"GIOCARE D'AZZARDO" DI MARIA TERESA SAVINO
Maria Teresa Savino da molti anni è impegnata su due fronti,
quello della produzione poetica e quello della promozione della letteratura,
presiedendo un’associazione culturale che ha acquisito nel tempo molti meriti,
contribuendo a rendere più vivace la realtà culturale della Capitanata. Non è
facile mantenere viva la fiamma dell’interesse e della passione, specie quando
la stanchezza si accumula inesorabilmente, ma la Savino continua imperterrita
sulla sua strada, e questo è un pregio da non sottovalutare.
In passato la Nostra ha già dato alle stampe alcune sillogi di
versi, accuratamente selezionate e tirate fuori, senza fretta, dal proverbiale
cassetto, collaborando, inoltre, alla realizzazione di varie opere collettive.
Ora è la volta di questa nuova silloge, che trova la sua nota unificante in una
scrittura breve e compendiosa.
I versi scorrono veloci ed incisivi, dando forma ad un bisogno
espressivo che teme i lunghi indugi e le ampie descrizioni, evita con cura il
superfluo e gli inutili orpelli. Al contrario, la Savino concentra l’espressione
poetica, rendendola nel contempo completa ed autosufficiente.
Questo bisogno di concisione trova il suo culmine nella
presenza di numerosi haiku, che scandiscono l’intera silloge. Il componimento
poetico di origine giapponese, non di rado riproposto anche in ambito
occidentale, trova nella Savino una resa interessante. Tre versi, un quinario,
un settenario ed un quinario, non di più, per rendere un’impressione,
un’emozione, un pensiero, per coltivare una speranza, per cantare una gioia
effimera.
La raccolta si apre e si chiude proprio con degli haiku, e
quelli d’epilogo, in particolare, aiutano a comprendere lo stato d’animo della
poetessa, il suo fondo di malinconia, di fronte al dolore dell’esistenza, alla
pena dei giorni che passano inarrestabili, ma non spengono quel desiderio di
vivere, di sognare, di desiderare ancora le gioie dell’esistenza (“Passa la
vita./ Un’altra ne vorresti/ e ne vivresti”).
La poetessa canta le gioie della giovinezza (“…Così noi
eravamo!/ L’entusiasmo ci brillava negli occhi./ Il giorno era una sfida/ e la
si raccoglieva con tutt’e due le mani./ Ma ostinati dinieghi affollarono il
cuore/ e la passione, impigrita/ cessò di reclamare”), lasciando poi spazio al
rimpianto, all’amara consapevolezza di chi ha attraversato fasi diverse
dell’esistenza (“Hai pagato in contanti la tua piccola gioia:/ niente sconti,
neppure gli spiccioli.”).
E’ un destino leopardianamente comune, che anima varie
composizioni della silloge. Troviamo, così, il rovello della solitudine, del
tedio, l’amara consapevolezza della condizione umana (“Siamo birilli/ più o meno
allineati./ Attendiamo/ coscienti/ l’esatto colpo di palla”). Gli uomini
appaiono “Fasciati di solitudine”, “stranieri”, anche quando sono intenti a
scambiarsi gli auguri.
Di fronte a questa realtà, resa in modo asciutto, senza
eccessi patetici e note sopra le righe, la poetessa si aggrappa come può alle
piccole gioie che accompagnano lo scorrere dei giorni, a quegli attimi che
segnano una piacevole tregua, a quelle visioni che assumono un particolare
significato, come in questa lirica: “Un piccolo/ sciame di farfalle/ addolcisce/
il mio cielo invernale./ Volteggiando/ si appropria del mio cuore”.
La poesia di Maria Teresa Savino, come si può facilmente
notare attraverso gli esempi addotti, è limpida, semplice, diretta, con i suoi
versi mai troppo lunghi e i suoi “scalini”, riuscendo a coinvolgere
immediatamente il lettore. C’è in essi la forza delle cose, della verità,
dell’esperienza dei giorni, un nucleo sentimentale ed ideale che non ricerca
inutili paludamenti, ma sceglie la strada più diretta e proficua.
La silloge, nel complesso, mostra tutta la sua vitalità e
necessità, risponde ad un bisogno sincero e accorto di espressione,
rappresentando un altro momento significativo nel cammino artistico della
poetessa Savino.
(Il brano riproduce la Presentazione del volume)