggio critico marcando i tempi dei primi guadagni garganici sulla scala dei riscatti civili e sociali: il servizio automobilistico, l’Apricena – Rodi, inaugurato nel 1911, e finalmente, nel 1931, il varo della tratta ferroviaria San Severo-Peschici (Calenella).
Francesco Ferrante
Il Gargano di Antonio Beltramelli, in "Il Gargano Nuovo", luglio-agosto 2006, p. 5.
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IL GARGANO IN UN VIAGGIO DI INIZIO NOVECENTO
Non so quanto abbia contribuito la lunga serie di libri di viaggiatori, soprattutto dopo l'Unità d'Italia, a far meglio conoscere la vita e le abitudini della gente garganica, ossia di questo lembo di terra che per secoli è stato succube di scorrerie varie, comprese le razzie di tanti popoli conquistatori. Per questo credo sia insita nei vari paesi del Promontorio una certa resistenza caratteriale ad accogliere il nuovo arrivato, forse più per solidarietà verso il forestiero che non per una determinata volontà a non aprirsi più di tanto ad una affabilità più intima e fraterna e, in un certo qual modo, un tantino intrigante. A meno che non lo si faccia per necessità superiori, tipo la forza della sopravvivenza. Tanto è vero che, almeno nelle dicerie popolari, anche le nostre donne all'arrivo degli anglo-americani sembra siano state complici di un certo gioco vezzoso degli Alleati, alla stregua dei personaggi napoletani di Curzio Malaparte. La gente garganica non è mai stata sospettosa più del dovuto, ma nemmeno altruista e accogliente fino alle midolla.
Ciò lo ha bene desunto dal suo viaggio un po' primitivo e selvaggio, Antonio Beltramelli, originario di Forlì, scrittore dì fama durante il periodo del Regime, di cui fu un grande assertore e rappresentate politico-accademico fino alla morte che lo ha colto a soli 51 anni, a Roma, nel 1930. Egli infatti compì tale visita molto probabilmente nel 1905, su carovane e char a bancs, nel gergo dialettale ssciarrabà, cioè sui tradizionali mezzi di locomozione dei contadini del posto.
Appena ventiseienne (è importante sottolineare l'età, data la dovizia di argomenti e il grande senso critico e letterario che pervade le sue pagine) fu inviato dallo storico dell'arte Corrado Ricci, direttore della Collana Italia Artistica per un'opera illustrata delle terre dello Sperone d'Italia; cosicché pubblicò nel 1907 un pregevole reportage, come i grandi viaggiatori dei secoli precedenti, intitolato Il Gargano. Seppur così giovane, ebbe tuttavia l'accortezza e la perspicacia intuitiva e visiva di mettere a fuoco, è il caso di dire, non solo con le grosse macchine fotografiche del tempo, con le quali ha scattato di propria mano tantissime fotografie delle zone visitate, ma soprattutto con un grande intuito e un'ottima memoria visiva il mondo arcano e primitivo della società garganica di allora, tali da permettergli di ricavare una vera analisi se non proprio storico-sociale (essendo più uno scrittore che uno storiografo) perlomeno di tipo demo-antropologico. Come chi, appunto, ricava da un incontro diretto con quelle popolazioni il mondo reale e sommerso che è alla base di una comune cultura e abitudini di vita della civiltà del tempo.
L'opera è riapparsa, a distanza di giusto un secolo, ed ha ripreso vita e vigore attraverso una nuova edizione a cura di uno studioso del posto, il professor Francesco Giuliani, nella Collana Testimonianze, diretta da Benito Mundi, per conto delle Edizioni del Rosone di Foggia, nel 2006.
Il libro del Beltramelli si apre con un lungo Saggio sui motivi e sull'impostazione dell'opera da parte del curatore, il quale riassume, su grosse linee, lo svolgimento cronologico del viaggio e i relativi connotati poetico-letterari, di come cioè l'autore abbia ripercorso, attraverso le percezioni e sensazioni avvertite sia durante il tragitto che nella fase descrittiva, tutti gli aspetti peculiari che la sua mente è stata in grado di recepire e riportare sulle pagine scritte, in cui memoria e fantasia si ricompongono in forma circolare.
Quello di Beltramelli è comunque l'occhio di un osservatore acuto e distaccato che assegna alle proprie impressioni la giusta collocazione geo-antropologica al fine di ricavare non una sterile riepilogazione dei propri avvenimenti di messaggero della cultura e della civiltà letteraria di allora, ma di saper comprendere le verità nascoste che ogni popolazione conserva gelosamente, per quanto esse siano testimoni dì un disagio socio-economico e di una arretratezza dell'evoluzione dei costumi e dei modelli di vita.
Egli annota ma non giudica, mantenendosi libero da condizionamenti prettamente emotivi, senza farsi trascinare dalla foga e dalla condanna aprioristica dell'uomo colto e modernamente tecnologico che cozza contro gli archetipi dozzinali lontani dal progresso e dalla società civile e produttiva in forte ascesa a quel tempo; a braccetto sia con il dannunzianesimo dei circoli culturali, e sia con la mentalità borghese sprovincializzata della Belle Epoque europea con le conquiste sociali delle suffragette anglo-francesi che premevano già da allora per i riconoscimenti di uguali diritti e pari opportunità contro il dilagare dei privilegi maschilisti.
