RACCONTI D'AUTORE
PIZZENGÙNGHELE DI CRISTANZIANO SERRICCHIO
Cristanziano Serricchio è uno scrittore che non ha bisogno di molte presentazioni. Nato a Monte Sant’Angelo e da tempo residente a Manfredonia, ha al suo attivo numerosi volumi, che lo hanno portato all’attenzione dei maggiori critici italiani. Nel 2003 Mario Luzi gli ha conferito il premio Una vita per la poesia.
La sua fedeltà alle ragioni interiori dell’arte è al di sopra di ogni sospetto e rifulge, oltre che nei testi poetici e nei romanzi, anche nella silloge di racconti Pizzengùnghele (Edizioni Ippocampo, Manfredonia, 2005, pp. 237). E’ un libro, questo, prefato da Ettore Catalano, italianista dell’Università di Bari, che contiene 22 composizioni di Serricchio, di cui 12 già edite nel 1984 nel volume Le radici dell’arcobaleno. Il titolo, che all’inizio sconcerta un po’, è tratto dal dialetto ed allude ai gusci vuoti delle conchiglie, come si chiarisce nell’omonimo racconto.
La raccolta, proprio per la sua dilatazione cronologica, fornisce molte indicazioni sulla produzione di Serricchio. Nei primi 12 pezzi ci sembra di scorgere una maggiore levità di scrittura, un più spontaneo controllo narrativo, a differenza degli altri 10, con il loro surplus di inquietudine e di dolore; ma in generale il tratto stilistico e contenutistico non cambia.
L’autore rievoca momenti luminosi della propria giovinezza, in racconti come Padre Martori o Il teatrino delle marionette, ma apre la pagina anche alle ansie della realtà quotidiana, come in Una domenica, di grande efficacia, che possiamo affiancare a Il macchinista o a Lo spaccapietre, forse il racconto più bello della parte già edita, in cui si mostra l’emergere, nel protagonista, di una triste consapevolezza della propria povera vita.
Serricchio si ispira al mondo pugliese, calando in esso una visione della realtà che non nasconde un fondo malinconico e dolente, di fronte al venire meno delle cose e dei sentimenti dell’uomo. Il suo sguardo lungo, abituato a confrontarsi con le epoche storiche, con i tratti dell’avventura umana che soverchiano di gran lunga l’esperienza del singolo individuo, mostra questo lato in ombra, ma in Serricchio non c’è disperazione. Il cammino orizzontale conosce anche una tensione verticale, verso l’alto, nelle plaghe di un Dio che non manca nelle pagine dello scrittore pugliese. Il tempo svuota i gusci delle conchiglie umane, per riprendere il titolo del libro, l’esperienza del singolo affonda “tra frantumi di migliaia di gusci vuoti, fossili vetrosi sparsi nel fondo fra ghiaia, rena e intrigo d’alghe mosse in eterno dalla risacca”; ma non tutto è irrimediabilmente perduto. C’è anche la quiete dell’anima, l’amore per la scrittura, che è in fondo una forma di compenso e di sollievo.
In questa luce si spiegano certe pagine dedicate alla moglie scomparsa, come Dialogo di Natale, e si comprende la necessità di un racconto come Naufragio a Calarime, tra i più belli della parte inedita, ambientato nel Cinquecento, per il quale il prefatore ha ricordato giustamente Sciascia.
Pizzengùnghele, con la sua scrittura sobria ma di classica compostezza, è nel complesso un volume denso e profondo, che conferma il rilievo di questo interprete della letteratura contemporanea, che ha tratto dalla Puglia lo stimolo per parlare a tutti gli uomini.
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