NOVITA’ EDITORIALI: “UOMINI, LUOGHI, MEMORIE”
UN LIBRO DI FRANCESCO FERRANTE
IL GIORNALISMO CULTURALE
E’ da poco arrivato in libreria il volume “Uomini, Luoghi, Memorie”, opera del giornalista Francesco Ferrante (“Edizioni Centro Grafico Francescano”, Foggia, pp. 198, euro 15).
Ferrante, garganico di origine, vive da molti anni nella nostra città, coltivando l’amore per la scrittura. Quello in questione non è il suo primo libro, visto che ha già edito altri testi, dedicati in particolare a Cagnano e alla zona limitrofa. Il volume in questione, però, ha l’ambizione di porsi come un bilancio provvisorio del meglio della sua produzione nell’ambito del giornalismo culturale, quello da terza pagina, per intenderci, coprendo un’area che va, come chiarisce il sottotitolo, “Dal Gargano all’Alto Tavoliere”.
Non a caso, molte pagine sono dedicate a San Severo, sia che si tratti della scomparsa dei busti di Matteo e Nicola Tondi, sia che si parli della Festa del Soccorso.
Il libro, insomma, raccoglie il frutto di anni di lavoro, prima disperso tra varie testate giornalistiche, non escluso il “Giornale di San Severo”, come Ferrante ricorda nella sua premessa.
Quanto fosse necessario questo sforzo di riunire gli scritti, è quasi inutile dimostrarlo. Chi raccoglie oggi i giornali? Nelle nostre case, sempre più piccole e ingombre di oggetti di ogni genere, non c’è spazio per quei fogli di carta, che hanno molti difetti, a partire dalla loro voluminosità e dalla tendenza a diventare ricettacolo di polvere. Ecco, così, che i giornali, dopo pochi giorni, finiscono irrimediabilmente nel sacchetto dell’immondizia, rastrellati e raccolti con cura, se non con disappunto, da qualche meticolosa padrona di casa.
Ci sarebbero i garage. Un tempo, era facile trovare delle preziose raccolte d’annata, custodite e ordinate in qualche sgabuzzino, in qualche ripostiglio, accanto ai libri di scuola e agli oggetti cari alla poesia di Gozzano. Ma, anche in questo caso, le mode cambiano e numerosi spazi sono stati riconvertiti a tavernette per le feste con gli amici, a mansarde, e dunque anche questa strada finisce per apparire chiusa.
Non c’è nulla da fare: per i giornali si apre un unico cammino, quello che porta alla più vicina discarica. Ed in molti casi questo non è neppure un male: troppi fogli vengono imbrattati con articoli prezzolati, con volgarità e calunnie, con banalità vendute come fossero l’elisir di lunga vita, per non parlare, poi, di certe untuose parole moralistiche, che nascondono, neanche troppo bene, la ricerca di favori o di denaro.
La discarica, in questi casi, è quasi una Nemesi, una sorta di punizione meritatissima e sacrosanta, che avvolge nell’oblio scandali di paese, cambi di casacca politica e misfatti di cronaca nera.
Ma ci sono anche, come sempre, le eccezioni che confermano la regola, e in quest’ambito non esitiamo a porre gli articoli composti da Francesco Ferrante.
LA SAN SEVERO SOTTERRANEA
La cultura, si sa, non fa vendere copie, in redazione viene tollerata o, al massimo, rappresenta un biglietto da visita, se non uno specchietto per le allodole.
In ogni caso, gli articoli di cultura hanno il non trascurabile vantaggio di durare nel tempo, di offrire un quadro più ampio ed articolato, strappato alle contingenze, alle emozioni e alle impressioni del momento. Essi affrontano, quando sono di valore, come in questo caso, delle tematiche ampie e coinvolgenti, sollevando dei quesiti e, non di rado, offrendo delle risposte e delle proposte.
Forse è per questo che amiamo il giornalismo di terza pagina e quelli che si cimentano con esso, perché in questo particolare settore si riflette con più chiarezza quel desiderio di strappare all’inesorabile passare del tempo almeno uno spazio, un’oasi di memoria.
