ALLA "DANTE ALIGHIERI" DI BRINDISI
"ANDREA PAZIENZA TRA FUMETTO E LETTERATURA ITALIANA"
C’è ancora bisogno di rivendicare la pugliesità di Andrea
Pazienza e in che cosa consiste? Questa duplice domanda ha rappresentato il
punto di partenza dell’incontro tenutosi lo scorso 28 ottobre a Brindisi,
organizzato dalla locale sezione della Società Dante Alighieri, presieduta da
Ettore Catalano, ordinario di Letteratura Italiana nell’Ateneo di Lecce. Il tema
era, per la precisione, "Andrea Pazienza tra fumetto e letteratura italiana".
A rispondere, sono stati chiamati, l'italianista Francesco Giuliani, Enrico Fraccacreta, autore del libro “Il giovane Pazienza”, e Antonello Vigliaroli, che al disegnatore ha dedicato la sua tesi di laurea, qualche anno fa, trovando una collaborazione inaspettata e autorevole in Roberto Benigni, che gli ha concesso un’intervista.
Il tema è apparso tanto coinvolgente, da allargarsi al rapporto tra Nord e Sud, finendo per trasformarsi in un caso significativo, dalle molteplici implicazioni.
La pugliesità di Pazienza è stata negata a più riprese da quanti hanno pensato di riassumere, attraverso quattro luoghi significativi, la geografia di un’esistenza. I luoghi in questione sono San Benedetto del Tronto, dove il disegnatore è nato, Pescara e Bologna, dove ha studiato ed operato, e Montepulciano, dove si è prematuramente spento. Nessuno di questi luoghi, però, rientra nel Sud e rende ragione di un talento derivato geneticamente dall’estro pittorico del padre, il professore di disegno Enrico, sanseveresissimo.
Con Pazienza si è riproposta la vecchia questione del vero luogo di nascita. Se una persona nasce, poniamo, all’ospedale di San Severo, ma la casa dei genitori è a Torremaggiore, il bambino è sanseverese o torremaggiorese? Noi propendiamo per la seconda ipotesi, anche se per la burocrazia il vero luogo è il primo. Nel caso specifico di Pazienza, l’antica abitudine di partorire in casa, spinse la madre di Andrea a preferire il luogo dove risiedeva la famiglia d’origine, che era, per l’appunto, San Benedetto del Tronto. Poi, la famiglia fece ritorno in Puglia, in quella regione che per qualcuno doveva scomparire dai riferimenti geografici.
E’ un procedimento seguito in tanti altri casi, con il risultato di offrire un’immagine della Puglia come di una terra desertica, dove mancano gli intellettuali e abbonda solo il degrado. Un’operazione che ha molti altri precedenti. Potremmo citare il caso di Francesco De Sanctis, che nel collegio di San Severo venne eletto per circa 9 anni e che quando scrisse la sua celebre e fondamentale “Storia della Letteratura italiana”, intorno al 1870, era uno dei nostri deputati. Eppure questo legame è assente dai libri, cancellato, quasi fosse una colpa. Di noi si può parlare solo male, oppure è preferibile il silenzio.
In quest’ottica, si può comprendere l’importanza del lavoro che da qualche decennio, diciamo da una trentina d’anni circa, si sta finalmente portando avanti a livello regionale, grazie alla collaborazione di numerosi studiosi. Un imponente sforzo di definizione di un’identità regionale e, poi, di scavo nelle biblioteche e negli archivi, alla ricerca di libri, documenti, tracce di un passato considerato erroneamente di serie B. Un lavoro ancora in corso d’opera, sia ben chiaro, particolarmente necessario proprio per la nostra Capitanata, che solo da pochi anni ha un suo ateneo.
Applicato ad Andrea Pazienza, questo discorso significa favorire gli studi su questo disegnatore, ponendosi nella scia del prezioso lavoro di Enrico Fraccacreta, che quelle radici pugliesi, anzi sanseveresi, ha messo in primo piano. Questo libro, tra l’altro, com’è stato rimarcato nella serata brindisina, nella sua prima edizione presentava un sottotitolo, “inediti degli anni felici”, che nella seconda edizione è ingiustamente sparito, per motivi redazionali. La Puglia come culla e avvio di un’esperienza d’eccezione, non come traviamento o, peggio, come luogo che non c’è. E Bologna non è stato necessariamente il luogo della perfetta maturazione, in quel troppo decantato trionfo della rivolta del ’77, ma forse soprattutto il posto dove un enorme talento ha trovato una sua valvola di sfogo, incontrandosi con quelle sostanze stupefacenti che dovevano purtroppo essergli fatali.
Certo è che la pugliesità di Pazienza, che si ritrova in tante vignette, in tante espressioni, in tanti modi di disegnare e di dire, va inserita in un discorso più ampio e gravido di senso, anche perché ormai il Nostro non rappresenta più un “caso” solo per il fumetto, mondo che, in realtà, appare in piena crisi ai giorni nostri, ma coinvolge a pieno titolo anche la letteratura. Per le opere di Pazienza si parla di racconti per immagine, di una vera e propria novità narrativa, che ha influenzato molti nomi del panorama recente.
Non è un caso, del resto, se il nome del disegnatore è ormai presente in vari libri letterari. Proprio Ettore Catalano ha coordinato un ponderoso volume sulla produzione pugliese dagli anni Settanta ad oggi, che già di per sé offre una risposta a chi si chiede cosa si produca in Puglia. C’è tanta operosità, finora fin troppo trascurata. Ebbene, in questo prezioso volume c’è un saggio sulla produzione in prosa in Capitanata, scritto da un’accademica dell’ateneo barese, Lea Durante, che parla anche di Pazienza e segue l’evolversi dei suoi lavori, passando attraverso personaggi ormai notissimi come Zanardi e Pompeo, le storie di quello strano libro “Cuore” rovesciato, dove agiscono Zanardi e i suoi perfidi amici, e quelle dell’autodistruzione di Pompeo, imprigionato nella spirale di una siringa. Immagini che nel corso della serata brindisina sono state proiettate e commentate da Antonello Vigliaroli, che sull’argomento sa molte cose e che ha in animo di creare un archivio su Pazienza proprio a San Severo, utile per gli studenti che vorranno approfondire l’argomento. Un obiettivo da incoraggiare senz’altro, anche per andare oltre i limiti dell’episodicità di certe iniziative.
Ovviamente, sulla letterarietà di Pazienza si potrebbe dire ancora molto. In lui il testo si è affiancato con dignità all’immagine, sulla base di una estrosa libertà narrativa, che è stata studiata anche da specialisti nell’ambito della linguistica.
Ma, a quanto pare, per parlare di Pazienza c’è bisogno di
molteplici competenze. Nello stesso incontro, infatti, è stato sollevato un
altro scottante dilemma: cosa sarebbe diventato Pazienza se avesse seguito il
consiglio del padre, che lo voleva un pittore puro? A confermare il suo talento
sono rimasti i suoi vividi e originali lavori, che aprivano altre porte su di
una carriera che, lo ricordiamo, era teoricamente ancora lunga. Pazienza aveva
solo 32 anni, com’è noto, ma quello che ci ha lasciato è comunque molto e di
notevole qualità. Si tratta di un patrimonio che prende le mosse dalla nostra
terra e ricordarlo non è un semplice vanto localistico; al contrario, è un modo
di affermare la verità. E su questo punto tutti i protagonisti dell’incontro di
Brindisi si sono ritrovati d’accordo.