"L’ALBERGO DELLE STORIE" DI MICHELE TRECCA

 

La definizione sa un po’ di antico, richiama l’eco di vecchie terminologie ideologiche per fortuna morte e sepolte, ma insomma Michele Trecca è un critico militante, uno di quelli che stanno attenti a tutto quello che arriva in libreria, anzi, a tutto quello che gli spediscono in anteprima le case editrici. E puntualmente la sua firma compare sulla pagina culturale della Gazzetta del Mezzogiorno e di altre testate, ormai da una ventina di anni.

E’ un critico nella sua piena maturità, che sa orientarsi in quel mare magnum che è la letteratura contemporanea, anzi, la letteratura contemporanea al quadrato, che lo occupa anche in varie altre iniziative collaterali.

Di Trecca è stato appena dato alle stampe il denso volume L’albergo delle storie, per i tipi della casa editrice Palomar di Bari, in una collana, Cromosoma y, che lui stesso dirige insieme ad Andrea Di Consoli (2004, pp. 476, euro 20). Il volume risponde, in fondo, ad un’esigenza che moltissimi critici avvertono, nel momento in cui si rendono conto della mole di articoli lasciata alle spalle e dei limiti che purtroppo hanno i quotidiani rispetto ad un libro. Un unico volume si conserva meglio, è sempre a disposizione, è di facile consultazione, permette anche di evitare che qualcuno prenda in prestito, per così dire, idee e concetti senza chiedere permesso e senza citare, abitudine sempre più diffusa.

Il problema, in questi casi, nasce nella scelta organica, nella ricerca di una unità concettuale e logica alla quale gli articoli sono di solito refrattari. Trecca, ben consapevole del problema, sceglie un titolo suggestivo, quale appunto L’albergo delle storie, che nelle pagine introduttive rinvia al Franco Cassano di Modernizzare stanca (“Ognuno di noi dovrebbe provare ad essere un grande albergo, ospitare molte persone al proprio interno. Nella nostra hall dovremmo abituarci a veder passare i tipi più diversi e non sempre una sola persona, un solo carattere costantemente impegnato nel dare ragione a se stesso. Del resto spesso noi stessi non siamo monolitici”) e che, ancor prima, ci porta al Pirandello di certe famose novelle.

 

“Noi siamo le storie che ascoltiamo”, chiosa Trecca, e in questo libro c’è il frutto di un lavoro che inizia nel 1995, quando apparve la precedente raccolta, Parola d’autore, ispirata agli stessi interessi, alla stessa fedeltà alla critica. Per chiarire i suoi intenti, il volume appena edito riporta un sottotitolo: “Materiali critici di narrativa contemporanea e qualcos’altro”.

Il grosso è dunque costituito da interventi dedicati ai principali libri editi dal 1995 al 2003, divisi per anno e poi disposti in ordine alfabetico, e qui troviamo il Trecca più noto, che ha sempre un occhio di favore per i giovani autori, per coloro che si affacciano nel mondo delle lettere, ma che, nello stesso tempo, coltiva anche intense relazioni con i giovani di ieri che sono rimasti sulla cresta dell’onda, e che formano le certezze di questi ultimi anni. Nell’articolato quadro delineato dall’autore, i nomi canonici della narrativa d’oggi sono tutti presenti, da Susanna Tamaro a Giampaolo Rugarli, da Andrea Pinketts a Andrea De Carlo.

Ma il sottotitolo ricorda anche l’esistenza di qualcos’altro”, ossia di schede sugli autori stranieri e su alcuni critici, il che, francamente, ci sembra porre un problema di compatibilità. La varietà è assunta da Trecca come elemento fondante e programmatico, ma forse le interviste allo squisito italianista Pier Vincenzo Mengaldo e al fine interprete Pietro Citati, ad esempio, come le recensioni sui testi stranieri andavano disposte in una sezione a parte, visto che il volume è già di per sé corposo.

Questione di punti di vista, ovviamente, che nulla tolgono all’importanza di un volume che funge da ottima bussola per orientarsi nella realtà letteraria vista nel suo farsi quotidiano, nel suo accumulare speranze e delusioni, libri ben riusciti ad  altri decisamente negativi, come Trecca non manca di far rilevare con occhio attento.

Gli autori sono oltre 150 e le schede più di 200. Un dato notevole, come notevoli sono le pagine introduttive di L’albergo delle storie, in cui Trecca tesse la trama di una letteratura che ha lasciato alle spalle la stagione troppo ideologizzata degli anni Settanta per riscoprire il romanzo, nel decennio successivo, per poi aprire una nuova pagina, che inizia, significativamente, con Passaggio in ombra della Di Lascia. E’ una storia fatta di pulp, di ground zero, delle illusioni e delle frustrazioni di una letteratura che si confronta e scontra con la realtà, con il mondo che cambia in maniera imprevedibile, chiedendo comunque a chi scrive un’assunzione di responsabilità.

E’ una storia che impone dei cambiamenti anche alla critica, e in quest’ambito si spiegano le parole contro certo paludato modo di fare critica, contro certo “grigiore depressivo” frutto di un’eccessiva rimozione della componente emotiva, passionale, istintiva.

Insomma, la critica letteraria ha bisogno di più brio, per Trecca, e questo è alla base del suo linguaggio, che spesso assume certo linguaggio figurato, immaginifico, talvolta anche giovanilistico e gergale, per ravvivare una pagina critica che teme la noia prodotta dai professoroni. Una scelta che attraversa tutte le parti di questo libro e che diventa uno dei tratti caratteristici di un critico dall’ampio raggio e dalle spalle larghe, che si conferma un importante punto di riferimento per cogliere la complessità della letteratura contemporanea.

Tra dieci anni contiamo di esserci ancora con Michele Trecca e il suo prossimo volume, per vedere com’è andata a finire.

 

 

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