CENT’ANNI MA NON LI DIMOSTRA
L’INNO DELLE BANDERUOLE
In tempi di campagna elettorale, è
facile verificare quanto sia diffuso il trasformismo. I candidati corrono dove
trovano l’utilità personale, passando sopra ad ogni coerenza. E’ un fenomeno,
purtroppo, non di oggi, come dimostra l’“Inno delle banderuole”, che abbiamo
ricavato da un giornale che ha esattamente un secolo.
La condanna del trasformismo può
passare attraverso parole di sdegnata riprovazione o, al contrario, attraverso
l’ironia, una strada, quest’ultima, che riesce spesso più efficace della prima,
come testimonia la poesia che ci apprestiamo a riportare. “L’inno delle
banderuole” è apparso senza firma sulla prima pagina del numero del 22 luglio
1909 de «il Marchese Autentico».
Il periodico, che ha cadenza
settimanale, viene pubblicato a San Severo, dov’è anche diffuso, ed ha un
contenuto umoristico che lo rende ancor oggi leggibilissimo e brillante. Non ha
avuto una lunga vita, come spesso avveniva, ma era ben fatto, a partire dalla
testata e dal disegno che la affiancava, riproducente, manco a dirlo, un
elegante marchese, opera del pittore Michele Colio.
In quel periodo la lotta politica
è ancora appannaggio di partiti legati alle famiglie dominanti, con tutto ciò
che ne derivava, visto che spesso assistiamo ad un complesso intreccio tra
affari e parentele.
Con il suffragio universale
maschile voluto da Giolitti la situazione cambierà velocemente, ma al momento la
scena è dominata dallo scontro tra i Bianchi, moderati e clericali, e i Rossi,
democratici liberali ed anticlericali, che strizzavano un occhio alla
massoneria, ai quali si aggiungono, sempre più forti e destinati a soppiantare
entrambi, i socialisti.
Pochi mesi prima, a marzo del
1909, il leader rosso Raffaele Fraccacreta aveva sconfitto, dopo una dura lotta,
il bianco Antonio Masselli, che era anche il deputato uscente del collegio.
E’ quasi certo che il “Colosso”
caduto di cui si parla nell’inno sia proprio Masselli, che a San Severo città
aveva prevalso sul rivale, rivelatosi però più forte nei comuni del collegio.
Mentre “Ciccio”
è presumibilmente un fratello o,
comunque, un sostenitore colpito dalla disgrazia elettorale del proprio punto di
riferimento.
Il declino dei Bianchi si profila
inarrestabile e gli amici del potente in disgrazia si guardano intorno, cercando
una nuova collocazione.
Cosa fare? Semplice: cambiare
casacca, seguendo il consiglio dell’ignoto autore de “L’inno delle banderuole”.
Si tratta di una poesia che ha come protagonista un opportunista originariamente
rosso, salito poi sul carro del vincitore bianco, che ora, di fronte
all’inattesa caduta del “Colosso”, senza troppi problemi, ritorna all’iniziale
collocazione politica. Il suo ragionamento non fa una grinza ed è valido fino al
prossimo colpo di scena.
Gli stessi ex nemici Fraccacreta e
Masselli, tra l’altro, dopo tante lotte, faranno la pace, ritrovandosi uniti
anni dopo sulla stessa barricata, a sostegno del Fascismo.
Da un punto di vista metrico,
notiamo che la poesia è di buona fattura ed è formata da quinari, articolati in
4 strofe di 8 versi ciascuna. L’intera composizione ruota intorno a due sole
rime e procede spedita fino alla fine.
Bianchi e Rossi, adattando il
discorso ai giorni nostri, esistono anche oggi; lasciamo a chi ci legge,
pertanto, il non arduo compito di notare quanto quest’inno sia di trasparente e
perenne attualità, malgrado sia stato scritto quasi un secolo fa.
L’INNO DELLE BANDERUOLE
Un dì fui rosso
Divenni bianco:
Che n’ho riscosso?
Ritorno rosso…
Perché commosso
Mi sento il fianco?
Ritorno rosso
Giacché fui bianco!
Ormai son stanco
Ed anche scosso…
Di saltimbanco
Ormai son stanco…
Di punto in bianco
Cade il Colosso…
Ormai son stanco
Ed anche scosso!
Ciccio è percosso
Fugge, benanco!
Gli danno addosso…
Ciccio è percosso!
Che fare posso
Più per il bianco?
Ciccio è percosso,
Fugge, benanco!
Or dunque posso
Rimaner bianco!
Non esser rosso
Or dunque posso?
Vinto è il Colosso,
Disperso è il branco,
Or dunque posso
Rimaner bianco?