INTRODUZIONE

 

Non esageriamo affermando che mai come questa volta è stato il libro ad imporci la sua stesura, e non viceversa. Nel nostro calendario mentale di impegni non era previsto alcun lavoro simile. Dovevamo, in realtà, limitarci a scrivere per una rivista un semplice saggio sull’immagine di San Severo nel tempo, impegno che in effetti abbiamo onorato, passando subito ad altri lavori; intanto, però, quelle paginette apparivano, giorno dopo giorno, sempre più scarne e frammentarie, mentre sulla scrivania si accumulavano appunti e libri per le necessarie integrazioni.

Alla fine, abbiamo ceduto alla tentazione, cancellando lo spunto iniziale e componendo il primo saggio di questo volume, Tra storia e letteratura, nel quale abbiamo passato in rassegna, in modo sistematico, fonti di ogni genere relative a San Severo, dai testi dei viaggiatori italiani e stranieri alle guide turistiche, dalle storie locali alle enciclopedie, cercando di rispondere ad una domanda importante e stimolante: come appariva, dall’Unità d’Italia in poi, la città di San Severo agli occhi degli altri e dei suoi stessi cittadini? Quali erano le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e, al contrario, le sue debolezze?

Non è un quesito banale o legato a meri interessi campanilistici, come abbiamo già cercato di dimostrare già nel 2002, pubblicando il volume Viaggi letterari nella pianura.

La pianura in Italia rappresenta un’eccezione, rispetto al consueto panorama fatto di monti e colline, e in questo quadro generale il Tavoliere, seconda pianura d’Italia, ha sempre stimolato le attenzioni degli studiosi e dei semplici viaggiatori, almeno da quando era sede della Dogana delle pecore. Poi è nato un altro Tavoliere, terra d’agricoltura, teatro affollato di scontri sociali e bellezze paesaggistiche, di condanna alla fatica e speranze di progresso e ordinata coesistenza. Un atto unico ancora in corso, nel quale cambiano gli attori, ma non le problematiche di fondo.

San Severo è nel cuore del Tavoliere, una città affollata di persone, centro di comunicazioni, di traffici commerciali, di produzione di vino e di olio, ma anche sede di quartieri degradati e culla di migliaia di braccianti alla ricerca di un posto di lavoro. Richiamo per gli abitanti del Gargano e del Subappennino, attratti dal centro storico ricco di luci e di vetrine, dalle possibilità occupazionali, ma anche luogo di partenze obbligate, con centinaia di valige di cartone ammassate sui binari della stazione, in attesa dei treni diretti al Nord.

Questo e tanto altro è stato ed è San Severo, una città sfaccettata, come un poligono dai molti lati, e per giunta irregolari, una sorta di cubo di Rubik non facile da definire. Ognuno vede le proprie tinte, ognuno fissa l’attenzione su qualche colore o su qualche combinazione cromatica, nella quale prevalgono alcune tinte rispetto alle altre.

Di qui, dunque, la necessità di scrivere un saggio organico, nel quale abbiamo messo a frutto studi e ricerche di un ventennio. Al materiale accumulato sugli scaffali della nostra biblioteca o conservato in fascicoli densi di fotocopie e di appunti si sono aggiunte, come spesso capita, scoperte dell’ultima ora. È stato così, ad esempio, che abbiamo rintracciato, grazie al suggerimento di un amico, un racconto del fiorentino Vasco Pratolini, quello di Metello, per intenderci, in cui compare, con notevole risalto, un sanseverese (lui lo chiama, in verità, sanseverino, ma è lo stesso…) dalle mani callose, segnate dal lavoro. Ora sta tornando in treno dalla Francia, dove aveva cercato, senza fortuna, di stabilirsi, ed esprime la sua amarezza parlando con gli altri viaggiatori.

Ma questo, in verità, è solo uno dei tasselli di un quadro che abbiamo provato a dipingere, partendo dall’Unità d’Italia, anche se non sono mancati i necessari riferimenti, anche solo per confronto, all’epoca borbonica, anch’essa, come le altre, ricca di pregi e di difetti.

Nel primo capitolo, insomma, abbiamo cercato di rispondere al quesito di riferimento, utilizzando anche fonti iconografiche, ossia cartoline e fotografie d’epoca, indubbiamente preziose, visto l’argomento.

