TEMPI DI GUERRA A SAN SEVERO
QUANDO L’AMORE VINCE L’ODIO
UN INGLESE ATIPICO
Sullo scorso numero del Giornale di San Severo abbiamo parlato delle truppe di occupazione americane, ricostruendo la storia di un libro, da loro stampato, nel quale si parla anche della nostra città, con alcune interessanti foto. Abbiamo, inoltre, riportato un’intervista con Artemio Caposiena, classe 1930, che di quel periodo ha dei ricordi vivissimi. C’era molto da riflettere in quella foto che ritraeva il giovane Artemio accanto ad un soldato di colore appassionato di pallacanestro, come anche in quell’altra, che mostrava una carrozza che si avviava in chiesa per un battesimo, nel quale il padrino era proprio un americano di stanza a San Severo.
Caposiena ha tra l’altro sottolineato la differenza tra gli Americani e gli Inglesi, almeno nella nostra città. I primi erano gentili e disponibili, sempre pronti a scherzare e a donare qualcosa; i secondi lo erano molto meno, preferendo mantenersi freddi e scostanti. Il suo giudizio è condiviso da tutti gli altri testimoni diretti di quel periodo.
Ogni regola, però, ha le sue eccezioni, ed è il caso del sergente dell’aviazione inglese, la mitica RAF, John Gawsworth, pseudonimo di Terence Ian Fitton Armstrong, che nella città dei campanili trovò un amico nel nostro Umberto Fraccacreta.
Gawsworth era un poeta, un personaggio singolare, che cercava di esorcizzare la follia della guerra coltivando delle relazioni amichevoli con gli intellettuali italiani e che per questo motivo incontrerà anche, a Sorrento, Benedetto Croce, scrivendo un sonetto che inizia così: “La potenza della penna oggi io ho sentito/ e l’inanità della spada affilata,/ vedendo Croce, il più gentile degli uomini,/ indiscusso signore dell’alto linguaggio”.
I suoi vari spostamenti lo portano, alla fine del 1943, a San Severo, dove allaccia subito dei rapporti con il poeta del Tavoliere, che all’epoca godeva di una buona considerazione nazionale, testimoniata anche dalla presenza delle sue liriche in varie antologie scolastiche.
Fraccacreta conosceva bene anche l’inglese, oltre al francese ed al tedesco, e di qui derivò lo spunto per la traduzione di alcune opere del Gawsworth, che vennero in parte pubblicate durante il periodo bellico.
In particolare, nel 1944, a Vasto, grazie all’interessamento dello stesso scrittore inglese, viene edito un opuscolo, intitolato L’ombra di Garibaldi. Benedetto Croce, che contiene otto liriche del sergente della RAF, tre tradotte da Fraccacreta e cinque dal poeta abruzzese Romualdo Pantini. La copia in nostro possesso è la seconda edizione dell’opera.
Il Pugliese trasporta nella propria lingua Dedica, Benedetto Croce e, soprattutto, la lirica che l’amico inglese gli dedica, intitolata, per l’appunto, Umberto Fraccacreta.
UMBERTO FRACCACRETA
San Severo, 24 gennaio 1944
Sotto la montagna del Gargano (donde venne l’Arcangelo),
tu, armato in ispirito soltanto, pronto a cogliere
il bagliore del sole che infiamma il grano maturo
e lo intesse compatto come il tetto d’una bica,
tu sei nato, o poeta pugliese, amico
nel cui grigio palazzo io, in uniforme di soldato
d’esercito vittorioso, entrai straniero, per darti
la fraterna stretta di mano di tutti i poeti.
“Povera Italia!” tu piangevi ogni città distrutta,
i villaggi nativi dove la carestia strisciando ha spento
le native canzoni nel cuore del tuo popolo;
eppure tu allo sdegno non corrugasti la fronte,
perché in me un poeta fratello sentivi, venuto non da se stesso,
ma per volere del fato, a far guerra al tuo paese.
E’ una composizione, per la precisione un sonetto, molto significativa. Gawsworth si considera prima di tutto un poeta, anche se obbedendo al fato, ad un destino evidentemente avverso ed imperscrutabile, si ritrova ad indossare l’uniforme di un esercito d’occupazione. Da una parte ci sono i valori positivi dell’arte, che si sono salvati dalla barbarie, dall’altra i valori negativi della guerra. E in quella “fraterna stretta di mano” si esprime chiaramente la posizione del sergente inglese, che vuole farsi accettare dal collega italiano proprio in quanto poeta. L’incontro non può che avvenire su questo piano, che è poi quello che conta realmente.
