ENRICO FRACCACRETA: LA MATEMATICA DELLA VITA

POESIE PER ANDREA ED ENRICO PAZIENZA 

          I- VENT’ANNI DOPO

 

         Poco più di vent’anni fa, nel 1988, si spegneva prematuramente, a Montepulciano, il disegnatore Andrea Pazienza. Nell’ambito di una bibliografia che ha ormai assunto dimensioni imponenti, Enrico Fraccacreta ha saputo guadagnarsi uno spazio ben preciso, con il libro Il giovane Pazienza, apparso nel 2000 per i tipi della foggiana “Zerozerosud” e poi riproposto, nel 2001, da “Stampa alternativa”. Il testo, più volte ristampato, a conferma della sua fortuna editoriale, ha offerto una precisa e insieme commossa testimonianza degli anni verdi di Andrea Pazienza, quando era ancora un figlio della buona borghesia meridionale, di cui però si intuivano chiaramente le straordinarie doti artistiche.

         Fraccacreta ha condiviso con Andrea gli anni della scuola media, frequentandolo anche dopo, quando il figlio del professore Enrico tornava dal liceo artistico o dall’università. Un legame che il tempo avrebbe reso meno intenso, come spesso si verifica, ma che nella sua fase aurea è rimasto consegnato alle pagine di questo lavoro, che ha fatto anche luce, in modo opportuno, sulle forti radici pugliesi del disegnatore, che qualcuno tendeva e tende a dimenticare. 

         Il giovane Pazienza, insomma, ha rappresentato la risposta più intelligente a chi ha parlato solo di un artista marchigiano che ha studiato a Pescara e poi a Bologna, prima di spegnersi a Montepulciano. Questi luoghi rientrano, ovviamente, a pieno titolo nella biografia di Andrea, ma vanno affiancati a San Severo, la città dove oggi riposa, accanto al padre Enrico. Tra l’altro, anche per il professore il 2008 è un anno particolare, visto che si è spento nel 1998, a distanza di 10 anni dal suo adorato figliolo. Speriamo che la ricorrenza spinga qualche studioso a realizzare un catalogo completo dei suoi lavori.

Ma Fraccacreta si è ricordato di Andrea Pazienza anche in altri occasioni, dedicandogli dei versi, ed è il caso di rammentare, a questo punto, la sua attività di poeta, che gli ha permesso di vincere, nel 1995, il Premio Montale per la poesia inedita (la silloge premiata è stata pubblicata da Scheiwiller con il titolo I nostri pomeriggi). Nel 1996 egli ha dato alle stampe la raccolta Tempo medio (Bastogi, Foggia), mentre nel 2006 è stata la volta di Camera di guardia, per i tipi de “I Quaderni del Battello Ebbro”, che ha già vinto alcuni premi nazionali.

Una sincera vocazione di poeta, la sua, scandita da libri attentamente meditati e da collaborazioni a testate specializzate.

All’amico Andrea, Fraccacreta ha dedicato le due parti di Attesa non voluta, comprese in Tempo medio. Inoltre, egli ha composto 5 liriche, incluse finora solo in un volume non venale, Pazienza. Geografia della memoria, firmato dallo stesso Fraccacreta, insieme a Michele Trecca ed Enzo Verrengia (Biblioteca economico-giuridica Felice Chirò, San Severo, 2004).

Le poesie, praticamente inedite, sono intitolate Addizioni, Moltiplicazioni, Divisioni, Sottrazioni e Proporzioni. Se l’ultima lirica è, in verità, poco più che un gioco letterario-matematico, le prime 4 raggiungono dei risultati davvero rimarchevoli. L’autore riflette sulla vita e sull’arte di Andrea ed Enrico Pazienza, rievocando alcuni momenti del loro intenso rapporto e riuscendo, nel contempo, a coinvolgere in profondità il lettore.