Desiderio, questo, che in Ferrante appare quanto mai vivo e trasparente, unendosi anche ad una personale ed insopprimibile esigenza di genitore.
In lui questo passaggio dalla molteplicità degli articoli all’unità del libro è una ricerca di senso, un modo per illuminare il suo impegno di uomo e di intellettuale.
Il suo sguardo spazia su di un ampio e variegato territorio, dal Gargano al Tavoliere, dal mondo delle radici, mai recise, anzi riscoperte con gli anni, a quello dove si è trovato a vivere. Gli uomini, i luoghi e le memorie, per riprendere il titolo della silloge, appartengono ai tanti paesi del Gargano come al cuore dell’Alto Tavoliere, dove l’orizzonte è piatto.
Non c’è dubbio che Ferrante ami certi luoghi e riesca a comunicare con efficacia il suo sentimento. Si pensi, per esempio, al lago di Varano, che ricorre in numerose pagine, anche con il sussidio dell’iconografia, accanto a paesi come Cagnano e Carpino; uno specchio d’acqua che si accompagna però sempre alla consapevolezza di un evidente limite, di un’incapacità che è storica e, forse, addirittura metafisica.
Nel lago si rispecchia il destino di un Sud carico di memorie e di ricchezze potenziali, che però stentano a diventare reali. In questo contesto, l’amore di figlio porta l’Autore a rimarcare almeno l’importanza dell’eredità storica, sperando in tempi migliori.
La pagina, allora, si affolla di echi del passato, di personaggi riscoperti, di scorci incantevoli di un paesaggio trascurato o, peggio, deturpato dalla sconsideratezza umana.
Alla base del libro, Ferrante pone risolutamente un problema oggi più che mai attuale, quello dell’identità della nostra terra, quello del volto della gente pugliese, chiamata a interrogarsi e a trovare la propria vera dimensione.
Il tema dell’identità affiora in modo più o meno evidente, ma attraversa tutte le pagine, senza eccezioni. Nell’anno di grazia 2004, di fronte alle insidie della globalizzazione, di un’Europa sempre più senz’anima ed arrogante, di un futuro dai ritmi vorticosi e densi di pericoli, la ricerca dell’identità non può che nascere interrogando i luoghi in cui viviamo, le carte d’archivio e i libri che ci riguardano, proprio come ha fatto Ferrante.
In questo senso, si può ben dire che gli articoli, scritti nell’arco di oltre un decennio, si fondono in un’unità di intenti che non fa mai dimenticare la varietà dei singoli interventi.
I lettori possono scegliere liberamente, unendo il piacere al profitto, inerpicandosi sulle strade di quel Gargano segreto caro a Pasquale Soccio e ad altri benemeriti intellettuali, o fermarsi in pianura, tra feste patronali, busti marmorei scomparsi e ritrovati, palazzi illustri.
Ferrante ha scelto di intrecciare i vari argomenti, senza nette divisioni geografiche e temporali, e, alla fine, la scelta si giustifica da sé. L’unità, lo abbiamo già detto, è nell’autore, che dimostra di saperci fare anche con la penna, piegandola ai suoi obiettivi, riuscendo, nei momenti più ispirati, a far risuonare la poesia dei ruderi e della desolazione, schizzando, in altri passi, un quadro in equilibrio tra prosa e poesia, come in Mondo sotterraneo di San Severo.
In queste ultime pagine, in particolare, Ferrante indaga sull’esistenza di stanze e cunicoli sotterranei, che hanno sempre colpito la fantasia dei più piccoli e che non hanno mancato di affascinare anche noi. C’erano davvero questi misteriosi e impervi passaggi, che portavano da un luogo all’altro, sfidando le tenebre? A quanto pare sì, e l’autore lega le sue affermazioni ad un’indagine giornalistica e cronachistica, che completa il quadro d’insieme.
E’ solo un esempio, è chiaro, del materiale contenuto in questo libro, scritto con una lingua chiara, ma anche densa di echi illustri, propria di chi ama le buone letture.
In conclusione, non ci resta che augurare una buona fortuna a questa silloge, che negli intenti e nelle realizzazioni si pone sulla scia di un’illustre tradizione di opere legate al territorio pugliese, ma con un respiro proficuamente ampio.