LA VITALITA’ DELLA POESIA
“…E S’ADDOLORA LA LUCE” DI EMANUELE ITALIA
Emanuele Italia è da poco ritornato in libreria con un volume di poesie, “…e s’addolora la luce” (“All’insegna del cinghiale ferito”, Apricena, 2004, pp. 58). Si tratta di un testo, con prefazione di Fabio Glauco Galli, che arriva dopo due lavori teatrali, “Viaggiando unitamente separati” e “Fraterne solitudini”, che hanno offerto un volto più particolare della produzione letteraria del professore di Camerino, da molti anni residente in terra dauna.
Con quest’ultima fatica, l’autore ritorna all’antico, per così dire, ossia alla sua predilezione per la lirica, con la quale ha esordito nel lontano 1985, con “Sarà di soli un’esplosione”, che gli valse il Premio Gargano. Da allora, si sono susseguiti altri libri di poesia, affiancandosi a racconti e ad atti unici teatrali, a conferma di una vena sempre limpida e viva.
Un cammino che oggi passa per questo agile ma denso volumetto, dal titolo significativo e trasparente, “…e s’addolora la luce”, che riporta in primo piano la visione sconsolata dell’esistenza di Italia, di fronte ad una realtà negativa e senza senso. Ma l’opera si rivela anche un nuovo atto di fede nell’arte, come egli stesso ha tenuto a sottolineare: pubblicare un libro è comunque una sfida al nulla che ci circonda, augurandosi che non tutto vada perduto, che qualcosa alla fine possa restare.
Nel cassetto l’autore aveva ancora altre “membra sparse”, che sono state ricomposte in unità per l’occasione, con l’aggiunta, tra l’altro, di alcune liriche già apparse negli anni scorsi sulla terza pagina de “Il Giornale di San Severo”, scelta, questa, che abbiamo molto apprezzato. Pensiamo, in particolare, alla lirica “Bisognerebbe”, con il suo dolente ma melodioso finale: “Bisognerebbe rigirando le tintinnanti chiavi nella toppa,/ ora che è notte e un po’ di freddo appanna i vetri alle finestre,/ devotamente sparire, cadere no,/ sparire dal marciapiede. Nulla”.
I versi lunghi appaiono perfettamente intonati all’ispirazione, portando il poeta a ritroso, fino a rievocare dei lontani momenti della sua giovinezza, di una realtà scolastica rimasta impressa per sempre nella mente. “La giovinezza era una barbarie con grazie d’odalisca”, scrive Italia, alle prese con la campanella e con il fantasma di una ragazza con il cappotto a scacchi; ma lo stesso poeta sa essere in altri passi anche crudo, specie in certi particolari, che svelano un groviglio di sentimenti, di amori e di rancori, dai quali la sua vena viene alimentata ed influenzata.
La stanchezza e la noia lasciano senza sforzo spazio alla pietà verso il dolore del prossimo, alla laica richiesta di una misericordia di cui tutti hanno un disperato bisogno.
In alcune liriche, inoltre, la contemplazione dell’universo sfocia in sarcastiche ed irriverenti conclusioni, dense di dotti ma spontanei richiami e citazioni, come in “Sperpero”, che è l’ultima lirica del volume (“E’ tutta qui, proscenio, attori, trama/ la gloria di Colui che tutto move?”).
Nel complesso, “…e s’addolora la luce” appare come un nuovo, ispirato itinerario nel profondo dell’anima e del mondo, che conferma la vitalità delle tematiche più care al poeta e ai suoi estimatori.