Qui, invece, nei roventi e assolati meriggi montaliani della gente scottata dal sole e da una vita di stenti, prevale una staticità millenaria fuori dai dinamismi di correnti di pensiero e movimenti politici e ideologici (sarà proprio in quell'anno che sorgeranno, ma in pianura e non sul Gargano, le prime Camere del Lavoro di Capitanata, ma Beltramelli non poteva saperlo e né intuirlo) in cui il contadino resta soltanto l'uomo della terra e schiavo nel contempo sia dell'usura del tempo e delle stagioni che dei capricci dei pochi notabili padroni.
L'autore incontra la gente, affonda lo sguardo curioso su cose, persone, animali e i loro spesso impenetrabili atteggiamenti; egli osserva e ricorda, ben sapendo che dovrà scrivere e illustrare le tradizioni e le abitudini di una terra che lo ha comunque accolto come amico e uomo di studi ed ha accettato il suo insinuarsi in qualità di giornalista-scrittore nelle pieghe dei loro atteggiamenti un tantino retrivi e maliosi.
Beltramelli gira per tutto il Promontorio; visita i paesi costieri, da Manfredonia a Vieste, a Peschici, a Rodi Garganico; percorre quelli dell'entroterra, a partire da San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo (dove ancora non vi approda il Frate delle Stimmate), la Grotta dell'Arcangelo a Monte Sant'Angelo; per continuare con Cagnano Varano, Carpino e le zone lagunari. Insomma si crea una visione ampia e completa tale da non lasciare nell'animo e nella curiosità del lettore, soprattutto centro-settentrionale, nessun punto in sospeso, né di alimentare dubbi di fantasticherie più o meno macchinose, ma si comporta come un vero fotoreporter e commentatore di immagini vissute e provate e riprodotte su un taccuino di memorie fresche e genuine, come il cuore della gente che ha incontrato e come l'ingegno che accompagna la sua descrizione.
Beltramelli si informa pure sugli studiosi presenti e passati dei paesi che conosce e legge e si confronta con le opere di precedenti viaggiatori come il tedesco Gregorovius e la scrittrice inglese Janet Ross, oltre agli stessi garganici come i Cimaglia, Giuliani, padre Manicone ecc.
Con la ripubblicazione di quest'opera illustrativa Francesco Giuliani non solo ha dato modo di poter divulgare un testo sconosciuto ai più, ma con la sua capacità interpretativa e analitica ha saputo offrire, come ha già fatto con saggi precedenti, degli spunti ineccepibili sul microcosmo umano e civile di un Gargano, rimasto per tanti aspetti ancora così magico e misterioso, come tale apparve allo sguardo attonito e curioso del celebre viaggiatore di inizio secolo.
Leonardo P. Aucello
Il Gargano in un viaggio di inizio Novecento, in "Meridiano 16", Lucera, 23 novembre 2006, p. 2
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ANTONIO BELTRAMELLI, IL GARGANO
Il Gargano aiuta Beltramelli, che a distanza secolare vede richiamato in vita due volte questo libro del 1907: da Boni di Bologna nel 1994, e ora nella provincia stessa dell’area visitata. E’ un libro di viaggio non certo sufficiente a rialzare le sorti letterarie dell’autore, retrocesso da minore a minimo del Novecento, non estranea l’ombra della sua devozione fascista. Ma il volume è anteriore a tale inclinazione. Se restringiamo l’ottica a quel trascurato filone periegetico che è il viaggio nel Gargano, il lavoro acquista rilievo e offre appigli per un recupero, alla luce altresì dell’opera di reporter nazionale ed estero svolta da Beltramelli.
Il libro fonda la moderna letteratura di viaggio relativa al tour garganico, riprendendo le fila dall’antesignano dell’Ottocento Gregorovius, ma imprimendogli una vena mista di paesaggismo, passione esplorativa, risucchio nel remoto, gusto dell’arcaico, che sarà elaborata da altri viaggiatori del Promontorio (da ricordare almeno due, Bacchelli e Arthur Miller). Beltramelli ha il merito di non fare oleografia. Fornisce dati storici. Al lirico cede con misura. Riporta in maniera obiettiva, perfino cruda, per esempio, le condizioni miserevoli della gente, il sudiciume degli ambienti, l’inesistenza di alloggi, il disagio negli spostamenti, particolare per lui, munito di ingombranti attrezzature fotografiche. Ma non è un viaggiatore fastidioso o prevenuto: mostra simpatia per i destini oscuri, è suggestionato dalla solennità ancestrale dei pastori, apprezza la grazia delle fanciulle, guarda sospeso la devozione dei pellegrini in lacrime. Il tutto in buon amalgama di scrittura, pur senza punte di prosa eccelsa. Il curatore Giuliani ripropone quest’opera in edizione dignitosa, arricchita di alcune delle foto che illustrarono quella originaria, e puntella con solida introduzione un Beltramelli ancora leggibile.
Cosma Siani
Schede, in "L'indice dei libri del mese", dicembre 2006, p. 37.