IL CANONE DEI FRANCOBOLLI: LA RELAZIONE DI DOMENICO COFANO

 

 

Ringrazio Lino Angiuli per l’affettuosa presentazione e per l’invito a questo incontro; un invito che ho accolto molto volentieri, sia per la stima e l’amicizia che mi legano ormai da tempo a Francesco Giuliani, sia perché il volume si colloca degnamente all’interno di una delle due collane scientifiche che ho promosso nella mia avventura foggiana.

Non pretendo, in questo intervento introduttivo, di percorrere tutti gli itinerari che il libro presenta, ma, per ragioni di chiarezza, e soprattutto perché immagino che gran parte di voi non l’abbia ancora letto, mi limiterò a segnalarne le caratteristiche più evidenti, invitando l’autore a intervenire in qualsiasi momento per correggere o discutere le mie osservazioni, anche per rendere più piacevole la serata.

In primo luogo, non posso fare a meno di dire, senza tema di smentita, che siamo di fronte a un libro prezioso che, ricco di informazioni da scoprire con golosa avidità, facendo convivere competenze letterarie e competenze filateliche, non solo traccia una storia dei rapporti fra letteratura e filatelia, ma, al tempo stesso, disegna una sorta di storia della vita politica e sociale della nazione per quel che si riflette nelle emissioni filateliche, delle quali Giuliani parla con assoluta padronanza, immettendoci nella loro specifica terminologia, ma anche illustrandone le vicende e i rapporti con i disegnatori e gli artisti di riferimento.

Dal mio punto di vista, noto con piacere che, nella successione dei capitoli, quella che viene a profilarsi con maggiore evidenza è la storia della fortuna e della ricezione di Dante, ripercorsa con grande equilibrio e con ammirevole diligenza, oltre che con un dovizioso supporto di dati. In tal modo il volume di Francesco Giuliani viene a completare il quadro, che si è fatto sempre più ricco e articolato, negli ultimi decenni, della riscrittura contemporanea di Dante nella poesia e nel teatro, nella narrativa, negli spettacoli musicali, e persino nel fumetto.

Se, dunque, a questo riguardo, la bibliografia è ormai cospicua e autorevole - e proprio Daniele Pegorari ne è autorevole protagonista -, non esisteva però, finora, che io sappia, tranne un recente contributo di Luciano Calenda, che però riguarda esclusivamente Dante, un lavoro che indagasse più complessivamente la presenza dei letterati - ma non mancano considerazioni sugli artisti e sugli scienziati, e sulle loro diverse percentuali di presenza - nel mondo affascinante dei francobolli.

Il lavoro è tanto più prezioso quanto più corre il rischio di risultare una documentazione a futura memoria, visto che, come ci ricorda lo stesso Giuliani, dei francobolli si fa un uso sempre minore a causa dell’avanzata della comunicazione di massa, e, anche quando se ne fa uso, si ricorre prevalentemente alle icone del mondo massmediale.

Ma la ricerca di Giuliani non produce solo questo risultato, perché, in senso inverso, a guardar bene, il percorso della ricezione nel mondo dei francobolli ci aiuta anche a intendere meglio gli autori, in quanto, ormai lo sappiamo bene, la storia degli autori è anche la storia della loro interpretazione. Una interpretazione che molto spesso coglie aspetti trascurati e marginali, che ad un certo punto della vicenda critica assumono un tale rilievo da conferire una nuova dimensione al personaggio, anche se, altrettanto spesso corre il rischio di travisare o tradire la sostanza autentica dei personaggi, o, addirittura, di falsificarne i dati storici, come avviene, se non ricordo male, in alcune emissioni relative ad Ovidio e a Cicerone.

Di questo pericolo Giuliani potrà fornirci, se lo riterrà opportuno, qualche esempio significativo.

Tornando a Dante, è da rilevare come il lavoro di Giuliani colga e sottolinei l’intensità e la persistenza delle emissioni che lo riguardano.

È un dato scontato quello di cui la ricognizione filatelica ci fa rendere conto: Dante, infatti, non solo costituisce, per la sua autorevolezza, un viatico speciale per il mondo nuovo della filatelia, non solo è una figura che si radica facilmente nell’immaginario collettivo per la sua estrema riconoscibilità, ma è anche, e soprattutto, un simbolo di italianità, a tal punto che Mazzini poteva concludere che Dante da solo sarebbe bastevole per il decoro dell ’Italia e per lo splendore della vasta letteratura italiana.