In questi flash fissati dall’arte il pensiero spazia senza preclusioni dalla vita alla morte, dalla gioia al dolore, dai dati tangibili alla fede. Andrea ed Enrico hanno addizionato le loro esistenze, unite, oltre che dal forte legame di sangue, dalla stessa passione artistica. Di qui il primo momento, Addizioni, che lascia spazio al tratto del disegno di Andrea, che si aggiunge alla parola, moltiplicando l’effetto finale; ma anche la vita del figlio si può moltiplicare con quella del padre, andando ben oltre la semplice somma. Non a caso la seconda poesia si intitola Moltiplicazioni.

Nella terza lirica, Divisioni, che è poi quella più complessa ed articolata, il poeta riflette sul dolore del padre dopo la scomparsa del figlio, in quel triste periodo trascorso tra rimpianti e visite nel cimitero di San Severo. Poi, spentosi anche il professore, nell’ultima composizione, Sottrazioni, restano “la mancanza” e “la distanza”, la consapevolezza di un impoverimento della realtà, che non può passare inosservato.
        In questo cammino la matematica perde l’astrattezza dei suoi segni per diventare vita, lasciando parlare il cuore, la ragione e la memoria. Il mosaico alla fine assume la sua forma definitiva, come fosse un disegno di Andrea, ma per giungere alla meta c’è bisogno di silenzio, di concentrazione, di attenzione.

Enrico Fraccacreta non è un poeta che gioca con i termini, che ama le inutili complicazioni. Al contrario, egli attende pazientemente che la parola completi il suo cammino di decantazione, per arrivare fino a lui sincera ed insostituibile, con una grande forza espressiva.

La condensazione verbale rende le sue poesie di non semplice lettura, ma se si ha la pazienza di penetrare nella vita del verso, negli ingranaggi di un’immagine, nell’energia di una metafora, allora si coglie la necessità di una vena rigorosa e intensa, nella sua asciuttezza, alimentata da molte letture e, più ancora, da una viva curiosità per la realtà e per il prossimo.

Si capisce, allora, che i confini della storia terrena di Andrea ed Enrico Pazienza si estendono fino a coinvolgere tutti gli uomini, senza differenze, in un anelito di bellezza e di armonia che coesiste con il rimpianto e con le tenebre.

 

 

II- ADDIZIONI E MOLTIPLICAZIONI

 

Le liriche, unite dal riferimento alle operazioni elementari dell’aritmetica, sono tutte in versi sciolti, articolate in brevi strofe e con una punteggiatura ridotta all’essenziale. I titoli presentano sempre l’iniziale minuscola.

Il cammino poetico inizia con Addizioni, una lirica segnata da contrasti cromatici e giochi di luce, ricca di immagini vivide ed efficaci, che fluiscono ancor più libere ed efficaci nel finale.

La parola è prestata direttamente ad Andrea, che rivendica, nel distico iniziale, l’innocenza sua e di suo padre, uomini che hanno seguito con fedeltà la propria vocazione di artisti. Essi hanno prima affinato le proprie qualità, come si nota nella seconda strofa, rivelandosi, poi, come fossero arcobaleni, che rendono più bella la realtà. Fraccacreta li dice “pittori di tempi irrisolti”, dunque testimoni, ma anche partecipi, di un’epoca di dubbio, di inquietudine, di indifferenza.

Nella quarta strofa c’è un riferimento alle tinte più delicate degli acquerelli di Enrico Pazienza (“nel colore più tenue il pilota/ è mio padre”), mentre Andrea si ritaglia uno spazio “sui bordi accesi/ che sfondano le nuvole”), laddove i “bordi” sono, per l’appunto, quelli dell’arcobaleno, con le sue tinte più vive e forti. Vengono così evidenziate le differenze che esistevano tra i due artisti, il disegnatore di fumetti e l’acquerellista.

Nelle ultime tre strofe, invece, si avverte l’inesorabile trascorrere del tempo (“Il nostro arrivo sta svanendo”), che porta via con sé anche il ricordo di antichi episodi legati alle estati passate a San Benedetto del Tronto, dov’era la casa materna. Di qui il richiamo alle passeggiate sulla spiaggia, alla pesca conclusa con un nulla di fatto (“i pomeriggi della pesca/ mai riuscita”), al ritorno, mentre si accendevano le prime luci della sera, a casa, dove i due, padre e figlio, avrebbero raccontato le proprie esperienze. Felicissimo, in particolare, è il contrasto tra le “pareti bianche” e il “colore” delle avventure.

