ANGELO RUSSI, UN OMAGGIO DI CLASSE ALLA CITTA' NATALE
SAN SEVERO TRA STORIA E MEMORIA
Possiamo dire di aver conosciuto davvero Angelo Russi una decina di anni fa. In
precedenza, come tanti, avevamo sentito parlare di lui per la sua brillante
carriera universitaria, che lo ha portato in cattedra molto giovane, e senza
baroni o tessere più o meno legali, per i suoi severi e impeccabili studi
storici, per la sua condotta inattaccabile. Era già, come lo è ancora, un
biglietto di presentazione per la città, da spendere anche a livello nazionale.
Poi, un giorno, abbiamo ricevuto una sua lettera, nella quale ci parlava del suo
rapporto con San Severo, senza nascondere dei toni commossi. Per noi fu una
graditissima sorpresa, la scoperta di un intellettuale che continuava a sognare
i luoghi della sua città, che trasferiva i volti romani o abruzzesi in qualche
vicolo del centro storico sanseverese, che, soprattutto, si sentiva in colpa per
non avere più una propria abitazione in terra dauna.
Ma c’era anche dell’altro, visto che Russi rivelava il suo rammarico per essere
talvolta passato in treno per San Severo senza fermarsi, seguendo un itinerario
nel quale la partenza e la destinazione erano diverse. Una colpa grave, per noi
sanseveresi nostalgici dei tempi in cui tutti i treni si fermavano a «San
Severo, stazione di San Severo», e lui ne era perfettamente consapevole.
Ora, rileggendo i suoi scritti, opportunamente raccolti in un unico volume, frutto di un certosino lavoro di cernita e di controllo, ritroviamo quelle parole e quei sentimenti, resi come di pubblico dominio, e possiamo testimoniare dello stato d’animo da cui nascono, della sincerità che riempie il flatus vocis del verbum, come a voler fissare il momento, a dargli una più solida consistenza, a futura memoria.
La dedica alle due figlie romane di Angelo Russi, poi, ci ha ricordato quella, per molti versi simile, per felice coincidenza, del garganico Michele Vocino, un altro grande intellettuale della nostra terra. Nel suo classico volume del 1914, Lo Sperone d’Italia, Vocino si rivolgeva al figlio, invitandolo a conoscere e ad amare, pur romano di nascita, la dolce terra degli avi.
La labilità dell’esistenza, il fluire dei giorni e il distacco, lento ma inesorabile, dalle radici, che continua ancor più velocemente nelle nuove generazioni, si confrontano con i sogni, i desideri e le necessità del nostro essere uomini, con il nostro umanissimo bisogno di stabilità, di ancorare i giorni in qualche parte dell’universo, che è, poi, il luogo natale.
C’è sempre un punto fermo per noi, anche se sappiamo che non c’è o non c’è più, e da questa vitale contraddizione è nata tantissima poesia, ma per avvertirla, per vivificarla in noi c’è bisogno di un animo sensibile e sincero.
Seguendo questa strada, Russi si è ritrovato accanto ad altri degnissimi personaggi della nostra terra, come Angelo Fraccacreta, ad esempio, che sono andati via per seguire la carriera universitaria, ma sono rimasti sempre legatissimi alle proprie radici, programmando anche l’ultimo e definitivo ritorno, per non sentirsi troppo soli.
Per entrambi possiamo parlare di un distacco-non distacco, che fa onore e che è agli antipodi del congedo spocchioso di chi preferisce un sobborgo milanese, di chi nasconde perfino le proprie origini, imparando le cantilene dei dialetti settentrionali. Miserie umane che cozzano con lo stato d’animo di chi ama l’ombra del proprio campanile, pur sapendo che il mondo è grande e invitante, e offre sfide a cui non ci si può sottrarre.
Il libro di Russi nasce, dunque, da questo retroterra
sentimentale e ideale. Intendiamoci: non c’è bisogno di essere tanto legati
all’oggetto dei propri studi e l’eccessivo amore può perfino essere dannoso, se
porta al municipalismo e fa dimenticare il senso delle proporzioni, se trasforma
uno scrittore mediocre, ad esempio, in un novello Verga. Ma se, come nel caso
del nostro Autore, questo retroterra diventa come un lievito, come una fresca
vena d’alta quota, allora il guadagno in termini scientifici diventa evidente e
tangibile. Come che sia, non si può restare freddi ed impassibili di fronte ad
un documento, ad un argomento, ad un foglio da riempire.
