ANGELO RUSSI E I SUOI "SAGGI DI STORIA DELLA STORIOGRAFIA MERIDIONALE"
Oggi l’idea di un’Europa indifferenziata e senza volto, paradiso della globalizzazione, è stata decisamente e fortunatamente abbandonata. A tutti appare ormai sempre più chiaro che questa grande costruzione politica non potrà che esistere in un equilibrato rapporto con le sue parti, con le sue componenti territoriali. Nel nuovo panorama geografico, ogni regione porterà le sue peculiarità, il suo bagaglio di tradizioni e di civiltà, e questo vale anche per il Meridione d’Italia, chiamato a riscoprire il suo orgoglio e i suoi valori positivi.
Questo concetto è alla base di un volume appena giunto in libreria, scritto da Angelo Russi, Saggi di storia della storiografia meridionale (Quaderni della Fondazione Ignazio Silone, L’Aquila, pp. 289, euro 20).
L’autore è nato a San Severo e da molti anni è docente ordinario di Storia Romana all’Università de L’Aquila, dove è direttore di dipartimento, ma ha una cattedra anche a Roma, presso la Libera Università Maria SS. Assunta. Al suo attivo ha oltre 300 pubblicazioni, per lo più, com’è ovvio, dedicate allo studio del mondo antico, con contributi fondamentali, ad esempio, su Teanum Apulum e su altre località pugliesi.
Russi è il classico studioso universitario concentrato sulla sua materia e sul mondo accademico, il che lo rende conosciutissimo e stimatissimo in ambito universitario, mentre lo è meno al grande pubblico. Anche il testo in questione ha un titolo austero, poco disposto a catturare l’attenzione del lettore medio, ma chi supera l’impatto di iniziale diffidenza si trova di fronte ad una serie di saggi scritti con una lingua chiara e precisa, in cui le argomentazioni seguono una strada rettilinea e solare, giungendo a conclusioni che lasciano poco spazio ai dubbi.
I sette saggi sono in parte inediti, in parte vengono ripresi ed attualizzati da altre pubblicazioni. Tutti, però, mirano ad un obiettivo di certo condivisibile, ossia quello di eliminare ogni pregiudizio negativo, ogni complesso di inferiorità sulla produzione storica ed intellettuale meridionale. Il lettore, insomma, è aiutato a “rinsaldare la piena consapevolezza che il futuro del Meridione non può prescindere in alcun modo dal suo passato, ponendosi in una posizione di completamento e di aggiustamento rispetto ad esso, in un più ampio e rinnovato orizzonte: italiano, europeo, mediterraneo”.
Parole che suonano per noi come un invito a nozze, di fronte a certi stupidi atteggiamenti che animano anche alcuni uomini di cultura del Sud, quasi che interessarsi del Veneto, del Piemonte o della Toscana, ad esempio, sia una scelta di per sé preferibile rispetto a chi preferisce studiare le regioni meridionali. Ma il segreto è nell’equilibrio, ribadisce Russi, e fa bene, sperando che la goccia finisca per cavare la roccia, prima o poi.
Il primo saggio in ordine cronologico riguarda la città natale dell’autore, Tra mitologia e storiografia: il problema delle origini di San Severo. E’ un’ampia trattazione in cui si pongono dei punti fermi intorno ad alcune vecchie leggende sull’origine della città, che in passato si sarebbe chiamata Castrum Drionis, interpretando liberamente un passo di Strabone, in cui si parla di “un’altura della Daunia, il cui nome è Drion”. Su questo passo, nei secoli si sono sprecate le interpretazioni e le localizzazioni.
Russi, riconoscendo che la questione resta sostanzialmente irrisolta, pone in primo piano l’importanza di un’operetta di Cristoforo Scanello, detto il Cieco da Forlì, un’abile verseggiatore, che nel 1575 ha identificato senza esitazione San Severo con l’antica Drion, con una discutibile operazione, chiamando gratuitamente in causa Diomede e il vescovo Lorenzo Maiorano.
Una leggenda che ancora qualche decennio fa veniva difesa a spada tratta da alcuni studiosi locali, proprio nei confronti del giovane Russi. Era l’estrema reazione di chi non si rassegnava a ritenere San Severo un centro nato nel Medioevo e non al tempo degli antichi greci e romani. Cieco da Forlì era stato generoso con San Severo e gli storici gliene erano stati grati, citandolo a più riprese, ma la verità è un’altra.
In questo modo, dunque, uno degli aspetti della complessa questione legata alle origini della città dell’Alto Tavoliere sembra chiarito una volta per tutte; speriamo che si possa presto dire lo stesso anche per gli altri punti irrisolti.
Tra gli scritti del volume segnaliamo per la sua rilevanza Benedetto Croce e gli studi di storia del Meridione, in cui Russi, parlando di Bartolomeo Capasso, padre della storiografia napoletana, rimarca la svalutazione degli studi pre-unitari realizzati nel Sud, un fenomeno avvenuto all’indomani dell’unità d’Italia, quando sembrava quasi un delitto occuparsi dei Borboni, delle istituzioni napoletane, di tutto ciò che aveva a che fare con il vecchio regime.
Una svalutazione nella quale ha avuto magna pars proprio Benedetto Croce con i suoi giudizi e i suoi scritti, creando un forte stacco tra il prima e il dopo e dando un senso sempre più negativo a termini come “municipalistico”.
L’operazione di Russi, mostrando i limiti di questa concezione, rivaluta un personaggio come Bartolomeo Capasso, ma anche altri grandi studiosi come lui, tra i quali noteremo un personaggio come il pugliese Agostino Gervasio, di cui si esamina, in un altro saggio, il rapporto-scontro con l’ombroso Theodor Mommsen, che nel 1852 aveva pubblicato un fondamentale lavoro sulle iscrizioni latine, ma che nelle sue lettere rivela dei lati del carattere poco nobili.
Le pagine sparse di Angelo Russi, nel complesso, si legano molto bene tra di sé, offrendo un prezioso servizio alla verità storica. Utile è sembrata l’inserzione, nel testo, di varie illustrazioni, dedicate a personaggi e documenti, spostando le ampie ed accademiche note in coda ai rispettivi capitoli.