SCOMPARSO A 71 ANNI
GIULIANO GIULIANI, IL SINDACO CHE AMAVA SAN SEVERO... E LA LETTURA
Non c’è dubbio che la fine di Giuliano Giuliani, nostro zio, fosse attesa, un
evento che purtroppo tutti quelli che lo conoscevano e lo stimavano mettevano in
preventivo. Ha aspettato il nuovo anno, come per tagliare un nuovo traguardo,
poi, nella giornata di Capodanno, l’ultimo ricovero nell’ospedale di Padre Pio,
dal quale è ritornato senza vita nella sua amata San Severo.
Difficile dire qualcosa a caldo. Ci sono sensazioni troppo intime e personali
che restano, anzi che devono restare, chiuse nell’animo. Ma in questi momenti ci
vengono in mente alcuni episodi che lo caratterizzano ai nostri occhi, a partire
dal suo essere un lettore di ferro. Da sempre, il primo giudizio sui nostri
scritti veniva da lui, che amava circondarsi di volumi e volumi, che era
abituato a leggere per ore e ore. Se c’era un errore di stampa o di grammatica,
lo trovava di sicuro. La scrittura è un’abilità, una competenza, una pratica
quotidiana, e lui veniva dal giornalismo attivo, dalla militanza quotidiana, e
su quel terreno si muoveva con straordinaria bravura.
Troppo irruento per seguire un percorso di studi regolare, Giuliano Giuliani si
era fermato prima, coltivando il suo amore per la politica. Ma politica per lui
significava conoscere, approfondire, sfidare il politicamente corretto.
Possedeva migliaia di volumi, che finivano in libreria solo dopo essere stati
letti e sottolineati. Anni fa, volle comprarsi anche una Treccani, un gesto
molto significativo, a ben pensarci.
Anche durante il periodo della malattia il suo tavolino e poi il suo comodino
erano stipati di volumi. Testi di storia, in primis, ma anche di saggistica e di
letteratura. Quando andavamo a trovarlo ed era intento a leggere, era un buon
segno, significava che riusciva ad estraniarsi dalla malattia, per calarsi nel
mondo delle parole. Poi, era facile dargli uno spunto, spingerlo a parlarci dei
suoi aneddoti, sui quali amava indulgere. Il passato sa essere dolce, quando il
futuro fa paura e il presente significa soffrire.
Ma lui aveva un carattere forte, e questo lo ha portato ad aggiungere un altro
anno ai sei messi che gli avevano diagnosticato i medici. La situazione era
apparsa subito difficilissima, nell’agosto del 2015, e quel limite, sei mesi,
era un termine troppo breve. Lui non si era abbattuto, anzi, aveva iniziato a
lottare con tutte le sue forze. Non aveva ceduto alla disperazione, mettendo in
atto tutte le sue strategie vitali. Aveva bisogno di sentirsi vivo, in effetti,
e su Facebook aveva trovato una valvola di sfogo, costringendoci a riabilitare
in parte i social network, che sono spesso un modo per perdere sterilmente il
tempo, per coltivare sciocchi vanità; ma talvolta anche una sorgente di vita, un
modo per restare in contatto con gli altri, insegnando ancora qualcosa. Lui lo
aveva fatto fino alla fine, senza nascondere quel viso sempre più scavato, la
barba bianca, il corpo che deperiva e gli rendeva sempre più difficili gli
spostamenti.
Facebook, in fondo, era solo l’ultima tappa del cammino di un innamorato della
parola, che già da ragazzo amava animare giornali locali e riviste d’attacco, di
quelle che nascevano per raccontare delle verità scomode, senza troppi giri di
parole. Qualcuno le ricorda ancora, e fa bene. Era un periodo per certi versi
infuocato, ma in cui almeno c’era qualcosa in cui credere, e Giuliano Giuliani
le sue idee non le ha mai tradite. Intendiamoci, anche lui ha fatto i suoi
errori come tutti, e questo non è il tempo della retorica, ma aveva il pregio
della coerenza, quel disprezzo per i traditori che resta un pregio. Da qualche
anno, i voltagabbana di sempre amano ricordare che solo i cretini non cambiano
mai idea; è vero, ma per essere uomini veri bisogna avere qualche idea nobile, e
bisogno correre qualche rischio per essa, mentre la stragrande maggioranza delle
persone crede solo al proprio meschino tornaconto personale. Non è la stessa
cosa.