Che Dante assurga a simbolo dell’italianità non ci sorprende. Egli, infatti, è ormai assodato, è un mito condiviso; è il padre della patria, dell’identità nazionale; un mito consacrato nell’età risorgimentale, ma costantemente rianimato fino ai giorni nostri.

Di mito, in effetti, si deve parlare, se già nel 1860, prima ancora della proclamazione del Regno d’Italia, la Commedia venne ad avere un ruolo centrale nei programmi scolastici, per i quali l’insegnamento letterario doveva mirare a dare ai giovani «un battesimo d’italianità», per farli uscire dalla scuola, come si proclamava, «innamorati della nostra letteratura e della nostra lingua, per le quali, anche nella sorte più infelice, avemmo parte alla civiltà e serbammo dignità di nazione».

Dante, insomma, a partire da quella data, assurge a eroe ideale della nazione. E ancora oggi è, accanto a Shakespeare, l’autore più studiato al mondo: pensate che cinquantanove milioni di pagine web riportano il suo nome; che ogni giorno trenta pubblicazioni gli sono dedicate nel mondo; che le imitazioni e le riscritture del suo poema affollano le nostre librerie.

Non meraviglia, perciò, che, dopo aver impresso il suo volto sulle monete e sulle banconote, dopo aver dato il nome alle vie, alle piazze e alle scuole di ogni parte d’Italia, dopo aver ispirato i più svariati monumenti, dopo essere stato rappresentato dai pittori delle varie generazioni, Dante abbia invaso il mondo della filatelia.

Una curiosità, infine, fuori scaletta, mi sia infine consentita, a questo proposito. Francesco ci dà notizia, nel libro, di un’effigie del poeta tratta dall’affresco della Disputa del Sacramento di Raffaello. Ebbene, di recente, occupandomi della ricezione di Dante in territorio cattolico, mi sono reso conto che proprio da quell’affresco Frédéric Ozanam, uno studioso francese dell’Ottocento, trasse il primo impulso per i suoi studi sui rapporti fra Dante e la filosofia del suo tempo.

È anche quella della filatelia, dunque, una tappa del lungo e ininterrotto processo di attualizzazione, o strumentalizzazione, cui Dante, nel corso del tempo, è stato sottoposto dai suoi lettori, che hanno visto in lui ciò che hanno voluto vedere. A tal punto che, addirittura, al principio del secolo scorso, è stato spesso evocato per avvalorare le ragioni della prima guerra mondiale.

Di questa strumentalizzazione di questa necessità che gli uomini di ogni tempo hanno avuto di puntellare, con un punto di riferimento così alto, i loro gusti estetici, le loro scelte ideologiche, i loro convincimenti politici, Giuliani ci fornisce così una godibilissima campionatura, che può tornare utile, a mio parere, anche sul piano didattico, per vari scopi, ma soprattutto per illustrare, volendo, i vari modi, anche attraverso i francobolli, del ‘riuso’ degli autori, e anche le ragioni della parziale o alterna fortuna di alcuni autori. Carducci, per esempio, vede rispecchiate nelle emissioni filateliche il tracollo e poi la ripresa della sua fama, allo stesso modo dell'Ariosto, che in una emissione del ’32 viene ringiovanito perché possa meglio corrispondere alla rinnovata interpretazione della sua poesia come poesia della fantasia e dell’armonia rinascimentale. Pirandello, poi, viene circoscritto nella dimensione di drammaturgo, con un’evidente sottovalutazione del romanziere.

Ancora più eloquente la parabola di D’Annunzio, che vede progressivamente prevalere lo scrittore e l’uomo di cultura sul superuomo dell’avventura fiumana, in cui prima era stato canonizzato.

Mussolini, dal canto suo, utilizza a proprio favore i riferimenti retorici al Risorgimento, visto come un processo che trova il suo coronamento proprio nel nuovo regime, e mostra, così, una chiara consapevolezza dell’importanza del francobollo come strumento politico.

