INTRODUZIONE
Gli anniversari, si sa, hanno due volti, uno più fatuo, basato sulla retorica
delle parole di circostanza, e uno più serio e duraturo, dal momento che offrono
lo spunto concreto per la realizzazione di lavori critici spesso pregevoli.
La regola è stata rispettata anche nel caso delle celebrazioni del primo
anniversario della scomparsa di Carducci, archiviate con una interessante serie
di pubblicazioni, che hanno nel complesso consolidato la fortuna del poeta, dopo
una lunga ed immeritata eclissi, determinata anche da ragioni che con la
letteratura e la critica non hanno molto a che fare.
Non è ancora l’optimum, certo, ma è pur vero che non pochi dei preconcetti
intorno alla sua fi gura e alla sua produzione stanno lasciando finalmente
spazio ad una più equa valutazione, che si spera possa giungere di nuovo, in un
cammino a ritroso, fino alle scuole e al vasto pubblico dei lettori comuni.
In questo più rassicurante contesto storico e letterario, abbiamo pensato bene,
sollecitati dall’Editore, al quale va il nostro ringraziamento per la scelta e
il coraggio, di riunire in un unico volume i nostri lavori carducciani, dedicati
in particolare all’ultima raccolta, Rime e ritmi, del 1899, da sempre la
nostra preferita.
Di qui questo testo, in cui sono confluiti, con i dovuti aggiornamenti e
ravvedimenti, i nostri studi dedicati a dieci diverse liriche di questa silloge,
che per consolidato giudizio critico appare divisa in due parti, quella formata
dalle grandi odi storiche, che in verità difficilmente potranno trovare dei
convinti rivalutatori anche nel futuro prossimo, e quella costituita da una
serie di liriche di breve respiro, lievi ed incantevoli, sulle quali non a caso
si sono appuntate varie e fertili attenzioni critiche.
Queste liriche malinconiche, apparentemente dimesse, ma pur sempre curatissime,
impreziosite da una luce più fi oca e insieme più tersa, mostrano un poeta
ancora vitalissimo.
Abbiamo diviso il libro in due parti, la prima dedicata alla lettura delle aeree
poesie degli Idillii alpini, incluse originariamente in un fascicolo
della «Nuova Antologia» del 1898 e poi riproposte in Rime e ritmi, cinque
poesie alle quali abbiamo aggiunto, per evidente affinità contenutistica,
Mezzogiorno alpino.
Nella seconda parte, invece, abbiamo proseguito la ricerca delle testimonianze
più alte dell’ultima produzione carducciana, soffermandoci sul rondò iniziale,
l’incantevole Alla signorina Maria A., e poi su Nel chiostro del
Santo, Jaufré Rudel e Presso una Certosa.
Così, partendo dai settenari del rondò, in cui il poeta ricorda la matrice
malinconica dei suoi versi, rimarcando la distanza dalla sua giovane
interlocutrice («O piccola Maria,/ Di versi a te che importa?»), abbiamo
registrato lo sgomento che nasce in Carducci nel chiostro della basilica di
Sant’Antonio, a Padova, ci siamo soffermati sullo struggente amore di lontano
di Rudel, con le sue
implicazioni autobiografi che, giungendo fi no all’addio alla poesia di
Presso una Certosa, posto a conclusione del volume, seguito solo dal
brevissimo Congedo.
Quattro capolavori gravidi di suggestioni e dotati di una decisa personalità,
come i sei precedenti, del resto, frutto di un poeta che, pur restando sempre
nel solco della sua arte e della sua maniera, accoglie anche alcuni degli
stimoli e degli spunti che provenivano dalla poesia nuova di fi ne
secolo.
E’ un Carducci tutt’altro che statico e distratto, quello in cui ci imbattiamo,
che regge il confronto in un periodo in cui appaiono sulla scena due personaggi
del calibro di Pascoli e d’Annunzio, i cui nomi, non a caso, finiscono per
incrociarsi con quello di Giosuè, come, per esempio, nella scelta del genere del
rondò o nella composizione di Presso una Certosa, in uno scambio di
influenze e suggestioni.
Dieci liriche, insomma, su cui abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione,
conducendo un’analisi, nelle intenzioni, quanto più possibile esaustiva, dalla
quale, in ogni caso, ci sembrano emergere nitide le qualità di una poesia che ha
ancora molto da offrire agli uomini del terzo millennio.