UN VIAGGIATORE MODERNO NELLA NOSTRA PUGLIA

IN AUTOMOBILE PER IL BRULLO TAVOLIERE

 

 

IL SECOLO DELLA VELOCITA’

Il Novecento è il secolo della velocità, dominato dal gusto di superare sempre più i limiti umani. E’ appena il caso di ricordare il celebre manifesto del Futurismo di Marinetti, con il suo salutare ottimismo e il suo dissacrante accostamento tra un’automobile e la Vittoria di Samotracia, e alcune opere di Gabriele d’Annunzio; ma il quadro è più affollato e comprende anche altri nomi meno noti, ma non privi di interesse. Tra questi va incluso senz’altro Carlo Placci, autore di un libro intitolato “In automobile”, che dedica un capitolo alla nostra regione, la Puglia.

         L’opera, apparsa originariamente nel 1908, per i tipi dell’editore milanese Treves, è stata riproposta l’anno scorso in edizione moderna (Carabba, Lanciano, pp. 282, euro 20, a cura di Carlotta Moreni), in una collana di classici diretta da Gianni Oliva.

         Placci è un personaggio sicuramente singolare. Nato a Londra nel 1861, figlio di un banchiere italiano e di una nobildonna di origini messicane, trascorse in Inghilterra i suoi primi anni, per poi trasferirsi a Firenze. Fu ben inserito nel mondo che contava dell’epoca e tra le sue conoscenze ci furono anche vari letterati; collaborò a lungo con il “Corriere della Sera” e con il “Marzocco”, dove appaiono alcuni degli scritti compresi nel libro del 1908. Morì a 80 anni, nel 1941, nel capoluogo toscano, dov’è sepolto.

“In automobile” è un volume di viaggi formato da 18 capitoli, dedicati a zone dell’Italia, ma anche straniere, con accostamenti liberi, per cui si passa dall’Abruzzo alla Normandia, dalla Francia al Trentino e alle Marche. In queste pagine Placci tesse un elogio dell’“automobilismo artistico”, della possibilità, cioè, di sfruttare al meglio il nuovo, rivoluzionario mezzo di locomozione, che permette di avere una conoscenza più estesa ed intensa della realtà.

L’automobile, com’è noto, all’epoca stava muovendo i primi passi e per molti rappresentava qualcosa di misterioso, se non addirittura di diabolico. Da notare che il sostantivo viene ritenuto per lo più di genere maschile, per cui lo stesso Placci scrive “un automobile”, senza articolo. E’ un oggetto che si muove da sé, per riprendere l’etimologia, che rappresenta una tappa importante nella rivoluzione della conoscenza del mondo, come afferma lo scrittore nelle pagine iniziali dell’opera, incluse nel capitolo “Preambolo innanzi di salire in macchina”. “Quel che so- scrive Placci- è che la grande rivoluzione nella maniera di contemplare l’ha iniziata la ferrovia, e la sta proseguendo l’automobile, con un crescendo strepitoso. Ne deriva che, per descrivere, lo stile automobilistico è l’ultimissimo che s’impone, fino al giorno in cui il pallone dirigibile, penetrato nelle abitudini, avrà stabilito una visione distinta e un modo corrispondente per renderla”. 

 

ATTRAVERSANDO IL TAVOLIERE

Il libro, insomma, vuole suggerire al lettore il modo in cui la realtà viene colta stando al volante di un’automobile, adattando di conseguenza la tecnica narrativa e lo stile. In questo modo, Placci sviluppa la novità del suo viaggio, che lo porta a compiere tappe di molti chilometri, seguendo itinerari inconcepibili solo pochi anni prima (proprio nel capitolo sulla Puglia si parla di una media di 200 chilometri al giorno, con 4 o 5 fermate).