Russi ritiene un dovere quello di adoperare una parte dei propri talenti nello
studio del loco natio, ed ha perfettamente ragione. Se i figli si sottraggono,
gli estranei si sentiranno ancor più incentivati a trascurare quella realtà, con
il risultato di offrire un’immagine del tutto sbagliata o superficiale. Certe
discriminazioni sono alimentate anche da certi sciocchi pregiudizi, che portano
a ritenere alcuni argomenti di per sé più meritevoli di studio rispetto ad
altri. Portando alle sue estreme conclusioni questo pseudo-ragionamento, è
meglio interessarsi di una località del Nord o straniera, comunque lontana,
rispetto a San Severo e al suo circondario, alimentando l’idea di una nazione
bipartita, nella quale il Meridione fa la parte della Cenerentola senza
riscatto.
Per fortuna Russi lavora da sempre anche per equilibrare i due proverbiali
piatti della bilancia, con saggi dalla lucida razionalità, ma anche vivificati
dall’amore per l’argomento e dalla passione civile. Di qui, ad esempio, la sua
partecipazione a convegni e manifestazioni culturali tenutisi a San Severo, che
hanno lasciato traccia nel materiale raccolto nel volume in questione, ma anche
il suo impegno contro una sconcertante iniziativa pseudo-storica, che tendeva a
celebrare, addirittura con il pubblico patrocinio, chi aveva privato San Severo
della libertà, facendola cadere nelle grinfie secolari di una famiglia feudale.
Un paradosso che avrebbe fatto la gioia di Pirandello, ma che ha gridato
vendetta in chi ama la propria città e il suo bagaglio culturale.
La verità è che la storia è una materia troppo importante per essere lasciata a
chicchessia, e la faciloneria e il culto dell’apparenza dei giorni nostri
svolgono una funzione deleteria. Motivo in più, questo, per ristabilire la
verità e per apprezzare la solida competenza di un esperto docente
universitario.
Ma osserviamo più da vicino gli studi raccolti in questo volume,
San Severo fra storia e memoria, in
cui è resa esplicita l’idea di un coinvolgimento diretto, che opera a più
livelli, coinvolgendo il luogo natale, la propria famiglia e la propria persona.
Le date parlano di un impegno che attraversa quasi mezzo secolo, con degli
studiati ritorni a temi della massima rilevanza storiografica. Pensiamo, in
particolare, agli studi sulla vexata
quaestio delle origini di San Severo.
Ancora qualche decennio fa si dava credito ad alcune leggende tendenti a
retrodatare la nascita della città, fino all’epoca classica. Il retaggio
umanistico, si sa, portava a ritenere quasi una vergogna la nascita di una
località in epoca medievale, e di qui una serie di belle invenzioni, prese a
lungo sul serio da storici o apprendisti storici locali. Russi ha utilizzato il
suo bagaglio di docente di storia romana, e in generale di classicista, per
spazzare definitivamente il campo da tante invenzioni più o meno interessate,
evidenziando il ruolo svolto in quest’ambito da un personaggio come Cristoforo
Scanello, detto il Cieco da Forlì,
nella sua Cronica Universale, edita
nel 1575.
Si tratta, tra l’altro, dello stesso volume, pubblicato in edizione critica da
Russi e da Fabio Carboni, nel 2011, il che dimostra, tra l’altro, come
l’interesse per San Severo rientri a pieno titolo nel solco dei suoi percorsi di
studio e di ricerca.
Altre volte è il caso a fornire l’occasione galeotta per parlare di San Severo.
Ci riferiamo, in particolare, all’esemplare saggio
Giobbe Ruocco a San Severo (1922-1926),
datato 2009.
Ruocco, singolare e interessante figura di sacerdote e studioso, è nato a Capri
nel 1879 e in apparenza non ha nulla che lo leghi alla Capitanata, ma poi si
scopre che nel 1922 il sacerdote, nel frattempo laureatosi in Lettere, viene
inviato proprio a San Severo, nella locale Regia Scuola Tecnica e Complementare,
intitolata a Michele Zannotti.
Qui avviene l’episodio forse più doloroso della sua esistenza, che gli costa la
sospensione e poi addirittura l’allontanamento definitivo dal servizio, fino al
1944, dopo la caduta del regime fascista.
