"IL MESTIERE DELL'ANGELO CUSTODE" DI EMILIO CANNARSI
Emilio Cannarsi è da poco ritornato in libreria con un interessante romanzo intitolato Il mestiere dell’angelo custode (Turato Edizioni, Rubano, PD, 2024, pp. 163).
Nato nel 1937 a Rodi, in Grecia, Cannarsi, che vive in un comune del Padovano,
si è laureato in Giurisprudenza, nel 1962, e in Scienze politiche, nel 2000. La
sua viva passione per lo scrivere lo ha spinto a pubblicare varie opere, tra
cui, nel 2007, il romanzo La bottega della salute e, nel 2012, la silloge
narrativa Il cerchio di gesso e altri racconti. Ora è la volta di questo
romanzo dal titolo invitante, che si legge con molto piacere e che ci trasporta
nei lontani anni Quaranta, ai tempi della seconda guerra mondiale.
L’origine autobiografica dell’opera è apertamente dichiarata dall’autore, che
ritorna alla sua fanciullezza, quando aveva sei-sette anni, per ricostruire il
mosaico di un periodo lontano e funesto, che reclamava di essere raccontato. Di
qui la rievocazione di «Quel tempo», ossia delle vicende del piccolo Mino, unico
figlio del sarto Attilio e di Teresa, costretto a muoversi in una realtà segnata
da violenze e sconvolgimenti.
Mussolini aveva trascinato l’Italia in guerra e i bombardamenti fanno la loro
comparsa già nel secondo capitolo, La fuga nel campo, con il loro carico
di sofferenza e distruzione. Intorno a Mino e alla sua famiglia si muove una
folla di personaggi semplici e umili, anche loro fortemente provati dagli eventi.
Ne è un esempio la moglie di Antonio Benucci, morto in Africa settentrionale. La
donna è vedova, ma non lo sa ancora. Ma ci sono dispersi anche in Russia, come
Pietrino, il nipote preferito della vecchia Santina, che inutilmente attenderà
il suo ritorno.
Mino, da parte sua, osserva curioso, mentre la macrostoria fa sentire i suoi
effetti anche nei luoghi in cui vive. Una madre è abituata a chiamare dalla
finestra la figlia Benita, gridando ad alta voce, ma il giorno dopo il 25 luglio
1943 il nome della figlia si trasforma in Anita, a scanso di problemi.
Il romanzo è diviso in 20 capitoletti, più un epilogo e una nota finale, nella
quale si ripercorre brevemente la trama degli eventi storici del periodo, dal
1940 al 1944.
Cannarsi si serve di una prosa tersa, pulita, levigata, che rivela le sue buone
letture e la sua passione per la scrittura. Si apprezza spesso la sua capacità
di vivacizzare la pagina, anche facendo ricorso a particolari e osservazioni
singolari.
Tutto questo in apparenza non ha molto a che fare con il titolo del romanzo,
Il mestiere dell’angelo custode. Leggendo l’opera, però, si ritrova questo
costante riferimento all’angelo custode dei nostri primi anni, quello nel quale
anche il bambino Mino credeva.
Cannarsi ne evoca spesso la figura, fino all’Epilogo, in cui l’ormai
anziano Mino pensa ancora una volta all’angelo custode, in cui non crede più da
tempo, ma che gli piacerebbe ritrovare nel momento del congedo definitivo: «Sentire
come ultima cosa, ancora una volta, il fruscio delle ali e l’aria leggera delle
piume. Poter dire, con quieta sorpresa: “Allora sei qui. Davvero mi hai
accompagnato senza mai lasciarmi, fino al compimento del viaggio”».
L’ultima pagina, in cui risuonano i mille interrogativi dell’esistenza,
rappresenta la degna conclusione di questo romanzo, che si legge con piacere e
partecipazione, con curiosità e interesse.
La vita non conclude, ci dice l’autore, presenta sempre qualcosa di incompiuto,
ma la scrittura può almeno aiutarci ad accendere una piccola luce sugli eventi
del passato e sul loro significato.
Il mestiere dell’angelo custode si rivela pertanto un libro ricco di spunti, e in quanto tale merita di essere letto.