DANIELE PICCINI, LA NECESSITA’ DELLA CRITICA

 

         Negli scritti di Daniele Piccini colpisce immediatamente la capacità di pendere posizione con una grande sicurezza, che è frutto non di presunzione o, peggio, di superficialità, ma, al contrario, di un gusto scaltrito, di una limpida e penetrante visione che scandaglia il testo nelle sue molteplici e mai scontate problematiche.

         Queste qualità spiccano sin dalle prime battute di “Letteratura come desiderio” (Moretti & Vitali, Bergamo, 2008, pp. 323, euro 18), una densa raccolta di scritti critici sulla letteratura italiana, da poco in libreria.

         Piccini è ormai un nome affermato nel quadro nazionale. Nato nel 1972 a Città di Castello, in Umbria, collaboratore dell’Università Cattolica di Brescia e di quella per Stranieri di Perugia, ha al suo attivo vari volumi, tra cui segnaliamo almeno, per i tipi della Rizzoli, la sua antologia su “La poesia italiana dal 1960 a oggi”.

         “Letteratura come desiderio” contiene pagine edite su riviste di prestigio, come “Poesia” e “ClanDestino”, ma anche inedite, frutto della sua esplorazione del Duecento e del Trecento, ma anche dell’Ottocento, nel quale assume una funzione assolutamente centrale, ed a giusta ragione, Leopardi. Quantitativamente, in ogni caso, prevalgono i contributi sul Novecento, da Pavese a Caproni, da Pasolini a Luzi, fino agli autori ancora in vita.

 

         La prefazione, a firma di Paolo Lagazzi, direttore della collana “I volti di Hermes”, nella quale è stato inserito il volume, illumina lucidamente, secondo l’ottica di Piccini, il destino della letteratura, della poesia, con la sua “speranza d’Altro più forte di tutte le disillusioni, di tutti gli orrori e gli sfaceli del tempo”. E’ un’idea, questa, che Piccini riprende nella sua postfazione, parlando del testo come luogo nel quale si esprime, in modi vari e persino contraddittori, un’aspirazione, un anelito, una speranza, un desiderio, appunto, che connota la letteratura come una “sorta di perpetua e permanente utopia”.

          Sullo sfondo di questa stimolante accezione di desiderio, troviamo un critico dalla grande capacità di analisi, dalla scrittura lucida e insieme tecnica, che non concede nulla alle mode. La critica serba ancora nelle pagine di Piccini la sua necessità. Passione e acribia lo portano a seguire percorsi originali, seguendo, ad esempio, l’evolversi della produzione di Pascoli, poeta “minimo e cosmico”, o le suggestioni esercitate da  Dante, attraverso un suo modulo poetico (“Ne l’ora che...”).

          Critico che richiede attenzione, Piccini sa dare anche delle esaurienti risposte, che coinvolgono in toto le fatidiche domande esistenziali, le problematiche che nascono nell’uomo e nel poeta, di fronte al flusso degli eventi. A tal proposito, segnaliamo lo scritto “Il male e la poesia moderna”, esemplare lezione intorno ad una poesia che partecipa al travaglio del mondo, che “si avventura sui sentieri di una conoscenza né garantita né tanto meno rassicurante, scoprendo il volto della realtà mentre essa si forma, sotto i suoi occhi, terribilmente”.

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