ACCADDE NEL 1907 IN CAPITANATA

DUE ANNIVERSARI E DUE LIBRI

 

 

LE CELEBRAZIONI CARDUCCIANE DI SAN SEVERO

La Capitanata di un secolo fa era davvero alle prese con molti e gravi problemi; la civiltà contadina era povera e la lotta per la sopravvivenza poneva in primo piano necessità molto più materiali e prosaiche. A stomaco pieno si pensa male, com’è noto, ma a stomaco vuoto è assolutamente impossibile.  Eppure, se guardiamo più da vicino al 1907, ci accorgiamo che ci furono degli avvenimenti culturali che non passarono inosservati.

Ci riferiamo alle celebrazioni per la scomparsa di Giosuè Carducci, che trovarono un notevole risalto anche nella nostra città.

Il Vate della terza Italia, il nostro primo premio Nobel, era scomparso nelle primissime ore del 16 febbraio, ponendo termine alla sua operosa esistenza, fatta di pregevoli raccolte poetiche, di ponderosi studi critici, ma anche di polemiche e di discussioni. La sua scomparsa, però, fu celebrata dall’intera nazione, senza grosse divisioni, e anche a San Severo viene organizzata una manifestazione d’eccezione, che si tiene nel teatro comunale, l’allora Real Borbone.

Come abbiamo ricordato in un saggio compreso nel volume Viaggi letterari nella pianura, i sanseveresi cercarono addirittura di invitare come relatore Giovanni Pascoli, poi, però, fecero cadere la loro scelta su di un giovane e promettente studioso, il prof. Andrea Rapisardi-Mirabelli, nato nel 1883, un siciliano che insegnerà diritto internazionale in vari atenei, e che evidentemente non disdegnava le tematiche letterarie.

Per salvare la memoria della manifestazione, che si tenne il 17 marzo del 1907, a partire dalle ore 16, venne stampato un numero unico, intitolato Nel trigesimo della morte di Giosue Carducci, una cui copia è conservata nella biblioteca comunale, donata a suo tempo dall’avv. Ettore Fraccacreta.

La pubblicazione presenta sulla copertina il nome del direttore responsabile, Lorenzo De Lorenzo, e quello dei quindici collaboratori, riportati in ordine alfabetico, tra cui non mancano nomi  di rilievo, come quelli di Giuseppe Checchia, Erminio Colaneri, Benedetto De Luca, Giuseppe Marchese e Carlo Torelli.

L’organizzatore principale di questa manifestazione è dunque Lorenzo De Lorenzo, che è anche il presidente della Sezione Magistrale, costituitasi da poco in città, ma che mostra già una buona vitalità. Nel comitato, formato da 12 persone, compreso il presidente, sono rappresentate tutte le realtà scolastiche cittadine (il Ginnasio, la Scuola Tecnica e quella Elementare), l’Amministrazione comunale (con l’inclusione dell’assessore alla pubblica istruzione, Domenico Vera) e vari circoli politici.

In particolare, troviamo la massoneria locale, con l’avv. Matteo Croce, i Radicali, con l’avv. Oreste D’Anzeo, i Socialisti, con l’avv. Ernesto Mandes, i Monarchici, con il presidente del Circolo Umberto I, Vincenzo Spinelli, e il rappresentante del Circolo Vittorio Emanuele III, Francesco Mollica.

Inviano, inoltre, una loro rappresentanza alla conferenza, pur non facendo parte del comitato, la Lega dei Contadini, la Cooperativa Falegnami, la Società di Mutuo Soccorso, la Banda Bianca e la Banda Rossa.

Collabora anche il deputato del collegio, il  “bianco” Antonio Masselli, al quale guardavano con simpatia i moderati e i clericali, un medico con la passione per la poesia, concretizzatasi nella pubblicazione di varie sillogi.

 

 

LE BANDIERE DEL REAL BORBONE

Insomma, la manifestazione riesce davvero a trovare tutti concordi e particolarmente felice ci sembra un passo tratto dall’ampio articolo “Commemorazione carducciana”, pubblicato dal periodico locale “Il Vaglio”, il 24 marzo 1907, a firma di Francesco Mollica. Questi descrive il palcoscenico del teatro di San Severo e la varietà di colori che risalta agli occhi dei presenti: “…sullo sfondo della scena, erano ben disposte le numerose bandiere, dalla candida della Banda Bianca, alla fiammante del Circolo Socialista; dalla verde della lega dei contadini alle tricolori dei circoli monarchici”. 

         Alla serata carducciana, va anche detto, presero parte numerose maestre, e dunque l’evento culturale fu considerato importante anche per l’emancipazione femminile.

“La giornata del 17 marzo 1907- si legge nel numero unico- è stata significativa per la nostra città: le donne per la prima volta sono personalmente intervenute ad onorare, insieme con i maestri, l’altissimo Poeta. Per la prima volta esse, mosse dal comune ammirabile sentimento di civiltà e di fede, hanno portato il fecondo contributo nella degnissima festa”.

 Il comitato organizzatore, in verità, è formato da soli uomini, ma l’omaggio al Vate è stato esteso anche alle insegnanti, accomunate dall’ammirazione per il maestro per antonomasia, per riprendere le parole di De Lorenzo nelle pagine introduttive del numero unico.

 D’altra parte, la prima guerra mondiale, che ha segnato un momento importante nell’emancipazione femminile, era ancora di là da venire, soprattutto al Sud, per non parlare del momento in cui le donne avrebbero votato per la prima volta.

 La moglie del prof. Rapisardi-Mirabelli, Anita, non si lascia sfuggire l’occasione per incoraggiare “le insegnanti pugliesi a proseguire ognora nel cammino, che condurrà senza dubbio al risveglio delle donne tutte italiane”.

