"IL DIO DI GANDHI" DI ANTONIO VIGILANTE

 

Per i tipi della casa editrice barese Levante Antonio Vigilante ha pubblicato un importante lavoro su Gandhi, intitolato “Il Dio di Gandhi. Religione, etica e politica” (pp. 289, euro 20). Il corposo volume si inserisce a pieno titolo nell’ambito degli interessi più vitali dell’autore, classe 1971, nato e residente a Foggia. Docente di Scienze Sociali nei licei, Vigilante collabora con l’Università di Bari.

Se il suo penultimo lavoro era una silloge di poesie, “Rima rerum”, densa di implicazioni filosofiche, la restante produzione rivela ancor più chiaramente le sue predilezioni. Ci riferiamo, in particolare, ad uno studio su Aldo Capitinini, del 1999, e a “Il pensiero nonviolento”, del 2004, che è una sorta di trattato sull’argomento, che non è solo un oggetto di studio, ma anche un tema che coinvolge a pieno titolo l’esistenza di Vigilante. La nonviolenza (la parola è scritta in forma univerbata, senza stacco) viene in lui assunta come l’unico modo di rapportarsi con una realtà infida e sfuggente, quasi una religione che non è tale, ma ne conserva la tensione e la visione totalizzante.

Nel 2007 lo stesso Vigilante ha tradotto alcuni scritti di Gandhi, in un volume dal titolo “La prova del fuoco. Nonviolenza e vita animale”. Di qui, poi, il passo è breve fino a questo studio sul celebre filosofo e politico indiano, che in quarta di copertina è saluto con parole entusiastiche da Francesco Bellino, docente di filosofia morale all’Università di Bari. Per Bellino si tratta di “un’opera puntuale nella tematizzazione del pensiero di Gandhi e al tempo stesso attenta a cogliere le sue aporie e contraddizioni”.   

In effetti, Vigilante spiega con chiarezza le oscillazioni del pensiero del Mahatma (ma lui non lo chiama mai così, per deliberato proposito) , che passa da una concezione mistica, per cui la fede in Dio è la condizione necessaria dell’azione nonviolenta, ad una che identifica Dio con il Bene, la Verità. Sono due momenti poco conciliabili tra loro, spiega lo studioso foggiano, che nelle pagine conclusive pone l’accento su una terza posizione di Gandhi, per quanto non sviluppata dallo stesso Mahatma, ma gravida di interessanti sviluppi.

L’analisi di Vigilante è sempre basata su di un’ottima conoscenza delle fonti primarie, oltre che dell’intero quadro di riferimento. Egli persegue un ideale di produzione scientifica che non rinuncia mai ad una diretta comunicazione con il lettore. Intendiamoci, il volume non è per tutti, ma Vigilante si sforza di semplificare la trattazione, persuaso che “il compito di chi ha il privilegio di scrivere è quello di aprire finestre, non di erigere muri”.

Gandhi si conferma un personaggio affascinante, oltre che di non facile approccio, se non ci si vuole fermare alla superficie. Il suo contributo al progresso della storia è stato indubbio, ma Vigilante sa anche che le vicende del Novecento hanno bruciato tante speranze, hanno tarpato tante illusioni, e dunque il Mahatma in certe sue prese di posizione appare troppo ottimista. Il Bene non vince necessariamente, purtroppo, ma questo non significa affatto che bisogna rinunciare ad offrire il proprio contributo. Nel finale del libro, la nonviolenza (e qui parla più Vigilante che Gandhi) appare come “Una non collaborazione che interpreta diversamente il mondo, che si fa preghiera pratica affinché le cose vadano diversamente, che comincia attivamente, senza cercare conferme e garanzia, l’opera di liberazione dalla violenza dell’economia, della politica, della storia. E dell’essere stesso”.

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