RICORDI DI 40 ANNI FA

IL SESSANTOTTO NELLA NOSTRA SAN SEVERO

           

              UN ANNIVERSARIO CONTROVERSO

            Si parla molto di Sessantotto e dintorni, visto che sono passati 40 anni precisi da quei caldi eventi, che hanno prodotto degli sconvolgimenti in varie nazioni, propagandosi anche in periferia. Il tema è al centro anche del nuovo numero dei “Quaderni dell’Orsa”, un bimestrale che si pubblica nella nostra città e che si interessa di problematiche culturali.

            Il numero attuale, per la precisione, è il quarto, stampato dal Centro Grafico Francescano di Foggia. Ogni numero della rivista affronta in apertura, con più articoli, un tema di particolare rilievo. Le volte scorse, così, si è parlato, tra l’altro, di rapporti tra Nord e Sud e di emigrazione intellettuale; questa volta al centro della discussione è il famoso, o famigerato che dir si voglia, a seconda dei punti di vista, movimento del Sessantotto.

            A quarant’anni di distanza è tempo davvero di bilanci. Di qui l’editoriale di Michele Piscitelli, che si intitola proprio “Che roba contessa! Il ’68 ha quarant’anni!”. L’autore dell’articolo parla di qualcosa che ha conosciuto dall’interno, tenendo a freno, per quanto possibile, la comprensibile vena di malinconia. “Era bello vivere, nel ’68 – scrive Piscitelli – sentendosi padroni del proprio destino e sensibili fattivamente a quello degli altri, e soprattutto dei più deboli e delle persone svantaggiate”. La rivolta studentesca altro non fu che la voglia di rispondere alle eterne domande dei giovani, di mutare le storture della società, in nome di un’idea di giustizia. Così inteso, il ’68 fu sostanzialmente un’occasione mancata: “Lo stato di grazia del movimento degli studenti durò poco. Un paio d’anni, non di più. Poi calarono da ogni dove – anche dall’interno purtroppo – avvoltoi di tutti i tipi e l’innocenza originaria andò smarrita. Si consumarono nell’arco di un decennio vicende terribili, alimentate da pulsioni paranoiche di potere che col ’68 non avevano nulla a che fare”.  

            Le domande, dunque, sono rimaste senza risposta, ma per Piscitelli prima o poi bisognerà pur colmare quel vuoto, dando le necessarie risposte.

            E’ un’analisi chiara, che ricorda come ancor oggi le storture sono tante, mentre le speranze e le illusioni sono state spente sono una densa coltre di scetticismo e di disillusione.

            La discussione continua con l’articolo di Enzo Verrengia, “Il rosso e il grigio”, che appare molto utile, in quanto passa in rassegna i fermenti culturali e sociali degli anni Sessanta, in America e in Italia, permettendo di ampliare il quadro del fenomeno. Chi, invece, respinge a muso duro l’accusa, rivolta al Sessantotto, di aver prodotto una decadenza dei costumi e un’ignoranza di massa nelle scuole è Gabriella de Fazio, che intitola il suo pezzo “Tutta colpa del ‘68”. Per lei, che attinge alle sue esperienze, sanseveresi e non, quel periodo fu segnato soprattutto da curiosità intellettuali, da letture, da approfondimenti culturali, che hanno prodotto una frattura con un passato da non rimpiangere. “Ma che si debba mettere in conto al ’68 – conclude la De Fazio – tutto quello che nella scuola attuale non  va è proprio un paradosso. O una svista anacronistica,  di quelle che come i binocoli schiacciano la visione tutta in pochi metri e annullano le distanze fra gli oggetti. Valgano alcuni esempi. La brutta riforma universitaria di Berlinguer, che ha, contrariamente agli intenti dichiarati, prolungato la permanenze dei giovani nei nostri atenei, facendone dei masterizzati per disperazione, risale alla fine degli anni ’90. E gli esami di riparazione vennero cancellati dal governo Berlusconi nel ‘95”.

           

            I REDUCI DEL MOVIMENTO

            Forse è un problema anagrafico, chissà. Di certo, noi che abbiamo conosciuto, da studenti liceali, decine di professori ignoranti laureatisi proprio in quegli anni, tra voti politici e esami collettivi, abbiamo un’impressione diametralmente opposta.

            Le generalizzazioni sono sempre pericolose. Fatto sta, però, che noi ricordiamo ancora benissimo certi supplenti che, in via preliminare, appena entrati in classe, si giustificavano per le loro carenze, che del resto sarebbero diventate di lì a poco evidenti anche agli occhi di noi studenti. Parlavano di occupazioni, di volantinaggi, di scontri tra militanti di opposte fazioni. Vestivano per lo più in modo inconfondibile: gli uomini amavano la barba, mentre le donne si vestivano in modo trasandato, o fintamente tale. Talvolta nei loro piani di studio mancavano alcuni esami fondamentali, che però si potevano escludere in nome di una pretesa libertà di scelta.

            Insomma, con questi docenti tutto si poteva fare, salvo imparare qualcosa di utile per la scuola e per la vita. In fondo, il disastro dell’istruzione scolastica, passata in breve tempo da una rigidità rimasta ancora proverbiale ad un inarrestabile lassismo, era ancora all’inizio. Il peggio doveva ancora arrivare. Colpa solo del Sessantotto? E’ un discorso complesso, che ha molte sfaccettature. A nostro parere, il bilancio della generazione sessantottina e di quella post-sessantottina è negativo. Le potenzialità sono andate perdute, mentre la distruzione di molti valori non ha trovato alcun compenso, a meno di ritenere un valore l’edonismo e l’egoismo sfrenato di oggi.

            Documentarsi, in ogni caso, è sempre importante per giungere a delle convinzioni più solide e precise. E a proposito di testimonianze dirette, non sfugga l’articolo di Antonio Carafa, “Il ’68 in una cittadina del Sud”, che offre anche dei manifesti originali di quel periodo, in cui si invitavano gli studenti a riunirsi per far valere i propri diritti. Uno, firmato a nome di “Un gruppo di universitari”, comincia così: “Cittadini, lavoratori, studenti, vogliamo discutere con tutti voi dei problemi più urgenti che assillano la società moderna, vogliamo aprire un dialogo costruttivo tra studenti e lavoratori. Siamo andati dal Sindaco per chiedergli l’aula consigliare (già concessa agli studenti di Foggia e Torremaggiore). Il Sindaco non ci ha nemmeno ricevuti facendoci conoscere da interposte persone il suo no ingiustificato”.

            Lo spirito dell’epoca, come si vede, si ritrova tutto nelle parole e nei modi. Correva il lontano anno 1968, a San Severo di Foggia…

               

           Torna ad Archivio Letterario Pugliese