LA MUCCA INFERMA
Protagonista è qui un animale, una mucca, colta nel suo volto di madre e nel suo dolore; accanto a lei, il padrone, con il suo affetto, che supera l’interesse. La poesia vive sul contrasto tra la vita che riprende normalmente, come se nulla fosse successo, e la sofferenza, che appare priva di senso e di partecipazione.
Alla base dell’opera ci sono spunti classici, certi quadri virgiliani, alcuni momenti lucreziani, un insieme di suggestioni che l’autore doveva tenere ben presente. Nell’ambito dei Ruralia è forse il brano meno felice, ma non per questo è trascurabile.
Artisticamente, se le parole del padrone appaiono alquanto manierate, l’opera cresce nel finale, con le immagini legate al nuovo giorno, fino al brusco epilogo, annunciato da un’avversativa (Ma la mucca...).
Insonne aveva faticato il vento
a trar lagni[1] dai gracili alberelli
dell’orto. Ed era notte ancora grave
d’ombra, quella, e d’attesa. Faticava,
5 come il vento, là accanto nella stalla
la mucca che dal grosso ventre al buio
dava gemiti. “O dolce Paonella[2],”
il padron le diceva, “che il bel fiore
al sommo hai della testa e tinto nero
10 il fianco di velluto, il tuo lamento
le viscere mi strugge, e invan le mani
ad aiutarti ho pronte!” E s’accosciava
inerte ad ascoltare il gemer doppio[3]
del vento e della mucca. E sfruconando
15 la pipa ed appuntando il cuore[4], il fioco
guizzo affisava della sua lucerna.
Squillò un gallo nel chiuso[5] con sussulto
dell’ombra; un altro, come un’eco, lungi
rispose, e bisbigliaron poi le voci
20 prime dell’alba. Nell’arcata, a fianco,
presto i vitelli tolsero a[6] poppare
le mamme, attratte là, senza vincastro[7],
al mungitoio. Ed ora negli orecchi
una musica lene[8] all’uom fluiva:
25 non acqua era di cielo, ma di gonfie
ubere latte[9]. Poi tornò il silenzio.
Aprì la porta: in punta al monte, rosea
al par d’un focherello, era sospesa
sull’ovile la stella dei pastori[10];
30 in basso, fra le macchie, s’allungava
uno sbiancar di groppe[11], al triste suono
d’un campanaccio. Ma la mucca, dentro,
gemeva invano il suo vitello morto.
[1] a trar lagni: a far nascere lamenti (lagni, lett.); il vento, di notte, senza fermarsi (Insonne) colpisce gli alberelli, con sibili che sembrano lamenti.
[2] Paonella: il nome era già ne Il Pane (v. 434).
[3] gemer doppio: addolorato dai gemiti della mucca, l’uomo all’esterno non trova lo sperato conforto nei sibili prodotti dal vento, ma un aumento di sofferenza. Tutto, così, gli appare ostile.
[4] sfruconando...cuore: l’uomo con un oggetto lungo e sottile sta pulendo la pipa dalle incrostazioni prodottesi a seguito del passaggio del fumo del tabacco, togliendo ciò che ne ostruisce l’interno. Il successivo affisava vale “guardava intensamente” (lett.).
[5] chiuso: luogo recintato, pollaio.
[6] tolsero a: presero a.
[7] vincastro: il bastoncello di salice usato dai pastori per stimolare gli animali, che ora non serve perché le mucche vanno senza difficoltà, spinte dall’amor materno.
[8] lene: dolce (lett.).
[9] non acqua...latte: non era acqua di cielo, ma latte di gonfie mammelle (ubere; il vocabolo, poetico, è usato al femminile da F., mentre è generalmente maschile). Si noti la posizione chiastica dei termini.
[10] stella dei pastori: Venere.
[11] s’allungava...groppe: gli altri animali vanno al pascolo, come ogni giorno, e tutto appare uguale, mentre l’uomo, di fronte al dolore della mucca, non può che assistere inerte.