Il tempo passa, ma la poesia, foscolianamente, dà vita a questi momenti, fissandoli sulla carta e arginando la malinconia della fine.

E’ ancora di Andrea la voce che si leva in Moltiplicazioni, dove, come già ricordato, si allude alla fertile unione del disegno con la parola, nel fumetto, ma si sottolinea anche la valenza artistica del rapporto tra padre e figlio. 

Nella prima strofa c’è un richiamo al modo di disegnare di Andrea Pazienza, che seguiva un tipico procedimento, che Enrico Fraccacreta descrive così in Il giovane Pazienza: “Iniziava il disegno in parti diverse del foglio, con una serie di tratti apparentemente estranei tra loro, così che, per un bel po’ di tempo, non capivamo mai cosa stesse disegnando. Solo gli ultimi tre o quattro segni completavano il quadro. E di colpo tutto diventava chiaro, logico, bello, divertente, raffinato. I nostri sguardi contratti si distendevano nel sorriso, lui pareva soddisfatto; si girava verso di noi, ci guardava uno ad uno negli occhi, e poi, come una meraviglia, scoppiavamo tutti a ridere” (p. 34).

Con il suo modo di disegnare, dunque, con il suo inconfondibile tratto, Andrea dava forma alle cose, in modo mirabile. Nel linguaggio, poi, confluiva il suo mondo, il suo essere nato da un pugliese e da una sambenedettese. Nei fumetti non sono infrequenti le presenze del vernacolo della sua regione, se non addirittura sanseverese.

Il risultato dei suoi vari influssi è, come si legge in conclusione, “una sola rivoluzione”, ossia la rivoluzione del fumetto, che dopo Pazienza non sarebbe stato più lo stesso, come affermato da numerosi addetti ai lavori.

Nella terza strofa Fraccacreta ricorda la grande e duratura passione per la caccia del professore Enrico, rimasta proverbiale. Talvolta l’uomo portava con sé il figlio, ma Andrea sottolinea con orgoglio non tanto le doti venatorie del padre (“Non erano quelle le tue prede”), quanto le qualità di pittore. E’ noto che il fumettista aveva una grandissima stima per gli acquerelli del genitore, ai quali si allude nelle due ultime strofe della lirica. Come pittore Enrico era davvero bravo (“Lì era certa la tua mano”), mentre disegnava uno sfondo marino, evocato dall’immagine finale della lirica.

 

Addizioni

        

         Non siamo vincitori siamo innocenti.

         Dietro ai temporali,

         nascosti, filtriamo nei vapori

         le nostre emozioni.

         Siamo arcobaleni

         pittori di tempi irrisolti,

         sommiamo archi tra i balconi

         dell’indifferenza,

         stampiamo i panni stesi

         nella curva delle invenzioni.

 

          Corridori su strisce luminose,

          nel colore più tenue il pilota

          è mio padre,

          io passo sui bordi accesi

          che sfondano le nuvole.

 

          Il nostro arrivo sta svanendo,

          nella grande nebbia cromatica

          dove piovono indistinte

           le passeggiate sulla spiaggia

 

          i pomeriggi della pesca

          mai riuscita,

          le canzoni del ritorno

          verso luci appena accese

 

          e le pareti bianche della casa

          che aspettavano il colore

          delle nostre avventure.


 

         Moltiplicazioni

 

          Sono un tratto, un tratto solo

          per molti significati,

          tratto deciso e leggero

          moltiplicante

          un sopracciglio inarcato

          ammiccante

         un volto intero,

         con un tratto solo:

         questo è il disegno.

 

                   Ma il linguaggio

          quel linguaggio fantastico

          è il pennarello della mia impetuosità,

          tutta la mia giovinezza

          il mio parlare pugliese

          e la radice sambenedettese

          per una sola rivoluzione.

 

          Papà,

          le tue battute di caccia,

          quei teneri agguati

          riducevano i silenzi

          ad occhiate sorridenti.

 

         Non erano quelle le tue prede

         ma i gabbiani lontani,

         poche macchie svettanti

         uscite da grigi uragani.

