dal saggio
BACCHELLI GARGANICO:
ARTICOLI DI VIAGGIO E
RACCONTI DISPERATI
II- UNA VISIONE UNITARIA
La seconda parte degli anni Venti rappresenta per Riccardo Bacchelli un periodo molto felice, dal punto di vista artistico, nel quale nascono varie sue opere. Nel 1927 dà alle stampe Il Diavolo al Pontelungo e l’anno dopo, per la stessa casa editrice, è la volta di Bella Italia, che accoglie delle novelle, delle fiabe, ma anche dei resoconti di viaggio, frutto di una prensile curiosità, che lo porta a cercare spunti nei luoghi più caratteristici, come l’Etna e le isole siciliane, ma anche più consueti, come la Torino dove ha sede il quotidiano “La Stampa”, sul quale scrive.
Con la sua versatilità, la sua disciplina stilistica, il suo equilibrio di uomo e di scrittore, Bacchelli riceve numerose offerte di collaborazione, alle quali riesce a far fronte in modo egregio, calibrando la sua offerta al pubblico dei lettori. La sua firma, insomma, è una garanzia.
In questa ricerca di argomenti e di spunti, che è giocoforza serrata ed intensa, era naturale che il Nostro pensasse al Gargano, ritenuto, per comune giudizio, una delle parti meno conosciute d’Italia, e dunque più stimolante ed accattivante.
Per questo motivo, già da tempo aveva pensato ad un viaggio nella zona, come si deduce da una lettera scritta il 2 dicembre 1927 all’amico Giustiniano Antonio Serrilli: “Caro Serrilli chi non muore si scrive; e presto spero anche di rivederti […] Vorrei visitare il Gargano per descriverlo ai miei amici lettori. Mi ricordo che tu una volta mi ci invitasti, e fosti così bravo da dire che mi avresti fatto da guida, cosa che mi sarebbe tanto preziosa quanto piacevole, se hai sempre la stessa bontà!”[1].
Con queste parole ritorniamo indietro nel tempo, al 1910, quando Bacchelli si iscrive all’Università di Bologna, alla prestigiosa Facoltà di Lettere, che non completerà mai; qui si imbatte nel coetaneo Serrilli, un pugliese di San Marco in Lamis, un centro collinare del Foggiano. Insieme frequentano le lezioni di Giovanni Pascoli, l’erede di Carducci sulla celebre cattedra di Letteratura italiana, esperienza di cui entrambi parleranno sempre volentieri.
Uno scorcio del lago Varano
Serrilli riuscirà a raggiungere la meta della laurea (mentre Bacchelli dovrà accontentarsi, per così dire, del riconoscimento honoris causa), per poi ritornare nella sua terra nativa, dove avrà cura dei beni di famiglia.
Di lui, scomparso prematuramente nel 1943, a 52 anni, si ricorda qualche pubblicazione dedicata al dialetto del suo paese, nel quale scriverà anche dei versi. Oltre a ciò, egli è stato un personaggio di spicco del Fascismo a livello provinciale e come tale, per gli incarichi ricoperti, il suo nome compare in alcune pubblicazioni di carattere storico.
Per molti motivi, come si nota, Serrilli rappresentava una guida ideale, un personaggio davanti al quale si aprivano tutte le porte, e Bacchelli ne è ben consapevole, come si nota nella lettera appena riportata.
Lo scrittore bolognese, che non aveva più rivisto il compagno di studi dopo i tempi dell’università, compie finalmente il suo viaggio, in qualità di inviato de “La Stampa”, nel marzo del 1929, ospite dell’amico per alcuni giorni nella sua casa di San Marco in Lamis. Sarà questo il centro delle sue peregrinazioni garganiche, che gli permetteranno di conoscere a fondo i vari aspetti di una realtà del tutto sconosciuta.
