GIORGIO MANGANELLI IN PUGLIA SULLE ORME DI BRANDI

           

 

            Le definizioni sono spesso insidiose, specie quando si parla di letteratura. Se pensiamo ad una recensione, ci immaginiamo un testo critico scritto su di un libro, che contiene apprezzamenti o riserve. Ma non è sempre così, come ci insegna l’esperienza. Può capitare, così, che la recensione di un libro di viaggi sulla Puglia diventi essa stessa un viaggio, autonomo e originale, nella stessa regione. È proprio questo il caso dell’articolo Il gentiluomo fuori moda viaggia tra esotiche follie, a firma di Giorgio Manganelli, apparso su quotidiano nel 1977 e incluso l’anno scorso nella raccolta Concupiscenza libraria, pubblicata dall’Adelphi, a cura di Salvatore Silvano Nigro.

         Manganelli, nato a Milano nel 1922 e scomparso a Roma nel 1990, è stato un nome di spicco della letteratura e del giornalismo novecenteschi. Animatore del Gruppo ‘63, consulente editoriale, vincitore di un Premio Viareggio per la narrativa nel 1979 con Centuria, ha collaborato a moltissimi giornali e riviste. La costante riproposizione dei suoi lavori conferma l’interesse che continua ad esserci per la sua produzione.

         Arriviamo, così, a Il gentiluomo fuori moda viaggia tra esotiche follie, in cui Manganelli elogia Pellegrino di Puglia di Cesare Brandi, che nel 1977 viene riproposto dalla Laterza in seconda edizione, con un corredo fotografico di Enzo Crea. L’aureo volume di Brandi è letteratura pura, un testo che è invecchiato bene, «ben cotto e speziato», con i suoi gustosi e golosi riferimenti ad una regione ripostiglio. Manganelli apprezza e affonda la penna nelle caratteristiche dell’opera, poi però parte per la sua strada. Se la regione è una pagina da costruire con originalità e curiosità, allora Manganelli non può resistere al piacere di offrirci la propria pagina. Entra in scena, così, tra definizioni argute e pungenti, offerte con il compiacimento della loro peculiarità e paradossalità, la Puglia del letterato milanese, incontrata guidando una lambretta. Per chi arriva da Nord, l’impatto è con la pianura del Tavoliere e con le «mura spietate» del castello di Lucera, che sembra una nave spaziale. Il Gargano «non è illuminista», ha un sapore di isola, è «periferico, drammatico, tra foreste, caverne, lagune, e una catena di montaggio di santi e di miracoli, che va assai più addietro del tempo cristiano».

         La Puglia di Manganelli è piena di sorprese, affiancando a questi spettacoli dal duro impatto altri in cui prevale una straordinaria raffinatezza. E in questo secondo caso lo scrittore pensa alla Valle d’Itria e in particolare a quella Martina Franca così cara a Brandi. Ne deriva una «sinfonia classica» pugliese, che inizia con il «tempo lento» di Ostuni, continua con «l’allegretto» di Martina, con il «grave» di Lecce, per finire con il «selvatico delicato» di Alberobello.

         Questa regione non offre pause e riposo, anzi finisce per apparire addirittura «inquietante» per questa sua varietà. Tra i «luoghi duri» lo scrittore pone l’accento su Foggia e a questo punto dobbiamo ricollegarci ad un articolo, Patria, di cui non è stata trovata una versione a stampa, apparso nella raccolta postuma Mammifero italiano, del 2007. Il brano non risale a prima del 1974 e prende spunto dalla denuncia per vilipendio ricevuta in quell’anno dall’imitatore Alighiero Noschese, accusato di aver mancato di rispetto al presidente della Repubblica e al papa. Rifacendosi a questo episodio, Manganelli parlò, con un ragionamento ironico e paradossale, della necessità di amore tutta la Patria, compresa «la periferia nord di Foggia». Nel brano del 1977 Manganelli aggiusta il tiro, smussando in qualche modo il riferimento: «Mi va a genio Foggia per la sua assenza di bellezze, di bellurie, di belletti». Egli resta colpito dall’aspetto particolare della chiesa del Calvario, meglio nota come delle Croci, con le sue cinque caratteristiche cappelle, e parla di una città «vitale, cupa», «golosa di cibi forti, ricchi, accesi, di verdure aggrovigliate e irritate, di bei formaggi».

         Da questo riferimento, per analogia, Manganelli ricava l’ultimo accostamento, con il quale il denso articolo si avvia a conclusione: «Se devo esser goloso della pagina Puglia, la penso come un gran formaggio – ora tenero e morbido, ora indurito e aspro; e sopra cattedrali ferrigne e cattedrali rococò, gente gentile e bizzosa, paziente e dura, e qua e là miracoli, apparizione, grotte, facinorosi, santi e pietrefitte».

         Ne deriva, insomma, una Puglia filtrata da un autore stravagante, paradossale, barocco, dall’immaginazione prensile, che condisce l’essenza di una terra con la menzogna della letteratura.

 

 

 

         Giorgio Manganelli (1922-1990) è stato scrittore, giornalista e consulente editoriale. Collaboratore di molte testate, nella terza pagina del «Corriere della Sera» del 13 dicembre 1977 pubblica un articolo intitolato Il gentiluomo fuori moda viaggia tra esotiche follie, che è poi stato raccolto nel 2020 nella silloge Concupiscenza libraria (Adelphi, a cura di Salvatore Silvano Nigro). Il pretesto è rappresentato dalla recensione della seconda edizione di Pellegrino di Puglia di Cesare Brandi. Ben presto, però, Manganelli costruisce l’immagine della sua Puglia, in cui «luoghi duri» si affiancano ad altri estremamente raffinati. Ne deriva, così, un ritratto della regione ricco di fascino e peculiarità.

 

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