 

         Lì era certa la tua mano

         solo mossa da un’onda

         tanto rincorsa dal vento

       che mai spumeggiò così

         il suo tormento.



 

III- DIVISIONI

 

L’ultima parola di Moltiplicazioni, “tormento”, getta un ponte verso divisioni, la lirica più angosciata di tutte, oltre che la più lunga e complessa. La sua parte iniziale si legge in Il giovane Pazienza, preceduta da questo significativo preambolo: “Ora che riposa accanto al figlio, mi torna in mente quella poesia che non ebbi mai il coraggio di leggergli” (p. 79).

La composizione, dunque, affonda le sue radici nel decennio tra il 1988 e il 1998, quando papà Enrico era solito trascorrere lunghe ore nel cimitero di San Severo, nei pressi di quella singolare tomba che poi doveva accogliere anche il suo corpo. Il professore è paragonato ad un “cespuglio lì sulla destra innamorato”. In questo lembo di camposanto c’è un grande sasso garganico, c’è un prato sul quale crescono dei fiori (“sopra la coperta di trifoglio/ lo stampo di un lieto ciclamino”), ma mancano sia una fotografia (“un’istantanea”) che una “semplice scritta”, simile a tante altre.

Ora è il poeta che parla, rivolgendosi ad Andrea, al quale addita quell’uomo straziato, di fronte ad un evento che ha sconvolto le leggi della natura, che vogliono i padri morire prima dei figli.

Il professore Enrico è il soggetto dei verbi che aprono le tre strofe successive (“Atterra”, “Trasmette” e “Attende”). Egli viene ogni giorno presso la tomba di Andrea, quasi potesse strapparlo alla terra o, almeno, trovare un sollievo per il proprio dolore, alzando lo sguardo verso l’alto, dove ci sono solo giochi di ombre ed uccelli. Enrico sta fermo lì vicino, in un posto dove c’è un vetro, che riflette in modo particolare le tombe, con i suoi morti.

Anche quando sta a casa, però, il professore pensa al figlio (“Trasmette da una casa esterrefatta”) e l’abitazione, come una persona, avverte il dolore per la tragica scomparsa. Di qui i versi della terza strofa.

Il padre era solito recarsi al camposanto nelle prime ore del giorno (“Attende le avanguardie del mattino”), come accompagnandosi a quei cani randagi dal pelo sporco e rovinato (“smagliati”), che camminano nei fossati ai margini delle strade, che appaiono e scompaiono allo sguardo della gente (“dal manto pezzato di vaghezza”). Enrico non vede l’ora di raccontare ad Andrea le ultime notizie, e a questo punto si apre il discorso diretto, con le sue parole dal senso alquanto arduo da cogliere. In generale, l’uomo sta dicendo che la morte di Andrea è stata avvertita ovunque, lasciando un segno profondo. Nei “destrieri” della quinta strofa possiamo identificare, più in concreto, le persone che hanno parlato di lui, raccontando tutti i ricordi che avevano del disegnatore scomparso, riferendo anche di quello che non ha fatto o non è stato fatto per lui (le “solite omissioni”). Vengono fuori, così, con una nota di pudore, i limiti dell’essere uomo (la “scala della nostra appartenenza” è, per l’appunto, il DNA, poeticamente trasfigurato). L’immagine diventa più chiara dopo, laddove “i compagni” rimpiangono la sua assenza. Il dolore si estende anche alle cose, come attesta l’immagine delle piazze che attendono la luce, che però non riesce a giungere (le “strade”, infatti, sono “interrotte”), lasciando prevalere il buio. Le stesse nuvole sembrano partecipi della drammatica situazione e nel padre la consapevolezza della scomparsa di Andrea (“il freddo passaggio di coscienza”) ha reso ancora più doloroso il buio della notte (“del tempo ordinario”). In questi versi, dunque, si esprime con intensità il carico di sofferenza del professore Enrico. Nella settima strofa il pensiero dell’uomo si apre ad un ricordo del figlio ancora ragazzo, che in una sera lontana si interrogava sul proprio futuro (“punteggiava di lumini l’altra sponda”), chiedendo al genitore se il sogno può prendere il posto della realtà (“se un sogno può rubare l’altra parte”). Andrea era un ragazzo precoce, che faceva domande difficili, come ben sapeva il padre. L’unica speranza è ora nella preghiera, nella fede, che deve combattere con la disperazione prodotta da un dolore troppo straziante. Di qui le due strofe successive. Nella prima si esprime questo bisogno di riprendere il cammino interiore, di ripartire, ma “il primo raggio” della speranza non è ancora la fede (“l’orizzonte”), e il buio è pieno di tormento, come si legge nella nona strofa, di silenzi e di voci altrettanto angoscianti. In particolare, la “bestia che morde sul pendio”, in un’immagine che può evocare ricordi danteschi, è il demonio, il diavolo, che ghigna e rinfaccia all’uomo il buio nel quale è ancora immersa la sua anima (“non hai trovato nulla ancora/ il vento s’attarda nella nebbia…”). Nei versi, pertanto, rivive l’eterno scontro tra luce ed ombra. Nella strofa successiva, lo stormire degli alberi richiama per analogia le pagine dell’album dei ricordi, e dunque la mente ritrova questi brandelli del passato fissati in un’immagine (nel verso “dal flash sorridente ‘56” c’è una chiara allusione all’anno di nascita di Andrea).

