PIO XII: UN PAPA DA RIABILITARE?

 

E’ appena giunto in libreria un nuovo testo che indaga sul controverso rapporto tra Pio XII, il nazismo e gli ebrei: si tratta di Il papa che salvò gli ebrei, scritto a quattro mani da Matteo Luigi Napolitano e Andrea Tornielli (Piemme, 2004, pp. 202, euro 12,50).

E’ un’opera che ha un titolo molto esplicito e nello stesso tempo volutamente provocatorio: ma come, diranno in molti, proprio papa Pacelli, che nell’immaginario collettivo è legato ai suoi silenzi? Proprio lui! E che il titolo funzioni, lo abbiamo verificato leggendolo a degli studenti prossimi all’esame di Stato: quasi tutti si sono meravigliati, anzi, qualcuno si è persino scandalizzato.

Segno, dunque, che c’è davvero bisogno di lavori simili, che non si propongono di fare opera di revisionismo storico, bensì di sgombrare il campo da “un paradosso, di cui la mia generazione è stata direttamente testimone”. A dire questo parole è il prefatore del volume, il notissimo storico e opinionista Sergio Romano, che aggiunge: “Per alcuni anni, dopo la fine della guerra, Pio XII è stato lodato e ringraziato, soprattutto dalle comunità ebraiche, per il coraggio e la generosità con cui aveva difeso e salvato un numero elevato di ebrei dalle persecuzioni naziste. […] Poi, improvvisamente, questo giudizio si è rovesciato. Da benefattore degli ebrei Pio XII è divenuto il complice di Hitler, il cinico e indifferente spettatore del genocidio ebraico”.

Com’è potuto avvenire questo stravolgimento? Romano offre una risposta plausibile, inquadrando il tutto sullo sfondo dei cambiamenti storici, che hanno portato ad individuare nel nazismo l’unico male del secolo, dimenticando la drammatica situazione storica nella quale sono maturate le scelte di Pio XII, dimenticando la cortina di ferro comunista e la presenza di un altro terribile totalitarismo.

In ultima analisi, l’errore compiuto è di anacronismo, perdendo di vista la complessità della storia. Forti di queste parole introduttive, Napolitano e Tornielli puntano diritto alla definizione del quadro documentale, sfruttando a pieno le proprie conoscenze specialistiche. Il primo, sanseverese, ma residente da anni a Roma, è docente di Storia dei rapporti tra Stato e Chiesa alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Urbino; il secondo, di Chioggia, è giornalista professionista e vaticanista del quotidiano milanese Il Giornale. Entrambi hanno già scritto opere sull’argomento e di Napolitano, in particolare, abbiamo recensito tempo fa Pio XII tra guerra e pace, del 2002, in cui le problematiche sull’atteggiamento di Pio XII rispetto al nazismo avevano già un rilievo centrale.

 

Si tratta di due specialisti di matrice cattolica, insomma, che si basano, oltre che sulla loro esperienza nel settore, sulla conoscenza dei documenti tratti dagli archivi segreti del Vaticano, relativi ai rapporti tra Santa Sede e Germania negli anni 1922-1939, resi pubblici anzitempo dall’attuale pontefice, Giovanni Paolo II.

Il papa che salvò gli ebrei, che è stato appena presentato a Roma, alla presenza di docenti e studiosi, oltre che del senatore Giulio Andreotti, è un testo che si lascia leggere facilmente, senza mai perdere di vista il riferimento dei documenti, il rapporto con le fonti di prima mano, che portano i due autori a sottolineare la coerenza dell’atteggiamento di Pio XII, il quale, in una situazione così terribile e drammatica, scelse la strada di una diplomazia ferma e rigorosa, che portò il Vaticano ad evitare lo scontro aperto, mirando invece a salvare quante più vite era possibile.

Pio XII fece sì che molti ebrei e perseguitati fossero messi in salvo nei monasteri, mostrando una costante preoccupazione per la sorte degli ebrei, tanto che questi lo ringraziarono a lungo e personaggi come Albert Einstein scrissero parole piene di ammirazione.

Nelle conclusioni del libro, i due autori rispondono ad una facile obiezione: “Che cosa sarebbe successo se la Santa Sede si fosse mossa diversamente? Non lo sappiamo; né è utile fare della ragioneria spicciola con l’umanità umiliata e offesa. Ma è significativo come il rabbino americano David Dalin, che è anche uno storico di mestiere, abbia osservato che se Pio XII avesse fatto diversamente da come fece, oggi avremmo non già sei milioni di morti nella Shoah, ma molti di più”.

La storia non si fa con i se e con i ma, com’è noto; in ogni caso, negli anni Sessanta il clima cambia e compare sulla scena il dramma Il Vicario, di Rolf Hochhuth, tradotto in Italia nel 1964, che presenta Pio XII come un papa innocuo, silenziosamente complice di Hitler. Seguendo questa valanga di accuse, Napolitano e Tornielli giungono, snocciolando dati su dati, traducendo documenti su documenti, tradendo solo di rado la propria posizione ideologica, fino ai giorni nostri, con trasmissioni come Novecento di Pippo Baudo, appiattita sui soliti stereotipi, che talvolta, per ironia della sorte, trovano una sponda persino nel mondo militante cattolico.

Siamo di fronte alla riabilitazione di Pio XII? E’ presto per dirlo e di certo le resistenze sono tante, se è vero che lo stesso iter del processo di canonizzazione ne ha risentito. Di certo, il lettore attento da oggi avrà meno certezze.

Alla fine, Napolitano e Tornielli non esitano a dichiarare che Pio XII fu l’uomo giusto al posto giusto: tra le tante provocazioni del libro, forse questa, espressa senza inutili giri di parole e alla fine di un discorso che contiene il succo di una lunga frequentazione archivistica, è la più forte.

 

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