MINOLI E IL DVD SULL'UNITA' D'ITALIA

L'UNITA D'ITALIA AGIOGRAFICA E UN PO' LEGHISTA

 

Nei giorni scorsi è stato distribuito gratuitamente nelle scuole superiori che aderiscono all’iniziativa “Il quotidiano in classe” un dvd di Giovanni Minoli sull’Unità d’Italia, a 150 anni dalla fatidica data. Si tratta, presumibilmente, dello stesso filmato andato in onda nei giorni scorsi sugli schermi di Rai Due, per la serie “La storia siamo noi”.

L’iniziativa, in sé, è senz’altro lodevole, visto che tende ad evidenziare l’importanza di un evento che ha cambiato l’esistenza di tutti noi. Peccato, però, che il contenuto del dvd sia davvero deludente. Siamo ancora fermi nell’ambito della solita agiografia risorgimentale, che presenta un carrellata di personaggi dalle virtù eroiche, santini laici senza macchia, da custodire in un pahtheon profano. Persino Vittorio Emauele II, che pure non ebbe nemmeno la delicatezza di trasformarsi in Vittorio Emanuele I Re d’Italia, per rispetto dei suoi nuovi sudditi, appare animato da una sublime e disinteressata dedizione alla causa nazionale. Per non parlare, poi, dei vari Cavour e di certi personaggi che pure subito bollarono il Sud come peggio dell’Africa.

Insomma, la ricostruzione appare così melensa e zuccherosa da sembrare persino per molti versi inverosimile. Ritroviamo l’antica immagine del Sud arretrato e bisogno di aiuto, l’idea di un governo borbonico inefficiente e malvagio, a dispetto di certe argomentate rivalutazioni di Ferdinando II, la divisione tra buoni e cattivi.

Su altre vicende legate all’unità, poi, silenzio assoluto. Ci riferiamo, ad esempio, al brigantaggio e alla feroce repressione sabauda, che ha fatto migliaia e migliaia di morti, per anni, alle promesse di giustizia sociale negate dal trionfo della logica gattopardesca della continuazione sotto mentite spoglie, ai tanti furbi che passarono tranquillamente dalla casacca borbonica a quella italiana, come prezzo del tradimento, alle deportazioni dei meridionali fedeli alla vecchia dinastia in luoghi terribili come Fenestrelle, in provincia di Torino.

Quisquilie, insomma, per Minoli e gli storici da lui interpellati, alle quali potremmo aggiungere il tracollo dell’industria e dell’economia meridionale, piegate alle logiche nordiste, e il consolidamento della pratica trasformistica.

Non manca, poi, una spruzzata di politicamente corretto in salsa leghista. Ed ecco, così, il ruolo assegnato a Carlo Cattaneo, che in una scena appare intento a difendere le ragioni dei popoli lombardi contro l’annessione piemontese. Una storia, insomma, riletta con un occhio ai cambiamenti in atto nella nostra nazione, nella quale non si concede nulla alle ragioni dei meridionali, ma molto, tanto per cambiare, a quelle settentrionali. I Mille, con le loro schiere lombarde, hanno messo in moto la macchina dell’unità, ma oggi è tempo di autodeterminazione, di federalismo, di rifiuto delle logiche centraliste. Chiaro il messaggio?

Eppure non ci voleva molto a raccontare le vere ragioni dell’Unità, a ricostruire la storia di una nazione nata per motivazioni spesso poco nobili, ma che rappresenta un patrimonio da non disperdere, oggi più che mai prezioso, pur con tutti i suoi difetti d’origine. Non è nascondendo la polvere sotto il tappeto che si pulisce la stanza. Oggi i limiti del Risorgimento sono sempre più evidenti, come anche la delusione delle classi meno abbienti, dei contadini che speravano di potersi ritrovare finalmente padroni di un pezzo di terra. Ma Garibaldi fu spedito a Caprera, tolto di mezzo con la sceneggiata di Teano dall’ineffabile Vittorio Emanuele, rimasto sempre secondo, a dispetto di tutto. Tanto rumore per nulla, pensarono molti meridionali, costretti a fare i conti con la piemontesizzazione coatta, con un accentramento di tipo francese che rassicurava le classi dominanti, con carenze e ritardi che dovevano arrivare fino ai giorni nostri. Di questa storia vera non c’è traccia; solo agiografia e retorica. Peccato! 

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