GIANFRANCO LAURETANO SULLE TRACCE DI CESARE PAVESE
C’è una straordinaria capacità di coinvolgere il lettore, alla
base del fascino del volume “La traccia di Cesare Pavese”, pubblicato da
Gianfranco Lauretano, per i tipi della Rizzoli (pp. 247, euro 10). L’autore,
nato a Sessa Aurunca (CE) nel 1962, vive e lavora a Cesena, svolgendo un’intensa
attività nell’ambito letterario. Tra l’altro, dirige la rivista di poesia “clanDestino”
ed ha al suo attivo alcune fortunate sillogi di versi, come “Occorreva che
nascessi”, del 2004.
Il libro pavesiano, pensato come un omaggio al grande
scrittore piemontese, di cui l’anno scorso è stato celebrato il centenario della
nascita, è il frutto di un innamoramento di vecchia data, che risale ai tempi
della scuola, senza soluzione di continuità.
“La traccia di Pavese” spiazza il lettore sin dall’inizio. Ci
si aspetta una monografia standard, un testo di critica che magari mette a
disagio, ed invece si viene subito trasportati in un viaggio attraverso
l’Italia, in una sorta di reverente ma sincero pellegrinaggio nei luoghi
pavesiani. Abbiamo, così, cinque densi capitoli legati, rispettivamente, a Santo
Stefano Belbo, Brancaleone Calabro, Serralunga di Crea, Casale Monferrato e
Torino.
Un viaggio che è preciso e vivo, basato su dati e riscontri,
ma anche sentimentale, guidato dalla convinzione che Pavese è un autore di
grande attualità, in grado di dire ancora molto all’uomo di oggi. Lo scavo
introspettivo, sulla vigile scorta dei documenti, permette a Lauretano di
portare alla luce, senza inutili fronzoli e sproloqui accademici, il cuore
pulsante dello scrittore e dell’uomo, di entrare nei recessi di un’anima sempre
tormentata ed inquieta, ma anche generosa e sincera, anzi, talvolta
spietatamente sincera.
Pavese nutriva un disperato bisogno di aprirsi all’altro,
specie all’altra metà del mondo, quella femminile, che assume una fisionomia di
volta in volta diversa, ma sempre con lo stesso risultato. Il vuoto dell’anima
resta lì, la ferita sanguina sempre, e l’ultimo colpo sarà inferto a Pavese
dall’ingresso nella sua vita dell’attrice statunitense Constance Dowling.
L’epilogo di quella stanza di albergo torinese, nell’agosto
del 1950, non toglie nulla alla potenza e alla completezza del cammino artistico
di Pavese, che Lauretano illumina con maestria, grazie ad una scrittura
ispirata, capace di illuminare ma anche di commuovere, aprendo il varco, con
naturalezza, a quegli interrogativi esistenziali che ogni uomo non può
reprimere. La solitudine, l’amore, la felicità: l’esistenza di Pavese si muove
intorno a questi e ad altri punti cruciali, e in questo cammino, che si rivela
gravido di inattese scoperte, Lauretano inserisce dei brani di Pavese, dando la
parola direttamente a lui.
Il libro, che si avvale della prefazione di un nome
importante, quale quello di Davide Rondoni, è completato da una serie di utili
schede tematiche, a firma di Marco Antonellini.
Chi vuole scoprire la vera traccia dell’autore de “La luna e i falò” si affidi pure al libro di Lauretano: arriverà a destinazione, e senza aver sprecato il suo tempo.