EFFETTI COLLATERLAI DA EVITARE...
INTERCETTAZIONI E FURBETTI DI CASA NOSTRA
La legge sulle intercettazioni rischia di avere, com’è noto, molte ripercussioni sulla libertà d’informazione. Non entreremo anche noi in quest’ambito; piuttosto, con questo articolo vogliamo sottolineare uno dei possibili effetti indiretti che questa norma potrà avere. Ci riferiamo al rafforzamento del senso d’impunità dei tanti ras, piccoli o grandi che siano, che operano anche nella nostra realtà.
Il copione è sempre lo stesso, e per verificarlo basta
sfogliare un numero qualsiasi dell’“Attacco”: il giornalista chiama il boss o
sottoboss o apprendista boss della politica, della sanità o di qualche ufficio
pubblico, anche scalcinato, chiedendo informazioni su qualche appalto, su
qualche movimento di personale, su qualche consulenza attribuita, caso strano, a
mogli, amanti e parenti degli amici e degli amici degli amici. Fino a qualche
tempo fa c’erano delle risposta imbarazzate, magari dei tentativi di
giustificare persino l’ingiustificabile, ma, insomma, c’erano delle risposte.
Ora, sempre più spesso, capita di sentire i potenti o apprendisti tali proferire parolacce, chiudere bruscamente la telefonata. Di qui la reazione di certi boss della sanità pubblica, tranquilli anche per i prossimi cinque anni, che cacciano i giornalisti, accusati di interessarsi di sciocchezze (ma il termine usato è un altro), di bazzecole (ma anche qui il vocabolario scade nel volgare più profondo), giungendo persino a minacciarli. Tanto, ormai, tutto è lecito e, del resto, se qualcuno ha qualcosa da dire, denunci pure. Ne riparleremo alle calende greche…
Come spiegano gli esperti, in certi personaggi agisce una vera e propria sindrome, che li porta a sentirsi furbi, al di sopra di ogni errore, praticamente onnipotenti. Nessuno li potrà scoprire, tanto meno infastidire con quisquilie che fanno perdere tempo. Che diamine! Dopo tanta fatica accumulata per ottenere una carica, arriva il primo giornalista e vuole mettere il naso nei suoi affari, chiedendogli il perché di un appalto o di una consulenza. Sono fatti del boss della sanità e del suo protettore politico! Che c’entra il giornalista?
Non a caso, quando qualcuno viene arrestato o condannato, la prima reazione è di stupore, del tipo: “ma come avete fatto a scoprirmi?”.
In questo contesto, nel quale il senso d’impunità aumenta
sempre più, la logica dell’orticello diventa sempre più forte. Ci sono centri di
potere costituiti, che operano in ogni ambito, nel quale girano soldi; è gente
che si dà molto da fare per aumentare i propri bilanci in nero, a dispetto di
ogni sacrificio chiesto agli italiani. Tangenti sugli appalti, scambi
trasversali di favori, ricatti e pressioni delinquenziali. Questi centri di
potere sanno fare quadrato ed esistono, sia ben chiaro, anche nell’ambito del
giornalismo, ovviamente, sfruttando le posizioni dominanti del mercato per
imporre servizi stampa, assegnazioni di incarichi, contributi per spettacoli e
affari simili, in cambio di articoli ruffiani, pagati a peso d’oro con i soldi
dei contribuenti. Ne sanno qualcosa certi politici che assegnano certi servizi a
certe persone per ottenere favori e ritorni d’immagine personale, ovviamente con
i soldi pubblici…
In questo contesto paramafioso (e forse possiamo
togliere anche il prefisso) ciascuno si sentirà sempre più libero di scegliere
di cosa parlare e cosa no, quali giornalisti contattare e quali no, a chi dare
mezzette, denaro e pubblicità istituzionale. Altrimenti a che servirebbero i
limiti all’informazione?
Non è una bella prospettiva, come si vede; ma almeno
nessuno potrà dire che tutti sono stati in silenzio. Scripta manet, come si
diceva una volta, e noi lo diciamo adesso, mentre i boss e i sottoboss di
provincia si sfregano le mani pensando all’utilità di certe norme. Per loro, non
c’è che dire, non è mai tempo di sacrifici; anzi, è tempo di vendemmia!