John Gawsworth
LA BIONDA GRADOGNA
Questa solidarietà artistica apre il cuore di ognuno a comprendere il dolore dell’altro. Fraccacreta soffre per il dramma della sua Italia, avverte la pena per le distruzioni e per il sangue, che ritornano nelle sue liriche di questo periodo, come quelle di Vivi e morti, ma senza astio, senza odio, bensì con un anelito a ricominciare nel nome della pace e della fratellanza. Quanto al sergente inglese, egli sa bene che in guerra non ci sono vincitori e vinti e si rimette a quel fato che lo ha portato lontano dalla sua Inghilterra, tra pericoli e tristi necessità.
Tra i due c’è una vicinanza ideale, che si concretizzerà anche in altre iniziative culturali. Il riferimento è al ciclo di trenta sonetti intitolato Maggio d’Italia (La Gradogna). Gawsworth scrive quest’opera nel maggio del 1944, rivolgendosi ancora una volta al Fraccacreta per la traduzione. Umberto completa il suo lavoro nel mese di agosto, ma dovranno passare tredici anni prima che l’opera venga pubblicata, nel 1957, dallo Studio Editoriale Dauno, con una presentazione di Nino Casiglio.
Il libro, che affianca la versione originale alla traduzione in italiano, racconta la storia d’amore del poeta per una donna dal nome sicuramente inconsueto, la Gradogna. Essa diventa il simbolo della bellezza dell’Italia, come afferma esplicitamente l’autore nell’ottavo sonetto: “E chi è la Gradogna, lei ch’io prendo/ a simbolo dell’amore, dell’Italia e della primavera,/ e proclamo farmaco alle sofferenze della vita/ e chiamo balsamo alla puntura d’amore?”.
Forse Gawsworth s’invaghì davvero di una bella italiana, nata al Nord e sfollata al Sud, per sfuggire al dolore della guerra. Il poeta la elogia, s’inebria nel suo sguardo, la descrive, non senza dei riferimenti sensuali, ma sa anche che non sarà sua, che la pace compirà senza di lui il suo destino di sposa. Di qui la conclusione dell’ultimo sonetto: “Addio, o bellissima! O dilettissima, addio!/ Verso l’oblio mi conducono i miei passi/ per un fine che io non riesco a capire./ O mia Gradogna, finché ci sarà una lacrima/ da versare, finché ci sarà ancora un cuor che può sanguinare,/ credimi, io ho amato te, la primavera, l’Italia”.
Il ciclo poetico è ricco di momenti suggestivi ed intensi, che meritano un’attenta lettura, in cui Gawsworth rivela le sue qualità, che gli hanno anche permesso di ottenere una qualche notorietà in patria, dov’è morto nel 1970.
Fraccacreta, da parte sua, non vide il suo lavoro pubblicato e, anzi, non diede nemmeno l’ultima revisione alla sua traduzione, apparsa postuma, a dieci anni dalla sua scomparsa, e recuperata in Inghilterra, tra le carte dell’ex sergente della RAF. Da Maggio d’Italia traiamo il primo sonetto, sempre nella traduzione del poeta del Tavoliere.
I
Verde Adriatico i suoi occhi, pettinato lino i capelli
d’oro come il grano di Puglia sulla piana di Foggia,
e scogli, i denti, d’eburneo pericolo che si mitiga
quando l’ondosa linea d’un sorriso schiude la rossa sofferenza
di tumide labbra. La Gradogna esige un doveroso
tributo alla Bellezza. Io mi astengo
dall’usura e, con un grido di “Pace”,
sorridendo pago quel che i suoi occhi comandano.
Lei è l’Italia d’un cuore primaverile
che troppo a lungo dormì senza fiore;
e petali di sorriso son gl’ilari suoi doni.
Se potessi tramutare in arte la sua qualità,
eternare la sua freschezza in un canto,
nessuno sentirebbe più la noia della vecchiezza.
Nelle immagini la pianura del Tavoliere diventa, con il suo grano, un termine di paragone per il biondo dei capelli della Gradogna. Anche da questo si nota che il poeta ha ben conosciuto la nostra terra, di cui porterà con sé un vivo ricordo, che non si attenuerà negli anni successivi. Subito dopo, il sonetto rivela la valenza simbolica e positiva della donna, che è insieme angelo e donna.
Siamo nel 1944, mentre è in corso un terribile conflitto mondiale, che avrebbe fatto ancora tante vittime; ma la poesia e l’amore per la bellezza riescono a ritagliarsi uno spazio anche in mezzo alla barbarie delle armi e della violenza, cogliendo tutte le occasioni possibili.
E’ una storia ricca di insegnamenti e da meditare, che ci riguarda davvero da vicino, in ogni senso.
Torna ad Archivio Letterario Pugliese