IL MISTERO E LA BELLEZZA VIVONO A CASTEL FIORENTINO
Da Federico II ai viaggiatori ottocenteschi: una Puglia da tutelare
In tutti i testi che parlano diffusamente di Federico II di Svevia non
può mancare un riferimento a Fiorentino, la località pugliese, a circa 9
chilometri da Torremaggiore, in Capitanata, dove l’imperatore si è spento, nel
1250. Il nome moderno della località è Castel Fiorentino, ma la forma antica più
comune e esatta, come ricorda lo studioso e archivista dell’abbazia di
Montecassino don Tommaso Leccisotti, è Florentinum. Insomma, bisognerebbe
parlare di Fiorentino, evitando anche confusioni con il Castelfiorentino sito a
30 chilometri da Firenze.
La località, oggetto di numerose campagne di scavo iniziate negli anni
Novanta e proseguite a più riprese, attende ancora una sua vera valorizzazione
in termini turistici. Ed è un vero peccato, dal momento che Fiorentino ha
attirato nel passato le attenzioni di non pochi viaggiatori e scrittori.
Qui, intanto, si sarebbe compiuta la famosa profezia che prevedeva per
Federico II la morte sub flore, per la quale si sarebbe spento presso
delle porte di ferro, una volta giunto in una città che prende il nome da un
fiore. La profezia, che viene comunemente legata al nome di Michele Scotto, di
cui parlerà anche Dante nel ventesimo canto dell’Inferno, è in realtà
nota in versioni precedenti, a partire almeno dalla Rerum Sicularum Historia
di Saba Malaspina, vescovo di Mileto, che scrive tra il 1284 e il 1285.
La leggenda, ostile all’imperatore, risuona alle orecchie dei tanti viaggiatori
che dalla fortezza di Lucera guardano i resti della città, che ben presto decade
e si spopola. Il primo vero e proprio viaggiatore straniero è l’inglese Henry
Swinburne (1743-1803), che nel 1783 pubblica il primo volume dei suoi Travels
in the Two Sicilies, Siamo ormai vicini all’Ottocento, secolo che segna la
vera e propria scoperta della Puglia medievale. Di qui la presenza di numerose
testimonianze, da Richard Keppel Craven a Gregorovius, da Lenormant a Paul
Bourget, che nelle Sensations d’Italie, pubblicate in Francia nel 1891,
ci descrive l’arrivo in Capitanata collegandolo strettamente al fantasma di
Federico II, indiscusso genius loci.
Parlavamo di fantasie. Un docente calabrese, Oreste Dito, visitando la
zona di Fiorentino, parla, in un suo opuscolo apparso nel 1894, di persone della
zona che di notte cercano un tesoro, anche se non sanno chi lo abbia lasciato.
Un sacerdote, Emanuele Jacovelli, in una monografia del 1896 immagina che a
Fiorentino esisteva una terribile e inquietante prigione sotterranea, degna di
romanzi romantici a forti tinte, dove sarebbe stato rinchiuso il celeberrimo
Pier delle Vigne. Qui sarebbe stato crudelmente accecato, trovando poi la morte
per suicidio.
Un’altra notizia molto interessante, e che si ritrova già nel Seicento,
negli Annales Minorum del frate irlandese Luke Wadding (1588-1657),
riporta che la mensa dell’altare della cattedrale di Lucera proviene dal palazzo
di Federico II a Fiorentino, per mezzo del beato Giovanni da Stroncone. Nato
intorno al 1350 e scomparso a Lucera nel 1418, il beato, con l’aiuto del Cielo,
riesce a portar via dal palazzo in rovina di Fiorentino due lastre di marmo,
senza rovinarle. La più grande, per l’appunto, finisce nel duomo lucerino. La
notizia fu poi ulteriormente ampliata, per cui si identificò la mensa
dell’altare con la mensa profana di Federico a Fiorentino. La provenienza della
lastra di marmo dal territorio di Fiorentino è possibile, ma mancano delle prove
irrefutabili. Molto più chiaro, d’altra parte, è il senso morale del brano, che
non sfugge al viaggiatore Ungaretti. Questi nel 1934 dedica a Lucera due delle
sue bellissime prose odeporiche: «Lo Svevo non ha lasciato qui che un brandello
di muro? C’è qui un altro suo segno: l’altare del Duomo e quella sua mensa di
Castel Fiorentino, alla quale invitava a sedere insieme vescovi e ulema per
ridere nel vederli guardarsi in cagnesco. Non fu guerra religiosa? E perché
quella mensa è stata messa lì, se non in segno di riparazione?».
Ungaretti immagina la perfida soddisfazione di Federico II, che si
diverte ad invitare vescovi e dotti musulmani, guardandoli dall’alto della
propria irriverente saggezza. La scena è molto efficace e il comportamento
dell’imperatore rende trasparente il valore negativo della lastra di marmo di
Fiorentino, testimone a suo tempo di eccessi di ogni genere, che, dopo la fine
degli svevi e il massacro degli infedeli, ha trovato il suo posto definitivo nel
duomo di Lucera come segno di redenzione, di passaggio dal male al bene.
Ancor oggi, insomma, la storia e la leggenda abitano a Fiorentino, nel
nome di Federico II. Sta a tutti noi, politici, tecnici, giornalisti, studiosi,
amanti del territorio e semplici cittadini, completare l’opera, valorizzando nel
giusto modo questa località.
La località di Fiorentino, in Capitanata, è indissolubilmente legata al nome
di Federico II di Svevia. In realtà, l’imperatore non l’aveva mai visitata in
precedenza, forse per la sua vicinanza a Lucera, ma quando i suoi disturbi
intestinali si aggravarono, Federico dovette riparare a Fiorentino, dove si
spense inaspettatamente il 13 dicembre 1250, a soli 56 anni, tra manifestazioni
di giubilo e di dolore, a seconda della posizione ideologica e politica degli
storici e dei potenti dell’epoca. I resti di Fiorentino, ridotti per secoli a
pochi ruderi, sono stati riportati alla luce a partire dagli anni Novanta del
secolo scorso, a seguito di alcune importanti campagne di scavo. Resta ora da
compiere un ulteriore passo, che consiste nella valorizzazione turistica della
località, che attende ancora una via d’accesso adeguata e una tutela delle
ingenti testimonianze del passato.