LE LIRICHE DI GIOVANNI PAOLO II
CHE POETA QUEL PAPA!
UN PERFETTO INTELLETTUALE CRISTIANO
In questo periodo, per ovvi motivi, le librerie sono piene di libri di o su Giovanni Paolo II. Al di là del tempismo interessato delle case editrici, ci sembra, però, che valga la pena di approfondire la conoscenza degli scritti di questo straordinario interprete del nostro tempo.
Tra le iniziative, segnaliamo quella del Corriere della Sera, che ha iniziato a pubblicare alcuni volumi sugli scritti di Wojtyla, iniziando dalla raccolta delle sue poesie. Non tutti lo sanno, ma Giovanni Paolo II è stato un innamorato del verso e della parola, coltivando questa passione dagli anni giovanili fino all’ultimo periodo. Nel 2003, infatti, sono state edite, con il titolo Trittico romano, le sue intense riflessioni sulla vita, sulla morte, sulla storia, sull’istituzione ecclesiastica, vista nelle sue dimensioni temporali.
I versi hanno scandito le tappe della vita di questo grande polacco, che ha conosciuto il dolore e la sofferenza. Ad appena 9 anni egli ha perso la madre, poi è la volta di un fratello maggiore e del padre. Wojtyla ha lavorato in una cava e in una fabbrica chimica, ha conosciuto la povertà, ha sfidato l’insidia dei totalitarismi, in una Polonia a lungo succube del comunismo sovietico.
Tutto questo rifulge nelle pagine che ha pubblicato, usando alcuni pseudonimi, negli anni Cinquanta, nella sua martoriata patria.
Porta la data del 1939 la toccante Sulla tua bianca tomba, dedicata propria alla genitrice, alla madre strappata al suo affetto. E’ un tributo d’amore pagato alla sua memoria, unito alla speranza cristiana, affinché Dio possa donarle l’eterno riposo.
Pensando alla figura di comunicatore, di papa viaggiatore, a suo agio con i mass-media, si potrebbe pensare che le poesie che ha scritto siano semplici, immediate, ma è bene rimarcarlo, a scanso di equivoci: si tratta di versi densi, impegnativi, in cui rifulge la profondità di un intellettuale cristiano, che non a caso è stato a lungo docente di teologia.
Le poesie sono scritte in polacco, la lingua nativa di Giovanni Paolo II, purtroppo sconosciuta a noi italiani, e si collegano per certi riguardi al mondo delle avanguardie poetiche polacche degli anni Cinquanta. Di qui la scelta del verso libero, come avviene in gran parte della produzione novecentesca, anche in Italia. Tra l’altro, non mancano tratti dal vago sapore ermetico, che richiedono una particolare attenzione se non si vuole perdere il bandolo della comprensione.
E’ una poesia figlia dei tempi, insomma, che nasce dall’anima di un intellettuale dalle profonde radici cristiane, che non evita il confronto con la realtà, ma si rapporta continuamente con essa, cogliendone anche gli aspetti più duri ed amari.
LE DOMANDE E LE CERTEZZE
Tra i temi di riflessione, così, non può mancare il lavoro, in una lirica come La cava di pietra: “Il lavoro ha inizio dentro; fuori tanto si dilata/ che presto prende le mani, raggiunge i confini del respiro”.
Il lavoro assume qui il suo volto più materiale, ma questo non significa che non possa essere nobilitato dall’interno, rappresentando un momento dello sforzo di miglioramento del mondo, in una non facile realtà. In questo tema rientra anche il ricordo di un compagno morto sul lavoro, vittima innocente ma non inutile.
Nelle poesie di Wojtyla risuonano spesso gli interrogativi, di fronte alle domande di sempre, di fronte al dolore, all’ingiustizia; la fede non è mai una risposta semplice e scontata, calata dogmaticamente dall’alto. In questo il poeta polacco è un uomo quanto mai moderno, che sa interpretare le ansie dell’uomo di oggi, senza finzioni. La risposta c’è, ovviamente, ma non è mai banale e preconcetta.
Questa problematicità permea, tra l’altro, la poesia Profili di cireneo, dove si incontrano alcuni personaggi che restano impressi, come i ciechi, che procedono a stento, battendo sul selciato i loro bastoni e che alla fine esclamano: “Riuscirai ad insegnarci che esistono altri mali oltre il nostro?/ Riuscirai a persuaderci che nella cecità possa esservi gioia?”.
Quanto ai fanciulli, protagonisti della sesta sezione della seconda parte, l’auspicio è che possano sempre separare il bene dal male, restando puri, riprendendo le parole di Cristo nei Vangeli.
Gli spunti di riflessione sono tantissimi. In Pellegrinaggio ai luoghi santi, datato 1965, la poesia cede il passo alla prosa, cogliendo gli spunti e le suggestioni derivanti dai luoghi legati alle radici del Cristianesimo, come il deserto della Giudea.
E’ un cammino denso e toccante, che giunge fino alle liriche del già ricordato Trittico romano, con i versi di Epilogo, ambientati nella Cappella Sistina, dove ricorre il pensiero dell’anno dei due conclavi, il 1978, quando, dopo la repentina scomparsa di papa Albino Luciani, venne eletto pontefice (“Era così nell’agosto e poi nell’ottobre, del memorabile anno dei due conclavi,/ e così sarà ancora, quando se ne presenterà l’esigenza dopo la mia morte”).
E’ una visione in cui tutto, l’inizio e la fine, viene racchiuso e fuso, in nome della fede, nella speranza in Dio, che guida la storia dell’uomo.
Le poesie di Karol Wojtyla, insomma, meritano una lettura attenta e disponibile, nella quale il cuore e la mente devono aprirsi per lasciarsi illuminare dal mistero della parola, comunicato dal “Servus Servorum Christi” appena scomparso.