IL "DE CONTEMPTU MUNDI" DI INNOCENZO II

 

 

Da tempo è chiaro a tutti che non viviamo nel migliore dei mondi possibile, che siamo circondati da guerre, ingiustizie e sofferenze; ma nello stesso tempo gli uomini più pensosi si sono sempre opposti, in qualche modo, a questa sorta di trionfo del male. Di qui la forza delle utopie, della ricerca del “luogo che non c’è”, per riprendere il significato etimologico del termine, che ci deriva dall’inglese Tommaso Moro.

        Di utopie è piena la storia e questa loro presenza si riflette anche nell’ambito letterario, con opere spesso celebri. Esiste persino una Biblioteca dell’Utopia, giunta al suo tredicesimo volume, voluta dalla Mondadori o, più precisamente, dalla “Silvio Berlusconi Editrice”. E’ una bella collana, formata di volumi dalla sobria eleganza, dal prezzo accessibile, che offre ai suoi lettori un testo all’anno, ma di indiscutibile prestigio. Negli anni scorsi sono stati pubblicati libri come “La Città del Sole”, di Tommaso Campanella e laNuova Atlantide”, di Francesco Bacone, offrendo spazio anche alle utopie politiche, e in quest’ambito si spiega la presenza del “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Emgels, con introduzione di Lucio Colletti, scomparso da qualche tempo, dopo aver attraversato la fase della militanza comunista e poi anticomunista.

         Tutto ciò viene detto per sottolineare il rilievo che assume questa iniziativa editoriale, che ora propone un testo classico del Medioevo, “La miseria della condizione umana”, celebre opera di Lotario di Segni, destinato a diventare, di lì a qualche anno, papa con il nome di Innocenzo III (a cura di Carlo Carena, pp. 332, euro 16).

         Innocenzo III, è bene ricordarlo, è stato uno tra i più grandi papi della chiesa di Roma. Nato da una famiglia nobile nel 1160, ad Anagni, il conte Lotario fu ordinato cardinale a soli 30 anni da Gregorio VIII, poi, però, il nuovo pontefice, Celestino III, per motivi politici, lo lascia in disparte. Ed è così che, nel periodo tra il 1191 e il 1198, egli compone alcune opere, tra cui il “De miseria humane conditionis”, più noto come “De contemptu mundi”, un libro che ha goduto di una straordinaria fortuna per alcuni secoli e che ancor oggi viene citato e studiato.

         L’opera, scritta in latino medievale, è stata tradotta in italiano da Carena, che ha anche offerto, nella seconda parte del libro, il testo originale, rendendo il volume ancor più completo ed apprezzabile.

         Il “De miseria”, come sottolinea il titolo, svaluta, nei tre libri da cui è composta, l’esistenza terrena, mostrandone il suoi carattere effimero e fragile. L’uomo è poca cosa, rimarca quanto profondo interprete dell’epoca medievale, e l’unica speranza è rivolta nell’altra vita, in quell’utopia cristiana rappresentata dal Paradiso, dal regno in cui gli odi taceranno per sempre, lasciando spazio alla civiltà dell’amore.

         Riassunto così, però, il testo di Lotario potrebbe perdere molto del suo interesse; ma basta accostarsi ad una qualsiasi delle sue pagine per rendersi conto che il futuro papa affonda la lama in tutti quegli aspetti della nostra esistenza che nessuno di noi ama sentirsi ricordare. Specie in una società come la nostra, basata sul consumo e sul bombardamento dei mass-media, il messaggio di Lotario svolge un compito potentemente demistificante, mostrando la necessità di vivere bene, di dare un senso ai propri giorni, al di là delle sirene della modernità.

       Lo scrittore, che è ancora giovane, sa bene che la vita è una lotta, che il dolore supera di gran lunga il piacere. Si pensi, ad esempio, al capitoloBrevità della gioia”, che si apre con questa domanda provocatoria: “Chi mai ha trascorso una sola giornata del tutto lieta, con piena soddisfazione, senza essere in qualche momento turbato dal rimorso o da uno scatto d’ira o dall’impeto di un desiderio?”. Sembra un maestro di Leopardi o un avo degli esistenzialisti, in certi momenti, ma in realtà si ricollega, sia pure con grande forza ed efficacia, ad una vena pessimistica, ed insieme realistica, che affonda le radici nel mondo greco, come ricorda Carena nel suo saggio, ossia, che si rifà alle origini del pensiero occidentale.

       Lotario, uomo dotto e lucido, usa la penna con la precisione di un bisturi nelle mani di un chirurgo, chiudendo implacabilmente tutte le porte che l’uomo pensa di poter aprire per salvarsi; è un lucido filosofo illuminato dalla fede, che non sciupa le parole e che ci guida, confidando nella sua utopia cristiana.

       Insegna a disprezzare la vita terrena o, meglio, a viverla bene, ma quando scriveva queste pagine non immaginava che di lì a poco sarebbe diventato uno dei più grandi papi della cristianità, regnando per 18, intensissimi anni. Rinsaldò il potere della Chiesa, approvò l’istituzione dei due ordini mendicanti, lottò contro le eresie; insomma, proprio lui ha lasciato un’orma indelebile, mostrando come l’utopia sa anche trasformarsi in prassi, quand’è il momento, e nel modo migliore.  

      Uomo ammirevole, ricordato anche da Dante nella Commedia, ci ha lasciato un testo provocatorio e complesso, che merita un’attenta lettura, pur nel riconoscimento della distanza che ci separa dalla sua epoca e da molte delle sue posizioni.

 

       Lotario di Segni (Innocenzo III),  La miseria della condizione umana, Mondadori, 2003, a cura di Carlo Carena, pp. 332, euro 16

      Torna ad Articoli culturali