Ne deriva che i capitoli sono scritti con una lingua agile, brillante, formando pagine in cui si susseguono visioni, spettacoli, impressioni, sensazioni, dubbi e arguzie, con grande libertà e vivacità. La narrazione non segue più un itinerario ordinato e dettagliato, non si snoda ordinatamente, ma si piega all’estro delle tappe percorse. Tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato, l’accento batte sul primo, sul suo peculiare modo di fruire dei luoghi.

Il colto e poliglotta Placci rende così l’impressione della velocità, dimostrandosi pienamente consapevole della sua operazione letteraria (nel libro, in verità, non mancano delle pagine alquanto estranee al tema, come quelle di “Ricordi algerini”, dove il mezzo di locomozione è la bicicletta).

Il tredicesimo capitolo dell’opera, intitolato “In Puglia”, è senz’altro uno tra i più riusciti. Pubblicato direttamente nel volume trevisiano del 1908, si collega ad un tour automobilistico svolto nel 1906. In quell’occasione, Placci e i suoi amici furono addirittura scambiati per spie straniere, in un primo momento, e nel capitolo trova ampio risalto lo sconcerto dei pugliesi di fronte ai proprietari di un’automobile. Ovunque ci sono monelli che corrono dietro “l’ottomobbile”, finestre e porte che si spalancano, di fronte ad uno spettacolo nuovo (“Si cerca lo spazio, e tutta la popolazione si rovescia nel centro della via principale, per cui non si può più avanzare”).

L’autovettura è una presenza che stona in un mondo arcaico e arretrato, abituato solo agli animali e ai carri. A tal proposito, è molto divertente un episodio legato alla salita di Monte Sant’Angelo. “In due soli muli,- si legge- coperti di finimenti lustranti, trascinano una media di venti persone che gestiscono, cantano, urlano allo stesso tempo”. Tutti si spaventano di fronte all’autovettura, facendo temere qualche pericolosa conseguenza, per via del precipizio sottostante. Per fortuna, però, tutto finisce senza problemi, e così la macchina può procedere per la sua strada, di fronte allo sconcerto dei fedeli, dalle reazioni non sempre evangeliche.

Il mondo tradizionale, con i riti medievali dei pellegrinaggi di maggio, con il suo repertorio di gesti e di tradizioni, si confronta con un simbolo della modernità, che permette di abbreviare notevolmente i tempi di percorrenza. Va anche detto, però, che le condizioni delle strade e la mancanza di arterie dignitose dovevano mettere a dura prova anche gli automobilisti, specie in zone impervie come il Gargano, ma su questo aspetto Placci non indugia particolarmente.

Lo scrittore cita luoghi di tutta la regione, dal Salento alla Capitanata, restando colpito, tra l’altro, dall’aspetto del Tavoliere, arido, vuoto, dove non si incontra anima viva. Proprio qui, per colmo di sventura, Placci è costretto a fermarsi, per lo scoppio di una camera d’aria.

Il paesaggio malarico e desolato lo avvilisce, portandolo a stravolgere il senso delle celebri parole di re Enzo: “Il pensiero di dover tornare a Foggia ci opprime. Non esclamerò mai mai mai col poeta ducentista ‘Puglia Piana…Là dove è lo mio cuore notte e dia…”.

Le ultime pagine del capitolo sono dedicate ai progetti relativi alla costruzione dell’acquedotto pugliese, destinato a cambiare il volto di questa terra. Il progresso è positivo, affascinante, ma porta con sé anche la perdita degli aspetti più peculiari e affascinanti, quasi si dovesse pagare uno scotto. “Un dato grado d’inciviltà possiede dopo tutto le sue seduzioni!”, nota Placci, pensando al contrasto tra la natura vergine e i cambiamenti prodotti dalla modernità (“Terribile dilemma, senza soluzione, e che, a ficcarcisi sopra, fa perdere il sonno…specialmente in una locanda della Puglia!”).

Era un tema che anche altri scrittori dovevano riprendere. In ogni caso, l’acqua arriverà solo molti anni dopo, in pieno Ventennio fascista, preceduta dall’inutile strage della prima guerra mondiale, che sarà fatale anche a tanti pugliesi.

 

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