Non per caso, dunque, nel Ventennio, predomina, in ambito filatelico, il culto della romanità, che esalta la presunta continuità fra il fascismo e il glorioso passato della romanità, appunto, le cui figure più insigni vengono enfaticamente celebrate, così come vengono celebrati gli uomini di genio italiani, visti come modelli di un’eccellenza che, ci dice Giuliani, vedono insita nelle fibre della nostra indole. Da una parte, quindi, Marconi, Pacinotti, Volta, Galilei, Leonardo da Vinci, che, in quanto padre del volo, viene visto come il garante dell’eccellenza italiana nell’ambito aeronautico, dall’altra, insieme alla nazionalistica celebrazione dei simboli più eloquenti dell’italianità, i massimi scrittori latini, in particolare Virgilio, Orazio e Livio.

Su tutti, però, prevale sempre Dante, caricato, in questa fase, di valenze irredentistiche e nazionalistiche e rivissuto in quegli impulsi di passione civile, di propositi di riscatto e di sollecitazioni all’unità e all’indipendenza che avevano animato i tempi fervidi del nostro Risorgimento: se nella serie del 28 settembre 1921, nel primo francobollo, in riferimento al suo primato nella letteratura italiana, vediamo il poeta raffigurato come «un’aquila che sopra gli altri vola», nel valore di 25 centesimi, che rappresenta una donna coronata, seduta davanti alla bandiera nazionale, con la Commedia nella mano destra, abbiamo una chiara allusione alla rivendicazione dell’italianità di Trento, Trieste e delle zone limitrofe.

Ma non è che sempre prevalga la tendenza alla strumentalizzazione; spesso, anzi, nella iconografia dei francobolli, si può cogliere una sostanziale, per quanto sintetica ed essenziale, comprensione della identità umana e letteraria degli autori rappresentati. È quel che avviene in alcuni ritratti - penso a quelli dell'Alfieri e del Leopardi - e un’emissione manzoniana del 1923, che rivela un singolare rispetto della popolarità dei Promessi sposi. Nel caso, infine, di due valori che, nello stesso anno, vogliono ufficialmente celebrare il cinquantenario della morte dello scrittore, il senso dell’emissione è ancora più pregnante, perché, secondo le prospettive della classe dirigente dell’epoca, contro le riserve di chi lo considera un rappresentante della restaurazione cattolica, mira, abbastanza correttamente, a riportarlo nell’alveo della stagione risorgimentale e a vedere in lui un autore che «ha richiamato il popolo alle proprie responsabilità di fronte alle istituzioni e ai valori».

Osserva opportunamente Giuliani che «tutte le svolte politiche» hanno trovato un significativo riscontro in filatelia. E così dopo la caduta del fascismo, abbiamo le serie cosiddette ‘fondanti’, che mirano a «diffondere i valori della ritrovata e rinnovata democrazia», e nelle quali viene ridimensionata la presenza degli scrittori e prendono rilievo, invece, gli emblemi dell’impegno civile e della lotta politica.

Le fazioni, a un certo punto, sono così battagliere e motivate da far esplodere dei veri e propri contenziosi, come avviene per la vicenda di Concetto Marchesi, alla celebrazione del quale risponde quella di Ettore Paratore, latinista eccelso, al pari di lui, ma di ben diversa collocazione politica e ideologica.

Un merito fondamentale del lavoro di Giuliani è, dunque, quello della storicizzazione delle emissioni; non un catalogo indiscriminato, quindi, ma un percorso che considera attentamente le ragioni storiche, sociali e politiche che nel corso del tempo indirizzano le scelte filateliche e le occasioni e le istituzioni, che le determinano, prima fra tutte la Dante Alighieri, la prestigiosa società che assolve con grande impegno alla salvaguardia e alla diffusione della lingua italiana nel mondo.

Lo sguardo, peraltro, si rivolge anche, penetrandone quasi sempre le motivazioni, alla presenza degli scrittori stranieri e ai protagonisti di altri ambiti artistici.

A questo indubbio se ne aggiunge un altro, se si tiene nel debito conto che l’indagine non si limita all’orizzonte italiano, ma si estende anche, cogliendone e spiegandone le differenze, alla Repubblica di San Marino e alla Città del Vaticano, due stati che, per ragioni diverse, hanno una vocazione più ecumenica e universale, e nel caso di quello vaticano, una inevitabile e peculiare caratterizzazione.