Negli ultimi due versi, poi, c’è un riferimento ad  un “signore/ che ancora non ricordo o non conosco…”. In questa foto di gruppo si intravede una figura soprannaturale, che si contrappone alla “bestia” già incontrata. Il “signore” diventa così il Signore. E’ Dio, o forse Gesù, che il professore stenta a riconoscere, visto che il dolore strazia ancora la sua anima.

Ma Divisioni termina proprio con il ritorno della speranza, con il “tempo di partenza”, come si nota nell’ultima parte, dove spicca la bellissima immagine dei cherubini “raccoglitori”, che raccattano le metaforiche perle della pace interiore, riportando progressivamente la serenità nell’anima del professore. I cherubini giungono alla fine della giornata, all’ora della preghiera (il “discorso della sera”), un angelo insegna di nuovo le parole giuste per rivolgersi a Dio (“ha corretto le parole”), sostenendo la voce affannata dell’uomo. E’ passato un anno dalla morte di Andrea. Lo scavo nell’anima del professore Enrico e il pudore dei sentimenti hanno reso questa lirica particolarmente complessa e densa, ma anche, al fondo, capace di coinvolgere il lettore con la forza delle immagini e dei richiami all’essenza della natura umana. Il dramma del professore Enrico, insomma, riguarda tutti.

 

          Divisioni

         

          Adesso che ognuno a proprio modo aspetta

          e un’istantanea o la semplice scritta

          t’avrebbe troppo imprigionato

          quel cespuglio lì sulla destra innamorato

          è tuo padre, lo vedi dal periscopio della croce

          sopra la coperta di trifoglio

          lo stampo di un lieto ciclamino

          Atterra tutti i giorni con le gazze

          per schiodarti alla terra o per guarire in alto

          tra i riverberi e le penne bianche e nere

          fermo sotto l’angolo del vetro

          dove i morti si specchiano voltati.

 

          Trasmette da una casa esterrefatta

         screpolata dalla tua mancanza

         la carta da parati che si stacca

           sul filo delle viole sorridenti.

 

          Attende le avanguardie del mattino

        quei cani smagliati nelle fosse

        dal manto pezzato di vaghezza

          per darti le ultime notizie:

 

        “Hanno scrollato tutti i ricordi

          i destrieri delle solite omissioni

          calando a pelo di boscaglia

          dalla scala della nostra appartenenza

         hanno chiamato da tutti i rimpianti

         i compagni della tua assenza

         hanno aspettato tutte le piazze

         i bagliori di strade interrotte

 

          è piovuto tutta la notte

          il rimorso delle nuvole in alto

          ha oscurato tutte le volte

          il buio del tempo ordinario

          il freddo passaggio di coscienza

 

         di una luce remota nella camera

           che una sera lontana sulla riva

         punteggiava di lumini l’altra sponda

         e tu eri un ragazzo che chiedeva

          se un sogno può rubare l’altra parte.

