LE CHIACCHIERE DI FINI E L'IDEA DI NAZIONE

LA PADANIA E IL MERIDIONE

 

La Padania non esiste, ma forse nemmeno il Sud: potremmo riassumere in questo modo una delle tante discussioni storico-politiche dei nostri giorni. I due protagonisti dello scontro sono, com’è noto, Gianfranco Fini, il quale, tra le sue infinite esternazioni, ha dichiarato che la Padania è un’astrazione, attirandosi la risposta del governatore del Veneto, Luca Zaia, per il quale, se dobbiamo guardare solo all’Italia, non esiste neppure il Sud con le sue emergenze economiche.  

Come derby, non c’è male. E’ vero: non c’è mai stato nessuno stato chiamato Padania, in nessun periodo storico. A Nord c’era la Serenissima Repubblica di Venezia, poi Lombardo-Veneto, mentre la zona ad ovest era terra dei Savoia, e le differenze sono rimaste, a dispetto dell’etichetta fittizia di Padania. Non a caso nelle ultime elezioni regionali il centro-sinistra piemontese ha cercato di fermare i leghisti con slogan come “Avanti, Piemonte", che riprendeva neanche troppo velatamente l’“Avanti, Savoia” dei tempi monarchici, e parlando di tentativi di lombardizzazione da parte di Bossi e compagni. La Lega ha vinto lo stesso, certo, ma non per motivi storici: semplicemente ha prevalso perché la gente vuole una politica che valorizzi il territorio in maniera forte e decisa. Ciò non toglie che i contrasti prima o poi emergeranno, magari non appena la Lega Nord perderà un leader carismatico come Bossi, lasciando spazio alle lotte tra i colonnelli del Varesotto o del Trevigiano, contrapposti a quelli delle Langhe.

Viceversa, il Sud ha antichissime tradizioni unitarie, ma il prevalere dei particolarismi sta facendosi strada anche da noi. Si pensi alla parabola del Movimento per l’Autonomia, che è nato come forza siciliana, poi nelle ultime elezioni ha cercato di fare il verso alla Lega Nord, per poi ridiventare di nuovo una realtà insulare. I napoletani, riuniti intorno a Vincenzo Scotti, hanno riscoperto la vecchia ostilità dei secoli passati, creando un nuovo partito, e anche gli altri tentativi, come quello della Poli Bortone, nato più che altro da risentimenti personali, sta ritornando ad essere una mera realtà salentina.

Il gioco dei particolarismi sta rinfocolando tutte le antiche tensioni, anche se i Foggiani si distinguono per il loro sonno profondo. La Regione Puglia è profondamente baresocentrica, con in giunta un solo assessore di Capitanata, mentre Fitto e il Salento cercano di portare avanti un discorso di opposizione, contando sull’appoggio del Governo nazionale, della Provincia di Lecce e della giunte locali salentine. Il Molise è una regione autonoma, che si ritiene non meridionale, e così l’Abruzzo.

Tutto sommato, però, il Meridione è pur sempre la zona dove sono più vivi i sentimenti nazionali, e non a caso: non avendo nessun altro punto di riferimento forte, ci attacchiamo a quest’idea di nazione. Noi meridionali, purtroppo, non abbiamo l’orgoglio delle nostre tradizioni. E’ un concetto che ci hanno instillato storici interessati e intellettuali purtroppo proprio del Sud, che hanno bollato l’epoca borbonica come un periodo di oscurantismo e la fase prenazionale come una sorta di medioevo dal quale siamo usciti con Garibaldi. Non è così: noi abbiamo subito l’Unità e abbiamo pagato un prezzo salatissimo. Ma oggi è venuto il momento di lasciare da parte il vittimismo, il fatalismo, la condizione di inferiorità, la sterile difesa di un’Italia accentratrice che avrà pure difeso la pensione del falso invalido e avrà pure assunto i tesserati dei partiti di potere, ma non ha favorito un vero sviluppo, anzi, ha ampliato le distanze tra Nord e Sud.

Insomma, i problemi del Meridione esistono, ma non si risolveranno senza una seria valorizzazione del territorio, senza un’azione che non sia fatta di pura retorica e di belle chiacchiere, alla Vendola, per intenderci, sotto il quale continuano a prosperare i furbetti della sanità e degli affari, i ras delle protesi e delle cliniche private, i ricchi amici degli amici. Di questa classe politica e di questo modo di agire non c’è neppure l’ombra dalle nostre parti.

Se non si comincia a fare sul serio, non ci salveranno certo le note dell’Inno d’Italia né le esternazioni interessate di Fini. Ed è inutile prendersela con i leghisti, che fanno solo il loro mestiere, tutelando i loro corregionali. Questo concetti elementari, prima li comprendiamo, meglio è.   

 

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