Da questa esperienza nasceranno i sette pezzi che pubblicherà su “La Stampa” dal 19 marzo al 25 aprile. A questi andrebbe aggiunto anche Lucera, apparso il 18 giugno, che però Bacchelli, nella raccolta Italia per terra e per mare, disporrà a parte, rispetto a In Gargano. Non c’è dubbio, in ogni caso, come ricorda la stessa data del 1929, aggiunta tra parentesi dopo il titolo del brano, che egli abbia visitato la città federiciana, posta alle falde del Subappennino Dauno, e dunque dall’altro lato della provincia di Foggia, nello stesso periodo in cui era ospite di Serrilli.
Dei sette contributi inviati al quotidiano torinese, uno, Le arancie dell’“Unità Italiana”, sarà incluso tra i racconti disperati, e per questo motivo ne parleremo in un successivo momento. Un altro, Primavera nel Bosco Umbra, confluirà in buona parte ne Il brigante di Tacca del Lupo, rimpolpandone la componente descrittiva, con la conseguenza di restare confinato nell’ambito giornalistico.
Si spiega, così, perché In Gargano, nella terza parte del volume Italia per terra e per mare (pubblicato dalla Rizzoli nel 1952 e poi, in edizione definitiva, dalla Mondadori nel 1962), sarà formato da cinque brani. Non mancano anche delle altre differenze, che noteremo a tempo debito.
Ma andiamo per ordine, concentrandoci sui sei articoli di viaggio composti per l’occasione, nei quali si spazia nel mondo garganico, tra luoghi e paesi diversi, ricchi di attrattive, di storia e di leggenda.
A legare tutti gli scritti, provvede il comune atteggiamento del cittadino Bacchelli, sin dall’inizio consapevole di trovarsi di fronte ad un mondo più primitivo ed appartato. La differenza si stempera nella disposizione a cogliere la grande bellezza dell’ambiente e dei monumenti, ad avvertire il fascino derivante dalla peculiare posizione del Gargano nel quadro italiano.
Di qui il piacere della scoperta, vivo in uno scrittore che entra, anche grazie all’amico Serrilli, in immediata sintonia con il microcosmo che visita, notando ovunque i segni della vitalità, della cordialità, della tenacia di fronte alle avversità, della serietà con la quale si affronta la sfida con l’esistenza; un atteggiamento di apertura che non perde mai un aureo senso della misura, tipicamente bacchelliano, e che non impedisce, pertanto, allo scrittore di evidenziare anche i difetti, si tratti della presenza della malaria, grazie ai laghi garganici, o della grande povertà di certi luoghi.
E’ chiaro, d’altra parte, che la bilancia pende a favore delle note positive e che, al di là di ogni considerazione legata ai tempi in cui questi articoli vengono pubblicati, Bacchelli si compiace di rimarcare le ricchezze di uno dei tanti volti dell’Italia, di un mondo ricco di risorse, in cui un’antica civiltà si rivela con un suo volto peculiare ed affascinante.
Nel complesso, dunque, si ricava un ritratto insieme credibile e denso di suggestione, in cui le varie sfaccettature del Gargano, umane, naturalistiche, artistiche, storiche, si compongono in una felice sintesi.
Gli occhi di questo visitatore, che ama spaziare nel tempo e nello spazio, si posano su tutto, passando dal Santuario dell’Angelo ad un probabile santo come Padre Pio, dall’intrico di un bosco fitto e misterioso agli agrumi con il loro ineffabile odore.
Di qui, insomma, il pregio di questi articoli, ancor oggi godibilissimi, a distanza di tanti anni, con i loro ampi periodi, che fluiscono rivelando le qualità letterarie di un maestro come Bacchelli, che ama il quadro ampio e completo, ma non perde mai di vista il dettaglio, per innato bisogno, non certo per desiderio del particolare vistoso o folcloristico.
[1] Cit. in Della Capitanata e del Mezzogiorno. Studi per Pasquale Soccio, a cura di A. Motta, Lacaita, Manduria, 1987, p. 225.