 Ovviamente, il 1907 è ricco anche di vicende poco lusinghiere. Si segnalano dei forti scontri politici, che culminano nello sciopero del 18 giugno, indetto dalla Lega Contadini per ottenere un salario più alto. Le richieste della Lega vengono accolte, ma la tensione è molto forte e il Comune sarà anche commissariato, dopo le dimissioni del sindaco, espressione del partito dei “Bianchi”.

 

 

DAL TAVOLIERE AL GARGANO

Ritornando alla cultura, va aggiunto che Carducci fu celebrato in vari altri comuni della nostra provincia, come Foggia e Lucera. In ogni caso, il numero unico sanseverese in onore di Carducci, del quale abbiamo appena parlato, fu stampato dalla tipografia di Vincenzo De Girolamo, editore ma anche uomo di cultura, che in questo stesso 1907 pubblica anche un altro volumetto, una silloge di poesie, che è la prima mai pubblicata sul Gargano. Ci riferiamo a I bozzetti dialettali, opera di Giustiniano Serrilli.

 L’autore è un giovane di appena 16 anni, nato a San Marco in Lamis, che dimostra una competenza straordinaria. E’ ancora uno studente liceale, ma ben presto si avvierà ad una prestigiosa carriera, laureandosi in Lettere a Bologna, per poi diventare docente universitario di glottologia. Sembra una vita incanalata su di una strada ben definita, ma ad un certo punto, pare spinto da motivi economici, Serrilli si iscrive a Giurisprudenza ed inizia ad esercitare l’avvocatura.

Come politico, fu uno dei principali esponenti del Ventennio, rivestendo tra l’altro l’incarico di presidente dell’amministrazione provinciale dell’epoca. Forse il merito maggiore, che non gli viene riconosciuto come dovrebbe, per intuibili motivi politici, è quello di aver fondato la Biblioteca Provinciale, l’attuale Magna Capitana, che in un primo momento era dedicata a Gaetano Postiglione.

Un uomo di spicco, insomma, che guarda con attenzione a San Severo, la cittadina che per molti garganici, come hanno scritto, tra gli altri, Alfredo Petrucci e Pasquale Soccio, era un centro d’attrazione di particolare richiamo, una sorta di luogo delle meraviglie, nel cuore della pianura. Di certo, il giovane Serrilli trova qui il suo primo editore, che stampa il volumetto con tutti i crismi.  

E proprio il nome di Soccio, cittadino onorario di San Severo, ci spinge a parlare del centenario della sua nascita.

Era, per la precisione, 1’11 maggio del 1907, quando a San Marco in Lamis la famiglia del fabbro ferraio Francesco Paolo Soccio e della casalinga Angela D’Augelli vedeva aumentare il numero dei suoi componenti.

La cittadina garganica è povera e alle prese con molti problemi, ma non manca di una nota di vitalità, quella stessa che spinge alcuni ad affrontare la sfida dell’America. Di certo, è questo il mondo nel quale il giovane Pasquale si muove, facendo di necessità virtù. La montagna forgia il carattere, lo rende saldo, e lui ne sarà plasmato in modo indelebile, in tutti i sensi.

Partito dalla sua cittadina garganica, Soccio ha lasciato il segno della sua operosità anche nel resto della provincia di Foggia. Si può dire che egli è stato il classico intellettuale del passato che è stato in grado di diventare tutt’uno con il suo orizzonte geografico di riferimento, con quella Capitanata, insomma, alla quale ha dato voce scrivendo ed operando quotidianamente, fino all’ultimo giorno. In questo, egli è stato forse un personaggio irripetibi­le, viste le caratteristiche della nostra epoca, che cerca altrove i suoi maestri, senza guardare troppo per il sottile.

Soccio è l’interprete di una tradizione umanistica ancora attuale, malgrado tutto, che punta su di una cultura mai scissa dai valori umani, sempre attenta a cogliere l’eredità positiva del passato. Di qui le sue pagine sugli scrittori e sugli artisti della nostra terra, di qui la sua attenzione ai viaggiatori che sono transitati dalle nostre parti.

Il Nostro, pertanto, ha saputo rappresentare un faro per il mondo garganico, ma anche per quella Lucera posta nella parte opposta della provincia, alle falde del Subappennino, dove egli ha regnato per tanti anni. Lì era il "suo" liceo. Ma nella sua vita non sono mancate anche le attenzioni per Foggia e il suo oriz­zonte pianeggiante, per San Severo, dov'era di casa.

Questo stretto legame con il territorio non è, si badi bene, un indice di provincialismo, di grettezza di orizzonti, ma, al contrario, è un pregio, una caratteristica pregnante di un uomo che ha offerto sempre il suo contributo alla crescita di una comunità. Per un intellettuale, non si può desiderare di più.

Per questo motivo, il centenario della nascita è un evento rimarchevole, che troverà riscontro in vari luoghi.

Infine, il 1907 è l’anno in cui viene pubblicato Il Gargano di Antonio Beltramelli, uno dei più bei libri di viaggi mai dedicati alla nostra terra. Lo scrittore di Forlì, che deve preparare uno dei volumi della prestigiosa collana Italia artistica, scrive delle pagine che per certi versi sembrano persino profetiche, quando si sofferma sulla pace mistica di San Giovanni Rotondo. Una lettura di questo denso reportage è indispensabile per chiunque voglia saperne di più sulla nostra terra e sui suoi atavici problemi.

L’anno in questione, dunque, per un singolare gioco del caso, offre la possibilità di richiamare alla memoria numerosi eventi culturali, tutti ricchi di insegnamento e di attualità, ad un secolo di distanza.

 

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