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IL POETA RITROVATO U. FRACCACRETA.

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 NEL TAVOLIERE LE RADICI PROFONDE DEI «POEMETTI»

L’opera dello scrittore di San Severo riedita opportunamente. I versi e la politica

 

        L’opera di Umberto Fraccacreta (San Severo 1892-1947), a sessant'anni dalla sua scomparsa, merita un'attenzione particolare. La sua produzione si affida a numerosi libri di poesia, pubblicati da prestigiose case editrici: Zanichelli, Cappelli, Guanda, Vecchi e Laterza. Essi sono la testimonianza, anzitutto, di una sicura vocazione letteraria, sottolineata anche dalla traduzione francese (abbastanza tempestiva: del 1935) di Yvonne Lenoir col titolo Chants d’Apulie: vocazione che non è fine a se stessa o espressione solo di un’anima nobile e inquieta. C'è, invece, in Fraccacreta - e questo è stato ricordato da tutti i suoi migliori critici, Valgimigli, Venturo Lamedica, Casiglio, Dell’Aquila, Serricchio, Giuliani - un forte affiato morale, una urgenza a cogliere e a tramandare robusti valori umani, apparentemente messi in crisi da rivoluzionari cambiamenti d'epoca.

L’edizione dei Poemetti, a cura di Francesco Giuliani e con prefazione di un suo sensibile erede, Enrico Fraccacreta, illumina proprio il nodo centrale della poetica dell’autore, togliendogli l’etichetta un po’ provinciale e un po’ retorica di «poeta del Tavoliere» e restituendogli viceversa statura di scrittore e di intellettuale di più vasti orizzonti artistici e di più elaborate proiezioni storiche. I poemetti sono scritti a cavallo tra anni ‘20 e ‘30 e accompagnano, quindi, paralleli l’epoca dei maggiori cambiamenti della società italiana durante il fascismo, quella cioè della scelta al bivio tra agricoltura moderna e industrializzazione. In questo quadro un significato cruciale assume l’azione riformatrice di Arrigo Serpieri, sottosegretario al ministero dell’Agricoltura, fiero avversario del latifondismo e promotore della bonifica integrale del Tavoliere e dell’Agro Pontino. Fraccacreta non rimane insensibile, come scrittore, come terriero e come uomo aperto al progresso, a tali propositi.

Svolta politica e storica, dunque, e poesia che incalza a una scelta che è ancora una volta umanistica e cristiana. Si legga, a questo proposito, il lungo e più importante poemetto di questa raccolta, «Il pane» (gli altri sono «Stelle e lucerne», «Cantoria», «La strada d'erba», «I Coloni», «Il nonno»), e si avrà una conferma di quanto pathos, di quanto spirito etico, di quanta perizia tecnica sono intrisi questi versi che eternano il legame religioso, profondo, radicale che unisce l’uomo alla terra.

La terra, per Fraccacreta, è principio e fine di tutto, e chi se ne allontana per emigrare o se ne disaffeziona rinnegandola, è destinato all’infelicità. «Nel presente canto - scrive l'autore - si vuoi celebrare la grande opera tenace di tali pionieri della terra».

Sembra naturale riconoscere in Fraccacreta un fratello d’anima di chi nella nostra epoca sta lottando caparbiamente per difendere la natura, l’agricoltura biologica, la stessa saldezza della terra contro i pericoli dell'identità sempre più liquida del nostro presente.

SERGIO D’AMARO

 

 

«I poemetti» di Umberto Fraccacreta (a cura di F. Giuliani, pref. di E. Fraccacreta, Sentieri Meridiani ed., pp. 201, euro 16,00).

 

          La  Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 24 agosto 2007, p. 24.

 

 

                 

                Umberto Fraccacreta

                POEMETTI

                a cura di Francesco Giuliani

                Sentieri Meridiani, Foggia 2007.

 

     

         «[...] la sua gente unanime ha, nella mestizia della improvvisa dipartita, chiamato Umberto Fraccacreta "poeta del Tavoliere". Lo ha cioè sentito suo; se lo è rivendicato e ripreso». Scriveva così Paolo Arcari, all'indomani della prematura scomparsa, a soli 55 anni, del poeta pugliese, nell'introduzione agli Ultimi canti edito da Giuseppe Laterza nel 1948.