Nel capitolo successivo, invece, abbiamo seguito i percorsi dell’immagine di San Severo concentrandoci sulle lettere e sul nome. In altri termini, abbiamo acceso i riflettori sull’importanza della città come sede di Ufficio Postale e centro di smistamento della corrispondenza. I timbri e i francobolli, che abbiamo anche riprodotto, mettendo a frutto le nostre conoscenze di filatelista, fungono da base per l’indagine sul nome della città, un tema ancora oggetto di discussione, specie tra gli studiosi del periodo medievale. Il nome, com’è noto, in epoca moderna restò a lungo oscillante tra San Severo, Sansevero e S. Severo. Sulla base di un’abbondante documentazione, acquisita anche grazie ad internet, abbiamo cercato di dimostrare che, alla fin fine, ha prevalso la soluzione più logica. Resta il fatto, però, che anche le vicende del nome attestano l’esistenza di un rapporto peculiare con il santo eponimo, San Severo, di un legame avvertito con poca intensità dall’interno, mentre dall’esterno viene ritenuto ben più forte e consistente. Alla fine, il punto di vista esterno prevale, con l’affermazione della forma staccata, San Severo, su quella univerbata, ossia unita in un unico termine, Sansevero, mettendo ben presto tutti d’accordo.

Anche il tema del secondo capitolo, dunque, si innesta in profondità, secondo noi, nel tema centrale, ossia l’analisi dell’immagine della città.

C’è, poi, una terza e ampia parte, formata dagli approfondimenti. Dopo la sintesi, insomma, abbiamo cercato di sviscerare alcuni dei tanti spunti sui quali abbiamo lavorato nei due capitoli precedenti. Talvolta l’occasione ci è stata offerta da articoli già pubblicati su riviste o periodici, e in parte ospitati nel nostro sito internet, ma gli scritti sono stati completamente rivisti, ampliati e annotati, ragion per cui, fatta eccezione per qualche caso, sono nate delle pagine nuove di zecca, e praticamente inedite, come le altre del libro. Abbiamo colto, in questo modo, anche la possibilità di sviluppare alcuni temi a cui teniamo molto, a partire, ad esempio, dal rapporto tra letteratura e storia, da intendere nel senso che talvolta le opere letterarie salvano lo spirito di un luogo, la memoria di cose e persone altrimenti condannate irreversibilmente all’oblio. Per questo motivo, visto che siamo prima di tutto degli italianisti, abbiamo illuminato in tre brani esemplari la presenza di frammenti del passato sanseverese, utilizzando scritti di noti autori della nostra realtà.

Non sono mancate, poi, certe pagine che possiamo definire riparatrici. La definizione di San Severo città del mio pensiero, ad esempio, resa famosa da Andrea Pazienza, risale in verità ad Ernesto Mandes, di cui abbiamo riportato la poesia che accompagnava ogni confezione dello squisito dolce Pan Drion, delizia dei tempi passati.

Ma possiamo fare anche altri esempi, prendendo in considerazione le due Guide di San Severo del vigile urbano Luigi Polichetti, del 1914 e del 1923. Sono indubbiamente utili, specie la prima, sulla quale ci siamo soffermati, e questo merito gli va riconosciuto, anche conoscendo qualcosa in più sulla sua persona. E lo stesso discorso va fatto per altri personaggi, come Vincenzo Malice, per episodi significativi, come l’amicizia, in tempo di guerra, tra Umberto Fraccacreta e John Gawsworth, in nome dei valori della poesia, per luoghi e ricorrenze particolarmente significativi per la comunità sanseverese, visti attraverso brani d’epoca o di valida interpretazione artistica Seguono i riferimenti all’arte e alla storia locale, in due appositi capitoli, né abbiamo rinunciato ad un ricordo biografico e bibliografico del caro amico Benito Mundi, la cui memoria è sempre viva in noi, e della figlia Giuliana, prematuramente scomparsa.

      L’ultimo scritto, poi, San Severo, la Capitanata e il mondo intero, vuole ricordare che ogni microcosmo fa pur sempre parte di un macrocosmo, ragion per cui non bisogna mai perdere di vista il quadro generale, il senso dei rapporti tra la parte e il tutto.

      Va evitata, da una parte, la posizione cosmopolitica e globalizzata di quanti guardano ogni cosa dall’alto, senza accorgersi che essere tutto spesso significa essere niente; ma anche, d’altra parte, l’atteggiamento di chiusura municipalistica e campanilistica che porta agli eccessi leghistici, settentrionali o meridionali che siano.

      Una precisazione che ci è sembrata doverosa e che vuole fungere da dichiarazione d’intenti e, se possibile, anche da monito.

    Alla fine, è nato un libro completamente diverso da quello del 2002, anche se permeato dello stesso affetto e della stessa curiosità intellettuale verso una Città che è anche la nostra Città.

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