 

           Ora un concerto di preghiera

           spinge la vela che riparte

           innalza una scaglia di pianoro

           cattura il primo raggio e lo nasconde

           tutte le volte creduto l’orizzonte

 

           quando al buio risplende

           questo silenzio della terra

           degli incroci dei sussurri dei bisbigli

         della bestia che morde sul pendio  

         e beffarda si volta, scampanella:

          non hai trovato nulla ancora

            il vento s'attarda nella nebbia...

 

           Oggi lo stormire dei lecci fuori dalla vetrata

           è il soffio dell’album di tua madre

           viaggia nelle foglie stagionali

           nelle foto del tuo compleanno

           dal flash sorridente ‘56

           alla visita curiosa di un signore

           che ancora non ricordo o non conosco...

           Si è sfilata tutta sul cuore

           la collana delle perle smarrite

           adesso è tempo di partenza

           di mesti cherubini raccoglitori,

           arrivano al discorso della sera

           un angelo ha corretto le parole

           la voce rintocca nell’affanno

 

           è passato un anno”.


 

IV- QUELLO CHE RESTA

 

In Sottrazioni la tensione espressiva si placa e ci imbattiamo in una sorta di consuntivo poetico, in un bilancio calato nel tempo (“E’ l’estate del 2004”). La realtà è diventata senza dubbio più povera con la scomparsa dei due artisti (di qui il titolo) e il poeta, a distanza di anni, medita su quello che è rimasto.

Nella prima strofa si fa riferimento alla fama di Andrea, anche se Fraccacreta usa la seconda persona plurale (i “vostri nomi”), coinvolgendo anche il padre. Al disegnatore, com’è noto, sono stati dedicati dei parchi, delle strade, numerose tesi di laurea, e la sua voce si trova in varie enciclopedie.

Dei due restano le opere artistiche, i “disegni gettati indietro/ in posti diversi”, ma anche i ricordi, come si legge nella terza strofa, vivi in molte persone che sono ancora sulla terra.

Nella strofa successiva ritorna la domanda, per quanto non segnalata dal punto interrogativo, in anafora con il verso iniziale della lirica (“Cosa resta”). La fama viene vista nel suo carattere mutevole, passa da un estremo all’altro, dal quasi oblio al trionfo (“divampa/ dai corridoi in una stanza”, ossia aumenta). E’ stato e sarà così anche per Andrea Pazienza.

Nelle due ultime sezioni della lirica arriva la risposta del poeta, che avverte ancora, con forza, “la mancanza” dei due personaggi, che non smette di interrogarsi sulla “differenza”, sui cambiamenti prodotti dagli eventi, sulla “distanza” che c’è rispetto a coloro che hanno già varcato la fatale soglia della morte.    

L’ultimo verso, “lo spazio bianco tratteggiato”, conferma l’idea di sottrazione, che domina in tutta la lirica. A lettura ultimata, però, ci penserà la poesia, intesa come mezzo di consolazione e di arricchimento interiore, a trasformare il segno da negativo in positivo. E’ il miracolo che solo l’arte sa fare.

Un cenno finale va anche a Proporzioni, dove Fraccacreta gioca con la matematica appresa sui banchi della scuola media. Nell’ultima proporzione, in particolare, le memorie dei due Pazienza vanno assegnate ai luoghi d’origine, formando una sorta di mappa, anzi, una “geografia della memoria”, dal nome del volume già ricordato.
       Nel complesso, queste liriche, pur nella loro peculiarità, si affiancano nel migliore dei modi al volumetto Il giovane Pazienza, rappresentando l’altro lato dell’espressione letteraria di un autore di notevoli qualità, quale, appunto, Enrico Fraccacreta.

FRANCESCO GIULIANI

 

 

 

 

         Sottrazioni

 

         Cosa resta dopo la partenza,

         il vento del treno che innalza

         le foglie stampate con i vostri nomi

         negli angoli dei parchi

         delle vie, sulle tesi di laurea

         le enciclopedie...