Che Giuliani si muova con ammirevole coscienza metodologica è dimostrato anche da una serie di importanti considerazioni che sparge nel corso della sua limpida trattazione. Mi limito a segnalarne due.

La prima è quella di p. 8 dell’Introduzione, quando Giuliani sostiene che le «emissioni filateliche hanno rappresentato per quasi un secolo un riflesso significativo della fama e della considerazione degli scrittori, in generale, e dei singoli autori, in particolare, sia quando se ne parla, sia quando non se ne parla».

La seconda è quella relativa al capitolo sul canone del Novecento, in cui Giuliani mette a confronto la fortuna filatelica degli scrittori contemporanei con i valori codificati dei manuali di storia letteraria, evidenziando, per esempio, come, il quadro delle emissioni favorisca la conoscenza di autori piuttosto marginalizzati, come Guareschi, o Flaiano, o Landolfi, non corrispondendo spesso, in effetti, alle graduatorie della critica accademica: se, infatti, non si può contestare la presenza, nei due ambiti, di Montale, non si spiega la celebrazione di Quasimodo, ormai piuttosto retrocesso nella considerazione critica, tanto più se la si rapporta all’assenza di Ungaretti. Un’altra delle tante assenze impreviste è quella di un autore assai caro a Lino, Guido Gozzano, sul cui ruolo nella fondazione della lirica novecentesca non è proprio il caso di insistere.

Allo stesso modo ci incuriosisce e sorprende, in una serie del ’32, Pro Società «Dante Alighieri», a fronte della presenza, alquanto sorprendente, di Carlo Botta, e, per certi versi di Paolo Sarpi, l’assenza di Guicciardini.

Un caso a parte è quello della tardiva comparsa di Giovanni Pascoli, che ha varie ragioni, e che comunque recupera velocemente il tempo perduto.

Da segnalare anche l’assenza degli autori dialettali, tranne il Belli. Ma, ovviamente, questo elemento rientra nel quadro del più complesso rapporto fra letteratura e dialetto, appunto, a proposito del quale sono stati versati fiumi d’inchiostro e intorno al quale solo ora cominciano a chiarirsi veramente le idee.

Allo stesso modo, in un più complessivo quadro di riferimento rientrano le presenze femminili, che nell’ambito della filatelia sono piuttosto scarse (solo la Serao, la Deledda, ed Eleonora Fonseca Pimentel), come in tutti gli altri ambiti, non perché si fosse dell’idea di Traiano Boccalini, per il quale alle donne più si addicono l’arco e il fuso, o perché non si fosse ancora affermato il principio delle quote rosa, ma perché rappresentano lo specchio fedele di una società in cui la donna è ancora relegata in un ruolo subalterno e marginale.

Utile e preziosa, infine, la riproduzione, nell’ultima parte del volume, dei francobolli di cui si parla e ai quali nel corpo del testo si rimanda, sicché riusciamo ad avere un’immediata evidenza delle spiegazioni e delle interpretazioni che vengono proposte.

Un ultimo pregio che desidero segnalare è quello della chiarezza della scrittura di Giuliani che, senza nulla sacrificare della scientificità dell’indagine, si preoccupa però di confezionare un prodotto capace di raggiungere un pubblico ampio, giovando non poco, in questa maniera, alla consapevolezza dei filatelici, ma anche al rilancio e alla promozione di un patrimonio prezioso.

Non è un merito da poco, anzi è una risposta, in termini moderni e comprensibili, alla pratica diseducativa di chi ci ha fatto credere che l’anticaglia della letteratura non ha una funzionalità immediata e, dunque, è sostanzialmente inutile, laddove, invece contro la logica dell’impresa, proprio la formazione della personalità dovrebbe essere al centro di ogni progetto educativo. Insomma, la poesia, la letteratura, l’arte e la musica non sono un orpello superfluo, perché, anzi, come diceva Vittorini, e come ci fa intendere ora Nuccio Ordine nel suo magnifico libro su L‘utilità dell'inuitile, la cultura è la forza che scopre nel mondo le esigenze di mutamento e ne dà coscienza al mondo.

Anche di questo dobbiamo essere grati a Francesco Giuliani.

Bari, 24 aprile 2014

DOMENICO COFANO, Univ. di Foggia      ©

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