1921-2021
NINO CASIGLIO A CENT'ANNI DALLA NASCITA
Nino Casiglio, di cui proprio
in questi giorni cade il centenario della nascita, va annoverato tra i
principali personaggi che hanno segnato la cultura residente del Novecento
pugliese.
Era il 28 maggio 1921 quando lo scrittore dauno apriva gli occhi sul
mondo, a San Severo. Tempra di studioso e di pensatore, laureato in Lettere e in
Filosofia, si avvia alla carriera di docente e poi di preside, ma, nello stesso
tempo, si appassiona alla politica, quella vera, che dovrebbe favorire
l’interesse collettivo, salvo accorgersi subito della drammaticità dei problemi,
malgrado l’entusiasmo di facciata. Diventato sindaco, nel 1971, resta in carica
per pochi mesi, poi si dimette e non ritorna più sui suoi passi.
Nella sua mente, abituata a
scavare, risuonano temi sempreverdi e sempre drammatici, come quello della
questione sociale, in una terra dove le differenze di ceto e di censo erano
enormi. I problemi in lui si legavano strettamente, come anelli di una sola
catena, finendo per risalire alla difficoltà di fare il bene, alla difesa della
libertà contro i totalitarismi di ieri e di oggi. Tutto si tiene, insomma.
La scrittura arriva nell’età di mezzo, negli anni Sessanta, e lo porta a
concepire dei romanzi-saggio ‘fortemente impuri’, come amava ripetere, in
implicita polemica contro Croce e i suoi imitatori. L’opera d’arte precede i
tempi, contiene un’anticipazione, e così, nel 1972, il libro d’esordio, Il
conservatore, spiazza gli osservatori, mettendo in crisi le divisioni
apparenti, l’ipocrisia delle ideologie staccate dalla prassi.
Non era facile seguire Casiglio nelle sue riflessioni. Il mondo cambiava
e il progresso faceva scomparire le sacche di povertà e i luoghi simbolo del
degrado, ma per Casiglio stava mutando quello che doveva restare, e viceversa.
Era questo il messaggio di Acqua e sale, fortunato e più volte premiato
romanzo edito nel 1977 dalla milanese Rusconi. Casiglio avrebbe voluto una
scuola estesa a tutti, ma di spessore; desiderava una società in cui le virtù
del lavoro, dell’onestà e del rispetto, proprie del mondo contadino, restassero
alla base del cambiamento.
Lo scrittore, insomma, si rendeva conto del cammino sbagliato che il
Meridione (e l’Italia con lei) stava percorrendo e oggi non è difficile dargli
ragione. Ma allora, cinquant’anni fa?
Casiglio ha voluto rappresentare, al più alto livello, la figura
dell’intellettuale residente che non sfugge alle proprie responsabilità, ma che
non si piega di fronte alle opinioni comuni, accettate come per dogma. Una
figura, in fondo, profondamente legata al Novecento, al secolo che lo ha visto
per buona parte protagonista con i suoi provocatori romanzi in cui rivivevano
gli inganni di un Seicento simile al Novecento (La strada francesca,
1980) e le difficoltà di fare il bene dell’ultimo feudatario di una stirpe
secolare, il principe Michele de Sangro, affiancato dalla sua compagna, Elisa
Croghan (La dama forestiera, 1983).
La finezza dell’analisi si sposava ad uno stile nutrito dei succhi vitali
della tradizione. Ne derivava una pagina densa, propria di chi scriveva non per
obbligo, ma perché sentiva di avere qualcosa da dire.
In una società come quella in cui viviamo, nella quale lo sforzo di
comunicare nel vero senso della parola lascia troppo spesso spazio alla banalità
e al vuoto, un personaggio come Nino Casiglio appare, nello stesso tempo, sempre
più lontano e insieme più necessario. Speriamo che il traguardo del secolo possa
spingere ad una rilettura dei suoi romanzi e, insieme, ad una riflessione sulla
nostra epoca che ha bruciato tante speranze e stenta sempre più a proporsi dei
veri obiettivi.