L'ULTIMA SILLOGE DI POESIA DELLO SCRITTORE DI VALENZANO
"L'APPELLO DELLA MANO" DI LINO ANGIULI
Lino Angiuli, classe 1946, nato a Valenzano ma residente da tempo a Monopoli, è uno dei nomi di spicco del panorama poetico nazionale. Di recente, l’elenco delle sue pubblicazioni si è allungato con la silloge “L’appello della mano” (Aragno, Torino, pp. 83, euro 10, postfazione di Daniela Marcheschi).
Si tratta di un testo che conferma le peculiarità della vena di questo poeta,
che ha il suo punto di forza nell’invenzione linguistica, nella fertile capacità
di offrire al lettore un flusso continuo di sensazioni materiali, impastate con
impressioni e asserzioni. Non si tratta di un gioco verbale fine a se stesso,
quasi un’imitazione da sterile poeta barocco; se dovessimo cercare dei
riferimenti illustri, potremmo parlare piuttosto di un autore influenzato dal
sensismo, convinto che l’arte debba offrire sensazioni gradevoli e piacevoli. Di
qui la ricerca di immagini e parole, accarezzate nella ricerca dell’eufonica
combinazione dei suoni, tratte spesso dalla realtà quotidiana del Sud, dalle
radici contadine ancora vive nel nostro contesto territoriale. Ne deriva una
poesia imprevedibile, sorvegliata, ma bendisposta verso l’interlocutore. Angiuli
ha “un tascapane di sillabe buone”, che offre con generosità, ricordandosi
dell’olio, della “pagnotta” di pane d’Altamura, del lampascione.
Abbiamo alluso ai concetti, alle esortazioni, agli inviti a migliorare la realtà
che ci circonda, e gli esempi sono ovunque. Angiuli spezza, a modo suo, una
lancia a favore del prossimo, che merita attenzione e solidarietà (“dovremmo
usare il cuore come attaccatutto/ anziché fargli fare la cozza patella/
appiccicata a un salvadanaio…”), rifiuta la logica del razzismo e
dell’esclusione (“Tutto quello che volete ma non venitemi/ a dire che giuseppe
vale più di jussef/ solo perché è spuntato qui anziché lì”), affida alla poesia
un compito importante, che è quello di aiutare la ricerca del positivo, di
riportare il mondo alle sue radici, come si legge nell’ultima lirica. E’ un
obiettivo che si può raggiungere, sembra dirci Angiuli, che con i suoi versi
lascia in bocca al lettore una sensazione di dolcezza e di abbondanza, un sorso
di latte gustato insieme ad una fetta di pane e pomodoro, di fronte al mare di
Puglia. Un’avventura del corpo, ma anche, ovviamente, dello spirito. Per questo
il libro si chiama “L’appello della mano”.