“IL TEMPO DELL’ATTESA” DI LORETTO RAFANELLI

UNA POESIA DEDICATA A SAN SEVERO

 

 

 

QUANDO GLI ALTRI CI GUARDANO

In un libro scritto da un concittadino non è difficile trovare almeno una poesia dedicata a San Severo; l’omaggio del figlio alla propria terra diventa quasi un tributo dovuto alle proprie origini, alle proprie radici. Meno consueto è imbattersi in una lirica su San Severo scritta da un poeta nato in provincia di Bologna, a Porretta Terme, e di origini toscane. Se poi, per giunta, si tratta di un autore molto considerato a livello nazionale, che ha vinto degli autorevoli premi e dirige la casa editrice “I Quaderni del Battello Ebro”, lo stupore si trasforma subito in una piacevole sensazione di meraviglia, che spinge ad approfondire i motivi della scelta.

            Per essere più chiari, il nostro articolo nasce dalla scoperta di una lirica, intitolata per l’appunto “A San Severo”, contenuta nella silloge poetica di Loretto Rafanelli, “Il tempo dell’attesa”, appena data alle stampe, per i tipi della casa editrice milanese Jaca Book (pp. 107, euro 12), la stessa, come qualcuno ricorderà, che ha pubblicato negli anni Settanta il romanzo di Giuseppe Annese “Serenità in agguato”.

            Rafanelli, che nella vita insegna diritto in un istituto superiore, ha al suo attivo vari libri di poesia, tra cui, nel 2002, “Il silenzio dei nomi”; inoltre ha scritto anche per il teatro, e il riferimento va in particolare a “Le voci del Filadelfia – Il Grande Torino”, del 2005, che è stato rappresentato proprio sul palcoscenico del nostro “Verdi”, ad opera di una compagnia locale.

Come editore, poi, ha di recente pubblicato il volume di Enrico Fraccacreta “Camera di guardia”, di cui abbiamo già parlato in una terza pagina del nostro “Giornale di San Severo”.

            Rafanelli nei giorni scorsi ha avuto una serie di incontri con i giovani, ed in particolare con gli studenti del liceo classico di San Severo e di Torremaggiore, ai quali ha ricordato l’importanza dei versi, specie in una società come la nostra, troppo distratta da punti di riferimento falsi e vuoti. La sua è stata un’appassionata apologia del ruolo della poesia, intesa anche come palestra di libertà e di originalità.

Dagli schermi dell’emittente locale, poi, Rafanelli ha parlato della sua ultima fatica poetica, che racchiude un centinaio di liriche. Il titolo, “Il tempo dell’attesa”, è ricco di suggestioni culturali e di risonanze poetiche. La stessa vita è un’attesa, un segmento nel quale gli uomini si muovono in cerca di un amico, di un’anima gemella, di un ideale per il quale valga la pena di lottare. Il titolo, dunque, ha un’accezione ampia e comprende delle composizioni che cercano un colloquio con il prossimo, che si mostrano bendisposte al dialogo con un possibile interlocutore.

            La poesia di Rafanelli, del resto, è tersa, limpida; possiede dei momenti distesi ma sempre necessari e significativi, nei quali si aprono degli squarci più accesi, che aprono varchi verso gli abissi dell’animo umano. Le metafore spiccano all’interno di una lingua colloquiale, ma sempre sorvegliata, che è il frutto di una scelta attenta, di una opzione fatta con il gusto sicuro di chi ha letto e compreso molto.  

            Nelle otto sezioni del libro ci imbattiamo in temi e situazioni quanto mai vari. Si parte dal pensiero dei campi di concentramento, dall’universo dei lager, in pagine in cui si ribadisce la necessità di non perdere la memoria, di non cessare di interrogarsi su quello che è stato e si spera non si debba mai più ripetere. Rafanelli trae spunto dalla storia di tutti gli uomini, ma anche dalla propria personale, dal proprio nucleo di ricordi. E’ uno spettro tematico decisamente ampio, il suo, che include spesso il pensiero della morte (si pensi a liriche come “La ragazza dal volto di luce”), vista senza disperazione o terrore, ma con uno sguardo attento e meditabondo, che sa anche elevarsi nei cieli della speranza, cercando il perché degli eventi dell’esistenza.