     In realtà, ingabbiare Fraccacreta (San Severo [FG], 1892-1947) nell'etichetta di «poeta del Tavoliere», sia pure pregna dell'affettuosa riconoscenza dei suoi conterranei, risulta oggi, a sessant'anni dalla morte, quanto mai riduttivo, forviante, provinciale. Poeta e scrittore di ampio respiro (allievo dell'illustre italianista Manara Valgimigli), di esperienze e frequentazioni europee, formatosi negli ambienti romani della «Ronda», abile pianista, colto e fine intellettuale del primo Novecento, uomo dagli ampi orizzonti mentali, insomma, il Nostro si colloca in una dimensione poetica sensibile alla lezione classicistica e decadentistica, ma di alta e godibilissima attualità.

          A rendere omaggio a Umberto Fraccacreta è, ancora una volta, lo studioso Francesco Giuliani, che più volte si è occupato di lui, curando, con il consueto, meticoloso e puntuale stile, la recente pubblicazione Poemetti, edita da Sentieri Meridiani, al terzo posto della collana Poesis.

      Proposti in versione integrale e sapientemente corredati da note a da un corposo apparato critico, Il pane, Stelle e lucerne, Cantoria, La strada dell'erba, I coloni, Il nonno sono i cinque poemetti, alcuni tra i più significativi della produzione fraccacretiana, già precedentemente pubblicati, che danno corpo alla raccolta. Tema dominante dei poemetti (fatta eccezione per Cantoria, un vero inno alla musica sacra di cui Fraccacreta fu estimatore e cultore), è il solenne legame che unisce l'uomo alla terra d'origine, la piana, la madreterra: la Capitanata, quel «microcosmo fortemente significativo, un lembo di realtà nel quale cercare la quiete e le risposte all'angoscia dei giorni, sforzandosi di placare ogni dubbio nell'obbedienza alle leggi immutabili della natura». In primo piano, per l'appunto, la natura-amica, vissuta dall'alba al tramonto attraverso la dura e dignitosa esistenza dei pastori, scandita dai ritmi regolari dell'antico "rito pastorale" della transumanza, avviatosi ormai verso l'inesorabile declino.

     Il testo, corredato da un'accuratissima bibliografia, si rivolge non unicamente all'attento pubblico di addetti ai lavori, ma cela, inoltre, l'intento nobile quanto ambizioso di trovare spazio nel mondo della scuola, con la consapevolezza di «quanto sia difficile inserire dei nuovi contenuti tra progetti, carte e fumo di un'insopportabile retorica che vorrebbe invano nascondere una troppo prosaica verità. Ma non per questo rinunciamo ad offrire il nostro contributo: i versi di Umberto Fraccacreta meritano una grande considerazione ed un'amorevole lettura», sottolinea Giuliani nell'esaustiva introduzione, richiamando inoltre l'attenzione anche sul materiale ancora inedito relativo al poeta e fruibile nella Biblioteca comunale di San Severo nel Fondo Fraccacreta (5.000 volumi, manoscritti, recensioni, carteggi), donato dallo stesso Umberto e in seguito dai suoi eredi.

     In apertura al testo, un breve e commosso ricordo del nipote Enrico Fraccacreta, raffinato poeta anch'egli, dal titolo significativo: I fantasmi di Umberto, che traccia, con discreto e delicato tratto, l'iniziale, timido approccio alla figura del proprio avo, quasi celata dai ricordi di famiglia per via di «quell'atmosfera rarefatta, filtrata dal pudore», che regnava in casa, «poco incline alla storicizzazione di eventi prodotti da "qualcuno" del nucleo familiare».

    «I pastori di Umberto sono fantasmi» – seguita il "giovane" Fraccacreta – così come fantasmi sono le greggi, le querce, gli antichi perazzi, i camini della Posta, i tratturi della transumanza; anche il fiume è ormai prosciugato dalle pompe della nuova agricoltura, la piana non è più la stessa impressa nei versi intensi e delicati di Umberto, solo qualche solitario pastore resta an­cora a sbattere la porta nera dietro la sua fatica.

     MARIA ROSARIA CESAREO

      In "Incroci", n. 19, giugno 2009, pp. 202-203

 

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