Ruocco aveva contestato il testo di una «Preghiera della Mattina», composta dal
direttore della scuola, Giuseppe Pezzano, ritenendola contraria allo spirito
della Chiesa. Il testo della preghiera, però, era stato accettato dal vescovo
della diocesi sanseverese, mons. Oronzo Durante, e don Giobbe, carattere fiero e
spigoloso, vicino al Partito Popolare di Sturzo, pagò a caro prezzo l’atto di
insubordinazione.
Russi da par suo ricostruisce un frammento di storia sanseverese, che però ha
una valenza generale, mostrando la complessità dei rapporti tra Chiesa Cattolica
e Fascismo, spesso in attrito sul tema dell’educazione dei giovani.
Le vie della storia, insomma, come quelle del Signore, sono infinite e passano
da San Severo, nel bene come nel male.
C’è poi un altro filone seguito dall’Autore, quello che si lega alle proprie
radici familiari, rappresentato tra l’altro dalle
Note biografiche sul pittore Angelo Russi
(1828-1888) e sui suoi figli (Luigi, Leonardo e Costantino Michelangelo).
Anni fa il classicista sanseverese diede alle stampe un volumetto abbellito dai
ritratti realizzati da alcuni suoi avi, dall’inconfondibile sapore borghese e
ottocentesco, che si affiancavano ai dati d’archivio con i quali veniva
riesumata una bella pagina artistica del passato sanseverese. Un’altra prova, se
ce ne fosse bisogno, di quanta messe
ci sia per gli operai competenti e
volenterosi.
Lo stame familiare ha portato Russi anche ad interessarsi delle vicende della
prima guerra mondiale e dei suoi tanti caduti locali, oggetto di una meticolosa
ricerca destinata prima o poi ad aggiungersi alle pagine riunite in questo
volume.
Il filo con il passato diventa talvolta così stretto, da trasformarsi in
memoria, come del resto ci ricorda il titolo del libro. Di qui, in particolare,
il Ricordo del mio maestro, che è poi
Pasquale Iantoschi, insegnante e primo cittadino di San Severo negli anni
Sessanta, in un periodo particolarmente delicato per lo sviluppo edilizio della
città.
Russi, da ex primo della classe, omaggia in questo modo il suo vecchio maestro,
ma anche tutti i bravi docenti del passato e di oggi, così poco considerati e
valorizzati, a dispetto della loro importanza nella formazione umana e culturale
delle persone. Anche da queste pagine, così apparentemente personali, c’è molto
da apprendere, specie da qualche episodio che ha un vago sapore da libro
Cuore (e il libro non viene citato
per ironizzare!).
Il giovane Angelo sostiene l’esame da privatista per accedere alle scuole medie
e un giorno decide di andare a trovare il suo ormai ex maestro e i suoi ex
compagni. Di qui un passo che è bene evidenziare con le parole dello stesso
Autore: «La mia ex-classe si era dovuta trasferire nel frattempo dalle
Benedettine all’Edificio scolastico “Edmondo De Amicis” e fu lì ch’io mi recai.
Sulle prime i bidelli all’ingresso non volevano farmi entrare; saputo, poi, il
motivo della visita, si decisero a farmi passare. Così potei riabbracciare
commosso il mio maestro tra le grida e le espressioni di gioia dei miei ormai
ex-compagni. Fu allora che mi ricordai che una scena simile io l’avevo già
vista. Si era verificata proprio nei primi giorni di scuola con il maestro
Iantoschi. Anche allora un suo ex-alunno era venuto a salutarlo per
riaffermargli tutto il suo affetto e la sua gratitudine. In quell’occasione non
avevo saputo cogliere a pieno il significato di quell’avvenimento. Lo avrei
capito bene nel momento in cui ne sarei stato io stesso protagonista».
Il valore di una testimonianza è uno stimolo profondo per gli alunni, specie per
chi, come Russi, seguirà le sue orme, occupandosi di alunni più cresciuti, ma
pur sempre bisognosi di modelli e di esempi.
Potremmo aggiungere ancora altre considerazioni ad un volume come questo, ma a
questo punto è bene lasciare al Lettore il piacere della scoperta e della
conoscenza.
Di certo, questo volume merita, per molti motivi, alcuni dei quali abbiamo
provato a evidenziare, la massima considerazione e la massima attenzione.
Lo studioso e l’innamorato della propria città si sono uniti in questo libro
come le due facce della stessa medaglia; e si tratta di una medaglia preziosa.
Lo scritto costituisce la Prefazione del volume di Russi, a firma nostra (pp. 1-4)