            Siamo di fronte, insomma, ad una lirica non di rado severa, ma che giunge a noi scarnificata, leggera, e dunque capace di offrire serenità e persuasione. Il lavoro del poeta è a monte e le acque giungono fino a noi pure, decantate.

            Di qui il senso di pienezza che deriva dalla lettura di questa silloge.

 

 

           

 

TRA PUGLIA E TOSCANA

E veniamo adesso, dopo queste indispensabili parole di premessa, alla poesia dedicata a San Severo, che chiude la terza sezione del libro, intitolata “E riconoscere le stelle”.       

             

                

 

                A SAN SEVERO

 

        Avverti il buio marino della collina

        che scende e spina la grande piana

        di San Severo e pare la terra toscana

       fissa nella memoria, nella infinita giostra

        che consuma le ultime ore serali.

        Ed è una corsa tra i remoti

        filari allineati nella secca

        proda del sole, con la sapienza

        antica che indicava il tragitto,

        la speranza, ma di quel grumo

        di suoli rimane il rosso disteso

        di questa campagna fiera

        del suo strenuo abbraccio.

 

La poesia, con i suoi 13 versi liberi, è un omaggio spontaneo alla città dell’Alto Tavoliere, in cui vengono fissate le impressioni ricavate dallo spettacolo del Tavoliere, nell’ora del tramonto, quando la luce del giorno cede alle tenebre. Il titolo è semplice, immediato.

Il poeta arriva dalla parte del Gargano e scende verso la pianura, dopo aver visto una località di mare. In questo senso sembra spiegarsi quel “buio marino della collina”, quella fusione di luoghi diversi, che lascia poi spazio alla visione della “grande piana/ di San Severo”. Visti dall’alto, i filari delle viti formano un reticolo (di qui il verbo “spina”), facendo nascere nel poeta il ricordo della terra dove sono nati i suoi genitori, ossia la Toscana.

L’accostamento tra la campagna pugliese e quella toscana  vuole essere affettuoso, un mezzo per esprimere la bellezza di questo lembo settentrionale di Puglia, che ha saputo conquistare il cuore del poeta, benché mai conosciuta prima.

Il cammino dell’io poetante si configura dunque come un’esperienza positiva e suggestiva, con la mente che vaga lontana, fino alla campagna dell’Italia centrale, ma la lirica si chiude ponendo l’accento sul “rosso disteso” della terra pugliese, sul carattere di “questa campagna fiera/ del suo strenuo abbraccio”. In quel rosso “rosso” possiamo cogliere una suggestione dell’ora del tramonto, dell’ultimo riverbero del sole, ma anche un richiamo al destino di sofferenza, di fatica della pianura del Tavoliere, microcosmo nel quale gli uomini hanno lottato, dando il proprio sangue (anch’esso, non a caso, rosso) per dare la vita a quelle zolle aride e ostili.

San Severo, dunque, viene vista non tanto come agglomerato urbano, quanto come luogo immerso nella pianura, una città che attraverso la campagna rivela il suo carattere e la sua storia.

E’ una lirica, nel complesso, ricca di suggestione, densa, che entra a pieno titolo nell’ideale album scritto da quanti si sono soffermati sul nostro microcosmo; in esso si incontrano nomi locali e non, scrittori contemporanei e del passato, estimatori e detrattori, autori validi e meno validi. L’elenco si allunga oggi nel migliore dei modi con questo omaggio di Loretto Rafanelli. Lusingati dell’attenzione, poeta.

 

Torna ad Archivio Letterario Pugliese