 

         E’ l’estate del 2004

         passata ad esplorare

         le braci di un medesimo talento,

         disegni gettati indietro

         in posti diversi

        per un medesimo tramonto.

 

        Sorrisi che si voltano a guardarvi

        resti di parole e d’allegria,

        orme passate sulla sabbia

        prima dell’acqua

        prima che sparisca la sembianza.

 

        Cosa resta oltre l’assenza

        il ricordo e la ricostruzione

        e l’eco di una fama che si spegne

        si riaccende e divampa

        dai corridoi in una stanza.

 

        Resta la mancanza,

       la domanda di questi anni

       lo stupore e il silenzio

        della grande differenza.

 

        Resta la distanza,

        l’intervallo che ha lasciato

        il respiro trattenuto,

        lo spazio bianco tratteggiato.

 

        ENRICO FRACCACRETA

 

 

 BIOGRAFIE

       

         Enrico Fraccacreta, poeta e scrittore, è nato a San Severo nel 1955. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: I nostri pomeriggi (Scheiwiller, 1995), Tempo Medio (Bastogi, 1996) e Camera di guardia (I Quaderni del Battello Ebbro, 2006).

         Fraccacreta è anche l’autore di una fortunatissima biografia narrativa dedicata al suo grande amico d’infanzia Andrea Pazienza. Il libro in questione si intitola Il giovane Pazienza (ZeroZeroSud, 2000 – Stampa alternativa, 2001). Nel 1995 Enrico Fraccacreta ha vinto il Premio Montale per la poesia inedita. Sue poesie sono state pubblicate su importanti riviste letterarie.

        

          Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto, 1956 - Montepulciano, 1988) è stato uno dei maggiori disegnatori del Novecento. Figlio di Enrico, professore di educazione artistica, e Giuliana Di Cretico, marchigiana, nasce a San Benedetto del Tronto, dov’è la casa materna. Trascorre l’infanzia a San Severo, dove frequenta le elementari e le scuole medie. Nel 1968 si trasferisce a Pescara, per frequentare il liceo artistico, iscrivendosi successivamente al DAMS di Bologna, che non completerà. Inizia ben presto la sua carriera di disegnatore, che doveva portarlo a creare personaggi celebri, primo su tutti Zanardi. Artista versatile, Andrea firma anche manifesti cinematografici (ad esempio per la “Città delle donne” di Fellini), copertine di dischi, scenografie per il teatro. Il suo rapido successo non lo tiene lontano dalla piaga della tossicodipendenza, contro la quale lotta fino al tragico epilogo del 1988, quando aveva solo 32 anni. La prematura scomparso non ha arrestato la sua fama postuma, che, anzi, si è diffusa anche all’estero. Di qui una serie di iniziative prestigiose, come la Mostra tenutasi al Vittoriano di Roma. Per il suo uso del linguaggio nel fumetto, Pazienza ha trovato posto persino in alcune storie della letteratura italiana.
           

          Enrico Pazienza (San Severo, 1928- ivi, 1998) ha insegnato educazione artistica nelle scuole medie. Personaggio molto noto nella San Severo della seconda parte del Novecento, dal carattere forte, ha coltivato sempre un vivo amore per la pittura. In particolare, è stato un valido acquerellista, diventando uno dei modelli del celebre figlio Andrea, che non ha mai nascosto la grande ammirazione per il genitore. I quadri di Enrico Pazienza sono quotati nel Bolaffi Arte, anche se si attende ancora uno studio critico sulla sua produzione. La tragica scomparsa di Andrea ha segnato fortemente, com’è logico, la vita del padre, che si è spento 10 anni dopo. Il ruolo di Enrico Pazienza nella formazione e nell’inclinazione artistica di Andrea è stato, giustamente, sempre più sottolineato negli ultimi anni.

    f.g.

 

Il saggio  qui riprodotto è stato pubblicato, con il titolo "Enrico Fraccacreta: la matematica della vita. Poesie per Andrea ed Enrico Pazienza", a firma di Francesco Giuliani, sulla rivista "I Quaderni dell'Orsa", San Severo, n. 2, febbraio 2008, pp. 30-38. Diritti riservati.

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