Lui era rimasto con i suoi volumi sul Ventennio e i suoi rimpianti per la fine
della Destra italiana. Quando ne parlava, noi gli ricordavamo che la Sinistra
era finita anche peggio, trasformandosi con Renzi in una Destra padronale della
peggiore specie, che prende voti tra i ricchi. Ma non riuscivamo a consolarlo.
Il suo punto di riferimento era rimasto lo stesso, e di qui le sue amicizie,
specie quelle con Romano Mussolini e Giorgio Almirante. Entrambi erano una
presenza abituale a San Severo, e la loro scomparsa fu per lui un dolore. Quando
Romano venne ricoverato lui cercò anche di recarsi a Roma, per visitarlo, ma gli
fecero sapere che era ormai troppo tardi. Quanto ad Almirante, il rimpianto
aumentava con gli anni, man mano che si capiva che aveva commesso un errore
gravissimo a fidarsi del suo erede politico. La stagione della Destra si era
chiusa nel peggiore dei modi, ma lui comunque continuava a interessarsi della
politica intesa come vita della comunità, come modo di interessarsi del prossimo
in modo concreto.
Da sindaco di San Severo aveva dato il meglio di sé, completando una
consiliatura, la prima, che resterà negli annali d’oro della città per
tantissimo tempo. In quel periodo avemmo anche il piacere di dargli una mano
nell’ambito culturale, comprendendo ancor di più il suo amore per San Severo e
per la cultura. Se qualcuno voleva farlo arrabbiare, bastava che parlasse male
di San Severo o che commettesse degli errori di grammatica. Guai a sottoporgli
un documento sgrammaticato! Ne sanno qualcosa i tanti dottori impegnati in
politica, con la puzza sotto il naso e la mano ormai arrugginita. Il documento
finiva subito in un cestito o, peggio, per terra.
Quando si lavorò per l’Università a San Severo, lui mise subito a disposizione
somme ingenti per centrare l’obiettivo, e i risultati furono subito vistosi,
mentre altri politici cercavano di boicottare l’iniziativa. Purtroppo la
stagione delle sedi decentrate d’università finì in malo modo, vanificando tanti
sforzi, ma quell’esperienza, che ha visto il contributo di sanseveresi di
diverse idee e competenze, è rimasto un esempio di quello che potrebbe essere la
nostra Città se si riuscisse ad unire gli sforzi per delle nobili cause. Per noi
che lo abbiamo visto investire miliardi di lire per l’università, che lo abbiamo
visto prendere posizioni coraggiose, come quando ha risanato quella cloaca a
cielo aperto che era un tempo corso Gramsci, trasformandolo nel viale delle
Palme, quel periodo è stato un esempio di impegno e di capacità.
Poi, terminate le sue due consiliature, era ritornato ad essere la persona di
prima, senza troppi problemi, e lo vedevamo passare con il suo fascio di
giornali e le sue abitudini di sempre, quelle alle quali non aveva rinunciato
neppure nel 1994, il giorno dopo le elezioni che lo avevano visto sconfitto per
un’inezia. In realtà, era stato eletto deputato con il Proporzionale, ma quel
posto non glielo diedero mai, per ragioni superiori, che lo vedevano vittima
delle circostanze. Anche quel giorno, come niente fosse stato, andò a lavorare,
con quel suo carattere di ferro, con quelle sue decisioni non sempre
comprensibili e condivisibili, con quella forza d’animo che lo ha portato a
guardare sempre avanti, fino all’ultimo giorno.
Poco prima della fine, si è ricordato del fratello Pinuccio, anche lui ucciso
dallo stesso male, nel 2005. Poi è andato a raggiungerlo, accanto ai genitori e
al fratello Federico. Ciao, Zio.
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